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tempietto longobardo: visione d'insieme della parete occidentale


Longobardi a Cividale
a cura di Primo Casalini


“Tempietto longobardo”. Anche chi non è mai stato a Cividale del Friuli, questo nome qualche volta l'ha sentito. Ma è una moderna denominazione dell'oratorio di Santa Maria in Valle, come venne chiamato quando faceva parte di un convento di benedettine, il che accadde molto dopo la sua costruzione. I nomi vanno e vengono, quello che conta è comprendere le cose che denominiamo.
Quindi, partiamo dall'anno 568, in cui i Longobardi ed il loro re Alboino arrivano in Italia e come prima cosa occupano Cividale, che allora si chiamava Forum Iulii perché Giulio Cesare la fece municipium attorno al 50 a.C. La storia dell'arrivo dei Longobardi in Italia la conosciamo bene, perché Paolo Diacono la racconta nella sua “Historia Langobardorum”. Più correttamente, si chiamava Paolo di Warnefrido, era nato proprio a Cividale, apparteneva ad una nobile famiglia longobarda e visse fra il 720 ed il 799. Scrive la sua storia quando il potere longobardo è finito, con l'arrivo dei Franchi di Carlo Magno (774) . Paolo è nel convento di Monte Cassino e la sua storia si chiude con l'anno in cui morì il re Liutprando, il 744.

sante, rosette e archivolto

Ecco alcune righe di Paolo Diacono:
“Indeque Alboin cum Venetiae fines, quae prima est Italiae provincia, sine aliquo obstaculo, hoc est civitatis vel potius castri Foroiulani terminos introisset, perpendere coepit, cui potissimum primam provinciarum quam ceperat committere deberet”.
(Di lì Alboino, dopo aver varcato senza nessun ostacolo i confini della Venezia, che è la prima delle province d'Italia, ed essere entrato nel territorio della città o piuttosto del castello di Forum Iulii, cominciò a considerare a chi fosse meglio affidare la prima provincia che aveva conquistato).
Poi racconta che Alboino scelse Forum Iulii come sede del primo ducato che costituì in Italia e che l'affidò a suo nipote Gisulfo; è possibile quindi che a Cividale ci fosse una cappella reale o palatina, all'inizio di rito ariano.
Ma tutte le opere di Cividale a noi pervenute e che in qualche modo sono riferibili ai Longobardi sono degli anni attorno al 750, proprio i tempi di Paolo Diacono, quasi due secoli dopo l'arrivo di Alboino, il che non significa che non ci fossero delle costruzioni preesistenti.
La definizione di “arte longobarda” è in qualche modo impropria; specie nel caso del tempietto è meglio parlare di “arte alto-medievale”, realizzata, come in questo caso, nel periodo storico della dominazione longobarda. Difatti, all'interno del tempietto, le colonne binate con capitelli corinzi e gli architravi monolitici sono di spoglio, cioè appartenenti a costruzioni romane di secoli prima. Non è una eccezione, era la norma. Molti secoli dopo, nel '400, il Mantegna inseriva ancora nei suoi quadri e nei suoi affreschi particolari tratti dai sarcofagi e dalle costruzione romane che trovava fra Padova e Mantova. E il famoso detto di Pasquino quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini è del '600, e riguarda la bulimìa d'arte antica a scopo di riutilizzo da parte di papa Urbano VIII, appartenente alla famiglia romana dei Barberini. In particolare, la sottrazione di porte, travi e tegole di bronzo dal Pantheon per il baldacchino di San Pietro, ma anche per fondere alcuni cannoni. I Longobardi avevano qualche giustificazione in più.

