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la dichiarazione d'amore


Giandomenico Tiepolo a Vicenza
Contadini e signori in villa Valmarana
a cura di Primo Casalini



il pasto dei contadini (particolare)
Il 3 settembre 1786 Wolfgang Goethe parte da Weimar per il suo viaggio in Italia. Pochi giorni dopo, il 24 settembre, così scrive: “Oggi ho visitato la villa Valmarana che il Tiepolo ha decorato, lasciando libero corso a tutte le sue virtù e ai suoi difetti. Lo stile sublime non gli è riuscito come il naturale, ma in questo vi sono cose deliziose; come decoratore in generale è pieno di felicità e di bravura”. Goethe non sapeva che a Villa Valmarana i pittori erano stati due: Giambattista Tiepolo (lo stile sublime) e suo figlio Giandomenico (lo stile naturale). Anzi tre, considerando il geniale “quadraturista” Gerolamo Mengozzi-Colonna, che accompagnava le più grandi imprese di Giambattista con le sue scenografiche prospettive. Quello di Goethe non è un lapsus da turista distratto: solo nel 1941 Antonio Morassi attesterà l'esecuzione da parte di Giandomenico Tiepolo di diversi affreschi, in particolare di quasi tutti quelli nella foresteria della villa. Nel 1786 Giambattista era morto da sedici anni, ma Giandomenico era vivo ed operoso, sarebbe morto a Venezia il 3 marzo 1804, quasi vent'anni dopo la visita di Goethe a Vicenza. Eppure, gli affreschi di villa Valmarana venivano attribuiti al solo Giambattista. Noi, che in fondo siamo ancora figli dell'epoca romantica, immagineremmo chissà quali contrasti familiari, quali frustrazioni, nel figlio che opera come aiuto del padre e che deve nascondere il suo nome. La risposta è probabilmente assai semplice: la ditta Tiepolo aveva avuto per cinquant'anni un incredibile successo in Italia ed in tutta Europa, ed il marchio andava salvaguardato. Le altre considerazioni passavano in second'ordine. Il 25 maggio 1736, il conte Tessin, ambasciatore di Svezia a Venezia, scriveva al suo re: “Tiepolo, chiamato Tiepoletto, è fatto apposta per noi… con un fuoco inesauribile, un colore splendido ed una rapidità sorprendente. Fa un quadro in meno tempo che ad altri occorre per stemperare i colori…”, e voleva portarselo in Svezia per fargli affrescare il Palazzo Reale di Stoccolma, solo che Giambattista gli chiese una cifra tale, che il Tessin si mise a chiamarlo Tiepolazzo, altro che Tiepoletto! Si vede che era destino che tardasse tanto il riconoscimento delle opere di Giandomenico a villa Valmarana: ci si mise anche l'errore nella lettura di una data. Difatti, proprio nella foresteria si lesse in un affresco la data 1737, che tolse di campo la possibile partecipazione di Giandomenico, che era nato il 30 agosto 1727, quindi era impensabile che a dieci anni fosse in grado di affrescare pareti di ville venete. Fu proprio Antonio Marassi che, non fidandosi di dati troppo scontati, rilesse con attenzione la data, e si accorse che era 1757, non 1737, ed allora tutto tornò a posto, sia la partecipazione del trentenne Giandomenico, sia la cronologia critica di Giambattista, perché non si capiva come ci fosse un salto così grande fra le opere accertate attorno al 1735 e quelle di villa Valmarana.

il riposo dei contadini

Padre e figlio abitualmente operavano insieme: Giandomenico aveva accompagnato il padre a Wurzburg, per la colossale impresa che durò tre anni, gli affreschi dello scalone e della Kaisersaal della Residenza - centinaia di metri quadri, definiti da qualcuno l'enciclopedia della pittura del Settecento - e aveva partecipato alla stesura degli affreschi fianco a fianco con Giambattista, specie nelle sovrapporte e nelle parti di minor rilievo degli affreschi. Con loro c'era anche il quattordicenne Lorenzo Tiepolo alle sue prime armi. Giambattista amava inserire il suo autoritratto quando si presentava l'occasione: l'aveva fatto negli affreschi giovanili di Udine, ed in un “Alessandro e Campaspe nello studio di Apelle” in cui si raffigura proprio come Apelle, vestito alla moderna e circondato dalle opere del suo studio. Nel soffitto dello scalone della Residenza di Wurzburg si rappresenta col figlio Giandomenico, che ha l'aria di un giovane gentiluomo incipriato.

