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La loro umanità
25 aprile 2021 - ANPI - Staffetta della Liberazione
Rosella Stucchi



Tra i comandanti partigiani durante la Resistenza mio padre ha stretto un forte rapporto di amicizia, al di là delle ideologie, con Ferruccio Parri, che andava a trovare spesso a Roma (l'ultima volta è tornato molto triste dicendo “non mi ha riconosciuto”) e con Enrico Mattei a cui ha trasmesso la passione per la pesca.
Con Alfredo Pizzoni teneva i contatti con i comandi alleati in Svizzera: racconta nelle sue memorie di aver varcato il confine faticando a passare sotto la rete metallica, in particolare Pizzoni che era piuttosto massiccio.
Con Mario Argenton ha gestito la Fondazione CVL che aveva lo scopo di aiutare le famiglie dei partigiani nel dopoguerra.

Per me, figlia unica, è stato un papà molto presente senza mai imporsi. Avrebbe voluto che io frequentassi una facoltà scientifica perché, diceva, il futuro dipenderà dalla ricerca scientifica, ma io osservavo che, leggendo i nomi delle materie delle facoltà scientifiche, capivo che nessuna mi interessava, mentre quelle della Facoltà di lettere mi interessavano tutte. Allora, diceva, fai bene a studiare lettere.
La mia mamma aveva un carattere molto diverso: era impulsiva, perdeva la pazienza facilmente e, quando mi diceva “per fortuna hai il carattere di tuo padre”, lo prendevo come un gran complimento.

Dopo che mi sono sposata, i miei genitori sono venuti ad abitare nell'appartamento comunicante con il mio. Il nonno Gibi è stato una presenza fondamentale nella formazione dei miei quattro figli, soprattutto dei due maggiori che avevano 19 e 18 anni quando lui è morto inaspettatamente nel sonno nel 1980 in montagna, dove passavamo insieme le vacanze. Il giorno prima aveva camminato cinque ore nei boschi con il maggiore dei nipoti.

Ho chiesto ai miei figli: “se pensate all'umanità del nonno che aggettivi vi vengono in mente?”. Ne ho raccolti molti: pacato, equilibrato, modesto, prudente, mediatore, sensibile. Ed ascoltava anche i bambini trattandoli come persone.
Come esempio delle sue capacità di mediazione, ricordo che dopo la nascita della Repubblica dell'Ossola, Giancarlo Pajetta aveva chiesto al Comando generale di inviare un Comandante unico, data la litigiosità delle diverse formazioni partigiane. E' stato mandato mio padre col nome di Comandante Federici. Due giorni dopo Pajetta ha ricontattato il Comando generale dicendo: “ ma noi avevamo chiesto un comandante che comandasse davvero, ci avete mandato un gentiluomo”. Infatti mio padre, più che comandare ascoltava e mediava, come si può vedere anche nel filmato “Quaranta giorni di libertà”.

Dopo la guerra molti giovani monzesi lo andavano a trovare nel suo studio di avvocato per esprimere dubbi, speranze, progetti, delusioni e lui li ascoltava aiutandoli con i suoi consigli.
Recentemente uno di questi ex giovani mi ha contattata inviandomi un suo libro in cui parla anche di mio padre che, dice, “è stato un maestro della mia vita sia sul piano politico che su quello umano”.

Era anche molto prudente non nel senso che evitava le situazioni pericolose, ma le affrontava preparato.
Quando la moglie di Antonio Gambacorti Passerini , recluso a San Vittore ed in seguito fucilato a Fossoli, gli diede un bigliettino in cui “Tonio” aveva scritto “dì a Gibì di andarsene subito”, andò immediatamente in stazione senza nemmeno passare da casa ed entrò in clandestinità, riparando a Milano a casa di un cugino.
L'otto settembre lo aveva sorpreso a Fortezza al confine col Brennero con i suoi alpini del 5º di cui era capitano. Gli alpini festeggiavano la fine della guerra, ma lui si aspettava una reazione dei tedeschi. Quella sera non si è spogliato, non si è tolto nemmeno gli scarponi e di notte, quando i tedeschi con i loro ordini gutturali hanno svegliato tutti gli ufficiali e li hanno fatti prigionieri, mio padre, che aveva adocchiato in fondo al corridoio una porta finestra che dava su un balconcino sopra una tettoia, ha approfittato della confusione per calarsi e appiattirsi nel buio. Quindi, varcato fortunosamente l'Isarco, si è diretto per montagne e sentieri che ben conosceva verso la Valfurva dove è arrivato dopo una settimana.

Mio figlio Michele due anni fa ha ripercorso con un amico scrittore questo tragitto, non tutto a piedi perché l'amico aveva problemi a un ginocchio, e ha riconosciuto vari luoghi descritti dal nonno. Mio figlio Umberto, fotografo e giornalista, anni fa ha scritto un bell'articolo sull'umanità del nonno in un numero speciale di “Meridiani Montagne” dedicato alla Val d'Ossola.
Oggi i quattro figli e i quattro nipoti maggiorenni sono iscritti all'ANPI.

Rosella Stucchi
presidente ANPI Monza



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