prima pagina pagina precedente indice bei momenti





i bei momenti


Carpaccio


La Scuola degli Schiavoni a Venezia
di Primo Casalini


Gli Schiavoni erano gli immigrati a Venezia dalla Dalmazia, temporanei o permanenti che fossero. In genere erano marinai, soldati o mercanti. Avevano la loro "Scuola", una delle quasi trecento esistenti a Venezia, ed avevano i loro santi protettori, segno di identità: San Giorgio, San Trifone e San Gerolamo, tutti dalmati, a sentire gli Schiavoni. All'inizio del '500 decisero di decorare con teleri la loro Scuola, la cui sede era stata fondata nel 1451 su un terreno appartenente al convento dei Gerosolimitani, e nello stesso anno il Consiglio dei Dieci ne aveva approvato la regolamentazione.

Schiavoni

Per la decorazione scritturarono Vittore Carpaccio, che aveva dato buona prova di sè cinque anni prima nella Scuola di Sant'Orsola. Carpaccio eseguì tutto il lavoro fra il 1502 ed il 1507. A differenza dei teleri della Scuola di Sant'Orsola, che oggi sono all'Accademia, quelli della Scuola degli Schiavoni sono ancora lì, solo che sono scesi al pianterreno dal primo piano originario.

Schiavoni
Si può anche essere fortunati: capitare in ore in cui non ci sono comitive guidate dalla competente ma stanca voce della guida, affetta da una sua particolare e comprensibile sindrome di Stendhal. Venezia è talmente sovrabbondante di opere d'arte che ci si può trovare quasi da soli agli Schiavoni od a San Sebastiano. Gli inizi del Carpaccio sono misteriosi, la fine malinconica. Per gli inizi, non ci sono documenti attestanti il suo alunnato presso questo o quel pittore, ed è uno sbizzarrirsi di ipotesi; per la fine, Carpaccio entrerà in una crisi artistica irreversibile poco dopo aver completato le opere degli Schiavoni, regredendo verso i modi di trent'anni prima. Non era in grado infatti di reggere alle conquiste di Giorgione e di Tiziano, cosa che invece riuscì all'ottantenne Giambellino, e così, salvo poche eccezioni, Carpaccio ripiegò verso una clientela sempre più provinciale, fino a spegnersi a Capodistria nel 1526. Ogni tanto, quando il tema lo stimolava, era ancora in grado di produrre capolavori, come nelle due meditazioni su Cristo morto che oggi sono a Berlino ed a New York, in cui "inventa uno spazio d'ossa e di pietre" (André Chastel), ed anche nel magnifico Leone di San Marco del Palazzo Ducale di Venezia.
Se si vuole capire la vivacità di vita nella Venezia della fine del '400, occorre guardare le opere del Carpaccio. C'è tutto, dagli episodietti delle calli alle visite in pompa magna degli ambasciatori. Agli Schiavoni, in più, c'è una sublime curiosità: le dame che festeggiano dalle finestre drappeggiate, i macabri resti delle vittime del drago visitati dalla serpe, dalla lucertola e dal rospo, l'orchestra turchesca, il piccolo cane bianco con la sua ombra aguzza come una freccia, il grande turbante appoggiato sugli scalini vicino al pappagallo rosso. Credo sia giustissimo l'accostamento che è stato fatto fra il suo modo di vedere e quello dei grandi settecenteschi: Canaletto, Guardi, Longhi. Sono opere che non vanno viste di corsa, ma di fronte a cui occorre far scorrere lo sguardo adagio, continuamente sorpresi da qualcosa di inaspettato.

Schiavoni
Il Carpaccio ascoltava i suggerimenti della "Leggenda aurea" di Jacopo da Varagine o del "Jeronimus: vita et transitus", stampato a Venezia nel 1485, e li portava nella sua pittura. Erano temi a lui congeniali, perché più che di storie si trattava di leggende aperte, e il Carpaccio era quindi sempre disposto a perdersi dietro ad una foglia esotica, ad un minareto verissimo ed improbabile, ai cavalli pronti più all'andatura di parata che al galoppo. La stessa leggenda ne usciva arricchita di episodi nuovi e di particolari coinvolgenti. Quello del Carpaccio era un piacevole modo di essere fedele al compito che gli era stato assegnato: le variazioni sul tema nelle leggende sono indispensabili, una leggenda non può annoiare. Penso che così facessero gli Schiavoni che lo prediligevano: onorati i santi patroni, recuperavano i tanti momenti di vita autentica che avevano conosciuto fra terra e mare, in quella città unica che non sapeva ancora che dieci anni prima, il 28 ottobre del 1492, la fine della sua grande storia era iniziata. Venezia resisterà ancora per trecento anni, malgrado tutto.


Schiavoni



in su pagina precedente

  18 ottobre 2003 - agg.maggio 2014