due sante

La fama del tempietto è dovuta alla parete di ingresso, che è quella occidentale; lì è rimasta in buono stato di conservazione la decorazione in stucco (gesso, calce e polvere di marmo).
Al centro della parte superiore della parete c'è una monofora cieca, affiancata da sei sante, tre per parte; l'archivolto sopra la monofora ha una decorazione a trina, sempre in stucco, e poggia su colonne con capitelli corinzi. Lo spazio delle sante è delimitato da due fasce, una sopra ed una sotto, con un motivo di decorazione a rosette con paste vitree (in gran parte scomparse o sottratte). E' probabile che le statue in origine fossero di più e che questo tipo di decorazione proseguisse anche sulle altre pareti , oltre che su quella occidentale. Sono stati fatti dei tentativi di identificazione delle sante: Sofia, Irene, ma non c'è nulla di certo. Le figure sono allungate ed eleganti, richiamano le teorie di sante che si possono trovare nei mosaici di Ravenna, con qualche elemento di personalizzazione per evitare la ripetitività: nei lineamenti dei volti, negli oggetti che portano nelle mani, nella disposizione delle braccia, nei motivi decorativi delle vesti. Le grandi realizzazioni bizantine di Ravenna sono molto antecedenti il periodo in cui sono stati effettuati i lavori del tempietto di Cividale. Nella parte inferiore della parete, è mirabile la fascia decorativa che attornia la lunetta del Cristo Logos: un tralcio di vite con grappoli e pampini. E' un motivo di tipo eucaristico già presente nei sarcofagi paleo-cristiani ed anche nelle rappresentazioni bacchiche precedenti.

particolare della grande fascia


Nel tempietto, sono pregevoli anche l'iconostasi con plutei lisci e gli affreschi del XIII secolo, ma l'attenzione è rivolta inevitabilmente agli stucchi ed alla grande fascia che attornia la lunetta inferiore. E' una strana emozione, quella di trovare tale raffinatezza proprio in pieno alto medioevo: è attorno al 760 che questi stucchi sono stati realizzati. Ma non si tratta di un fiore senza gambo, anzitutto perché la grande arte romana e paleocristiana era presente ad Aquileia, il cui Patriacato era in concorrenza con quello di Forum Iulii, ma anche perché nei monasteri si sviluppava la grande arte dei codici miniati. Occorre farsi una domanda: che maestranze possono aver realizzato gli stucchi di Cividale? Quando parliamo dei due secoli di dominazione longobarda, diciamo una cosa in parte inesatta: diversi territori rimasero, con confini variabili, soggetti ai bizantini, e viene subito in mente Ravenna. Ma Cividale era stata conquistata dai Longobardi fin dal 568 ed è lontana da Ravenna. Si è fatta quindi una ipotesi suggestiva: in quegli anni era in corso nell'Impero d'Oriente la lotta iconoclastica, e questo può aver comportato che artisti perseguitati e privi di lavoro, quindi profughi, abbiano trovato a Forum Iulii la loro opportunità.
Un mio amico ha una fantasiosa teoria filogenetica , che si attaglia bene al tempietto di Cividale. Lo star bene, che è tipico del trovarsi in una chiesa antica, sarebbe anche collegato ai secoli in cui c'era un grande salto di qualità fra il modo di abitare quotidiano e la spazialità e la bellezza degli edifici sacri. Ad esempio ancora oggi, quando si arriva a Chartres, si vede questa ampia e mirabile costruzione e la città come accucciata tutto attorno. A Cividale questa sensazione si rafforza perché la passeggiata per arrivare al tempietto è assai suggestiva, lungo il Natisone che scorre molto in basso rispetto alla strada, con la visione del Ponte del Diavolo (naturalmente) e col passaggio pensile a suo tempo praticato per entrare nel tempietto senza passare per il convento. Ma soprattutto, il pensiero dei tempi in cui è stato costruito il tempietto. Gli stucchi di Cividale hanno una loro unicità proprio perché edificati in territorio completamente longobardo.

