Violenza e viltà di Stato
Umberto De Pace
Cos'hanno in comune le tragiche vicende del G8 di Genova del luglio 2001 con quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nell'aprile del 2020 o con la morte di Stefano Cucchi avvenuta il 22 ottobre 2009 e altri simili episodi? La violenza, il sopruso, l'infamia di uomini dello Stato i quali, abusando del proprio potere, hanno commesso dei crimini contro dei cittadini fino a giungere, in alcuni casi, a ucciderli. Ma non basta. Al di là degli eventi contingenti c'è un prima e un dopo che lega tali vicende fra loro. Stiamo parlando di uomini appartenenti a corpi dello Stato, alcuni dei quali militarizzati, e quindi di entità organizzate e addestrate con una struttura rigidamente gerarchica di comando, controllo e vigilanza. Uomini e corpi dello Stato che vedono un dopo costellato di coperture, reticenze, omissioni, omertà con il coinvolgimento alle volte anche dei vertici più alti della gerarchia. Un prima che evidentemente non è stato in grado né di selezionare adeguatamente il proprio personale, né tanto meno di addestrarlo ai compiti da svolgere e alle difficoltà e criticità da dover affrontare. Questi sono i fatti evidenti impressi nella cronaca degli avvenimenti in oggetto e riportati in gran parte delle sentenze dei tribunali, per quanto questi abbiano potuto e voluto districarsi nelle fitte reti di potere e omertà di quell'altra parte dello Stato che si sono trovati a dover giudicare. Ma non è ancora tutto. La contingenza alle volte, la casualità degli eventi, la struttura gerarchica, l'addestramento ricevuto, sono sufficienti a spiegare l'efferatezza delle violenze, in più casi vere e proprie torture, inflitte a gente inerme già sottomessa e non in grado di reagire? Evidentemente no. Per giungere a tali livelli di violenza bisogna avere dentro delle motivazioni e/o delle pulsioni radicate, dettate da idee o ideologie, educazione o valori pur distorti ma che permettono o inducono a infrangere quel vincolo umano e istituzionale di rispetto della persona e dei suoi diritti. A questo punto porsi la domanda di come sia potuto accadere tutto ciò sarebbe pura retorica, e sarebbe fuorviante pensare di circoscrivere le responsabilità ai soli soggetti coinvolti. Se è vero che tali fatti non rappresentano il lavoro svolto correttamente dalla maggioranza degli uomini e dei corpi di sicurezza dello Stato è altrettanto vero che non si può pensare che possano capitare per responsabilità di singoli o per poche mele marce, come usualmente si usa dire. Se alla catena di comando e alla gerarchia dei corpi di sicurezza abbiamo già accennato occorre domandarsi se ci sono altri soggetti responsabili di tali atti abbietti? La Politica. Intesa in tutti i suoi aspetti, rappresentativi e istituzionali, la politica è la principale responsabile e al contempo è la grande assente dal banco degli imputati. Se è vero, ed è giusto, che i crimini vengano contestati, giudicati e condannati a fronte di responsabilità dirette e personali, è altrettanto vero che la politica non può esimersi dall'assumersi le proprie responsabilità. Parte dei crimini in oggetto sono potuti accadere o sono rimasti impuniti per mancanza di leggi adeguate che era compito della politica emanare; basti pensare al reato di tortura introdotto solo dal 2017 o all'adozione di codici di identificazione delle forze dell'ordine ancor oggi inattuata nel nostro paese. Sono gli organi politici che in gran parte scelgono i vertici di comando delle forze di sicurezza, premiando come spesso accade gli stessi responsabili delle violenze. Sono i politici che dettano le agende degli eventi, che presiedono i tavoli organizzativi, che indirizzano, sostengono, giustificano, sollecitano comportamenti e atti da parte delle forze di sicurezza con le loro parole pubbliche o private. E' compito e dovere della politica fare in modo che non debbano più ripetersi tali tragiche vicende. L'art. 54 della nostra Costituzione lo impone: alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. Dovere, fedeltà, disciplina e onore che sono stati macchiati con il sangue delle vittime e dal disonore di quegli uomini dello Stato che hanno compiuto, ordinato, permesso, coperto o giustificato le orribili violenze al G8 di Genova, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, sul corpo di Stefano Cucchi e in altri simili episodi. La storia del nostro paese purtroppo è afflitta da tali vicende, ce lo ricordano ferocemente le stragi di Stato degli anni '70 e '80 del secolo scorso, così come in questi giorni, in cui è ricorso l'anniversario della morte di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta, ce lo ricorda l'oscuro intreccio tra mafia e uomini dello Stato, servizi segreti e altre forze occulte. Violenza e viltà da parte di uomini o corpi dello Stato tradiscono e minano i principi democratici sui quali esso poggia le proprie fondamenta, aprendo la strada a derive autoritarie che non sono quelle golpiste, espressioni culturali e politiche del secolo scorso, né quelle distorte e ipocondriache dei social network complottisti, quanto quelle concrete e attualissime dei vari populismi e sovranismi e delle loro espressioni istituzionali che si traducono nelle democrature ben presenti oramai anche nella nostra vecchia Europa. Occorre rafforzare la nostra democrazia e nel farlo è fondamentale portare avanti quell'opera di democratizzazione delle forze dell'ordine mai compiuta, spezzando quel filo nero che ancor oggi inquina in alcune sue parti le stesse istituzioni legandole ai tempi bui del regime fascista, dal quale d'altronde provenivano la stragrande maggioranza dei quadri dirigenti, passati all'indomani della sua sconfitta all'interno delle strutture della nuova Repubblica. Umberto De Pace IL FILMATO Condividi su Facebook Segnala su Twitter EVENTUALI COMMENTI lettere@arengario.net Commenti anonimi non saranno pubblicati 27 maggio 2021 |