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Giornata Internazionale
contro la violenza sulle donne
Per commemorarlo abbiamo scelto di pubblicare l'editoriale di Cristiano Puglisi, direttore de il Cittadino e la replica del Cadom



L'editoriale del direttore
Violenza sulle donne da censurare
ma senza ideologia e stereotipi

Tocca notare, una volta di più, come non poche iniziative realizzate per l'occasione trasudino troppo spesso un'insopportabile e deleteria retorica ideologica.
Si avvicina il 25 novembre, data prescelta per la “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”: momento di riflessione che, soprattutto nel nostro territorio, reduce dall'orribile omicidio di Senago della scorsa estate, sarà certamente e giustamente sentito. Allo stesso tempo, però, tocca notare, una volta di più, come non poche iniziative realizzate per l'occasione trasudino troppo spesso un'insopportabile retorica ideologica (oggi purtroppo prevalente), in base alla quale tutte le donne, o quasi, sarebbero potenziali vittime dei propri uomini (tutti, per contro, potenziali assassini o violenti).
Il riflesso di questa narrazione stereotipata (ma, tocca ribadirlo, culturalmente egemone) della realtà lo si vede nell'immensa mole di denunce di casi di presunte violenze che, in Italia, finiscono archiviate (non raramente strumentali in caso di separazioni non consensuali). Segno, forse, che la convinzione di poter fare leva su un sentimento largamente condiviso può anche facilitare azioni con obiettivi non troppo cristallini…
La politica ha le sue colpe, avendo sovente utilizzato questo tema più con finalità propagandistiche che con consapevolezza dei dati oggettivi. Servirebbe, però, maggiore responsabilità: che si stia scavando un solco tra uomini e donne, in una società già fortemente atomizzata, è più di una semplice sensazione.

Cristiano Puglisi


Gentile direttore,

il 25 novembre è la data scelta per la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e rappresenta, come lei ha scritto, un momento di riflessione in qualsiasi posto del mondo. In particolare i dati statistici ISTAT (NDR per l'Italia) evidenziano che il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Coloro che agiscono quella violenza sono uomini, non tutti gli uomini ovviamente, ma gli altri cosa fanno per porre fine a questa barbarie?
Molti stanno zitti.
Altri si tirano fuori, altri ancora scrivono articoli come il suo.
Negare questa realtà, definendola narrazione stereotipata fino a spingersi a definirla cultura egemone equivale a sostenerla…
Se di stereotipi si tratta, allora sono quelli che permeano la cultura patriarcale e maschilista che tocca le donne nella loro sensibilità, nella loro vita e nella loro libertà. Libertà individuale e definizione di sé come soggetto di valore. Stereotipi che riducono le donne in una rappresentazione che le vuole mogli o madri dedite alla cura dei propri cari o della casa, e in quanto tali idealizzate, o rappresentate come un oggetto di piacere per lo sguardo maschile. Sono gli stereotipi che inducono la donna a tenersi un passo indietro rispetto all'uomo, a sentirsi chiedere di laurearsi dopo il proprio compagno per non compromettere il proprio ego di supposta superiorità di genere.
All'uomo invece competono le decisioni più importanti e la parte economica della famiglia, creando quindi uno squilibrio di potere tra uomo e donna- perpetuato da politiche sociali ad oggi inadeguate- che molto spesso si tramuta in violenza psicologica, economica, fisica, sessuale…
Lei pone a fondamento di questa sua narrazione il dato (quali analisi alla base?) di denunce di casi di presunte violenze che in Italia finiscono archiviate, non raramente strumentali in caso di separazione non consensuali.
Oltre a confermare che le donne non sono credute, fa un po' di confusione tra separazioni non consensuali, quindi conflittuali, e violenza. Errore tipico di chi non ha ancora approfondito il gravoso problema della violenza maschile sulle donne e evidenzia una insufficiente consapevolezza sulle cause. Il suo articolo è scritto quindi sulla base di una conoscenza limitata.
Il fatto che molte di queste denunce siano archiviate, dipende anche dalla inadeguata formazione socio culturale che alcuni Giudici, PM, Forze dell'Ordine hanno rispetto ai temi della violenza sulle donne e rispetto all'accoglienza di chi tra queste ultime decide di denunciare.
Quando una donna denuncia un reato di maltrattamento o un reato sessuale, molto spesso non ha testimoni da esibire perché, si sa bene, questi reati vengono compiuti tra le mura domestiche o in una relazione tra due persone.
Un'Amministrazione della Giustizia penale e civile preparata ad “accogliere “questo tema è fondamentale per conoscere e riconoscere la credibilità di quella donna che dovrà essere poi provata durante le fasi del processo. Ma capita, talvolta, che ciascuno, nella propria professione porti i propri vissuti stereotipati, ostacolando di conseguenza il riconoscimento nel racconto delle donne di fatti che possano testimoniare la violenza subita. Con le conseguenze di archiviazioni di denunce di violenza che lei definisce strumentali
Vorremmo raccontarle poi delle numerose donne che non denunciano per non incorrere in quel percorso perverso che le vede vittime due volte, la cosiddetta “vittimizzazione istituzionale” agìta, consapevolmente o meno, da coloro che nell'ambito delle istituzioni dovrebbero contrastare la violenza maschile sulle donne
Condividiamo con lei: la politica ha le sue colpe!
Soprattutto perché ha permesso che la violenza sulle donne non fosse considerata una priorità.
Non ha finanziato in modo adeguato i Centri Antiviolenza che quotidianamente agiscono nel sostegno delle donne vittime di violenza maschile e nella essenziale attività di prevenzione presso le scuole di ogni ordine e grado.
La priorità è invocata anche dagli ultimissimi dati, anticipati dal dottor Roia, Presidente del Tribunale di Milano -tra i massimi esperti del fenomeno della violenza maschile sulle donne- che evidenziano che questi reati di genere sono commessi da uomini sempre più giovani, prevalentemente dai 18 ai 35 anni di età.
Non possiamo comunque scaricare la responsabilità solo sulla politica.
Ognuno di noi, a partire dalle nostre relazioni quotidiane, può contribuire a cambiare le cose.
Per esempio informandosi prima di scrivere un articolo come il suo.
Cordiali saluti,

C.A.Do.M.
Centro aiuto donne maltrattate
MONZA


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  25 novembre 2023