ara di ratchis


L'arte longobarda a Cividale non si esaurisce col tempietto: nel Museo Cristiano, a cui si accede dall'interno del Duomo, si trovano altre opere di quegli anni, e sono opere per diversi aspetti più vicine al gusto estetico dei Longobardi, anche se le influenze bizantine ci sono ancora.
L'Ara di Ratchis, anzitutto, che è un manufatto in pietra. Una iscrizione nella parte superiore delle lastre permette di datarla fra il 737 ed il 744, cioè nel periodo in cui Ratchis era duca del Friuli, prima di divenire re dei Longobardi. Nella lastra anteriore, è rappresentato Cristo nella mandorla, sorretta da quattro angeli; nelle lastre laterali la Visitazione e l'Adorazione dei Magi, nella lastra posteriore croci ed ornati geometrici.
La statica ieraticità è tipicamente bizantina, e lo è anche la moderazione nell'affollamento, ma la tendenza alla autodistruzione delle forme umane, certe volute asimmetrie (come le teste a pera rovescia, le braccia lunghissime) e l'espressività dei particolari fanno pensare a lapicidi locali che indossano le idee bizantine senza condividerle. Sembra che erodano le forme per trasformare il bassorilievo in altorilievo.

battistero di callisto


Sempre nel Museo Cristiano, il Battistero di Callisto (Patriarca dal 737 al 756 ), un portico ottagonale attorno alla vasca per immersione, fa pensare ad Aquileia ed all'arte paleocristiana, anche perché le colonne ed i capitelli di foglie d'acanto, eleganti come quelli del tempietto, sono dei secoli V-VI, ma nel pluteo di Sigvaldo, Patriarca dal 756 al 786, quindi dopo Callisto, tornano motivi zoomorfi di tipo barbarico, ed il gusto per l'ornato è lo stesso. Nei nomi c'è una parziale spiegazione: Callisto, nome greco, Sigvaldo, nome longobardo. Faticosamente, dopo quasi due secoli di separatezza, come attestato dagli studi che Alessandro Manzoni condusse quando scriveva l'Adelchi, si cominciavano a fondere romani e longobardi, e le cariche ecclesiastiche erano il tramite più agevole.
In Paolo di Warnefrido le due etnie coesistono. I suoi dati biografici sono emblematici: dopo la caduta del regno longobardo fu ospite per quattro anni alla corte di Carlo Magno, anche per agevolare la liberazione di suoi familiari che erano rimasti fedeli al re Desiderio, in particolare di suo fratello Arichi. Ma negli ultimi anni preferì ritirarsi nel monastero di Montecassino. La sua storia termina col regno di Liutprando, l'ultimo re longobardo ad ottenere dei successi militari e politici. Forse Paolo non aveva cuore di raccontare i trent'anni di decadenza prima della sconfitta finale. Paradossalmente, proprio in quegli anni e proprio nella sua città, Forum Iulii, si incontravano le due culture.

pluteo di sigvaldo


Dovevano passare ancora secoli perché Forum Iulii divenisse Civitas Austriae, da cui poi Cividale. Il tempietto c'è ancora, malgrado alluvioni e terremoti, ma soprattutto malgrado le guerre. Cividale è sempre stata una marca di confine: il Ponte del Diavolo fu fatto saltare in tutta fretta nel 1917 dagli italiani in rotta dopo Caporetto. Quando nel 1918 tornarono, il ponte era già stato ricostruito dagli austriaci, che non lo fecero saltare, la guerra era ormai finita.
Un esempio singolare della situazione dei Longobardi, che dominarono militarmente per due secoli, ma che erano costretti a dipendere culturalmente da civiltà più evolute, è quello, visibile a Cividale, delle monete d'oro, i tremissi. Per i longobardi la moneta non era un mezzo, ma un possesso, proprio come se fosse un gioiello. Difatti, non aveva molta importanza il conio, la monetazione vera e propria, per cui, dopo il loro arrivo in Italia, i tremissi continuarono ad avere le effigi degli imperatori bizantini, salvo passare alle immagini dei re Franchi alcuni decenni prima della sconfitta finale.
Fra i diversi siti che danno utili informazioni mi piace indicarne tre: il Cividale on line, il Cividale Com ed il Comune di Cividale. Per le immagini, il Courtauld Institut e Thais.


tremisse tremisse



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  24 aprile 2004