giambattista e giandomenico a wurzburg

A villa Valmarana, la novità è che i Tiepolo si spartiscono gli ambienti: il padre affresca la villa, il figlio la foresteria, anche se entrambi faranno qualche piccola invasione di campo. E Giandomenico, che quando faceva l'aiuto del padre, cercava in tutti i modi di imitarne al meglio lo stile, a Vicenza esprime se stesso, il suo modo di intendere la pittura, che è abbastanza diverso da quello del padre. C'è la Stanza Cinese, con soggetti esotici, la Stanza delle Scene Carnevalesche, e ci sono la Stanza Campestre e la Stanza cosiddetta Gotica (per le decorazioni architettoniche). Nelle ultime due c'è lo stile naturale di cui scriveva Wolfgang Goethe: la vita in campagna dei contadini ed anche dei signori, per i quali sarebbe il caso di parlare di villeggiatura, alla Goldoni, che proprio in quegli anni scriveva la Trilogia della Villeggiatura. Intanto, nelle stanze della villa, il padre affrescava episodi dell'Iliade, dell'Eneide (sarebbe meglio dire della Didone abbandonata del Metastasio), dell'Orlando Furioso e della Gerusalemme Liberata. Scegliendo, quando poteva, gli episodi sentimentali a dispetto di quelli epici. Un bell'inserto di Giandomenico è quello dei contadini in un episodio con Angelica e Medoro.

il pasto dei contadini

Nella Stanza Campestre sono raffigurate una serie di scene di vita quotidiana dei contadini.
Si vede un pasto di contadini all'aperto: c'è un tavolo, coperto da una tovaglia decorosa ed ampia, su cui troneggia una monumentale polenta. In piedi accanto al tavolo c'è una giovane donna, incinta all'ottavo mese e mezzo, che sta mangiando da una scodella appoggiata sulla pancia prominente. Dietro di lei un'altra donna è rivolta verso la staccionata al di là del tavolo, su di cui c'è una pianta rampicante con un solo frutto: una considerevole zucca. Seduto su uno sgabello, volgendo la schiena a noi, c'è un contadino che sta mangiando e regge su un ginocchio il figlioletto nudo e grassoccio. Un bel cane da caccia sta protendendo il muso verso di loro, attirato più dal cibo che dalle eventuali carezze di cui i contadini sono sempre stati parchi, allora come oggi. Un giovane, seduto per terra in primo piano, beve da una larga scodella e ci sta guardando; vicino a lui, un canestro di vimini. Una fiasca, una terrina ed un piatto sono per terra quasi in primo piano. In alto, tre alberi fronzuti disegnati in modo accademico, difatti tornano come ripetitiva quinta anche negli altri affreschi.
Nel riposo dei contadini c'è un giovane in una curiosa posa, da indifférent agreste, con una roncola in mano; un altro personaggio è barbuto e con uno sgargiante panciotto azzurro ed un cappellaccio di paglia nuovo nuovo; a gambe accavallate, ci mostra un nerboruto polpaccio. Dietro c'è una donna col fuso - le donne lavorano anche durante il riposo – ed un altro giovane, disteso a pancia in giù a bordo stagno, la sta guardando. A sinistra, si intravede la casa dei contadini. Per terra, una pala luccicante al sole, la fiasca, canestri, rami foggiati a bastone, e la solita quinta di piante fronzute, una con foglie già da autunno incipiente, le altre no, siamo ancora d'estate.

contadine che vanno al mercato

Nelle contadine che vanno al mercato, due donne ci volgono le spalle e camminano verso il mercato in città, hanno il vestito buono, dei curiosi cappellucci di paglia, le scarpe da città ai piedi, probabilmente sofferenti, e da una dei due canestri sbuca il capo crestuto di una gallina. Le precede una bambina bionda ben vestita ma scalza, che guarda a lato della strada con in mano un suo bastoncello. Solite piante, qualche uccello in volo con le ali larghe.
La contadina seduta (accosciata, per dir meglio) è stanca, anziana ma vigorosa. Impugna con forza il grande canestro pieno di uova, che poggia sulle sue ginocchia, non si fida a lasciarlo sul prato. Ha vicino a sé un altro canestro, vuoto però, ed un mirabile bastone a T. Più in là, si vede la città, bisognosa di uova.

contadina seduta

Nella Stanza Gotica, ci sono invece le scene di vita quotidiana dei signori.
La dichiarazione d'amore mostra due figurini alla moda. Un cicisbeo sta parlottando serio serio, da indifférent un po' coinvolto, alla dama che l'ascolta col capo inclinato, però dall'altra parte, lusingata ma freddina. Obiettivamente la dama sta ricevendo quel che è suo, se no che cicisbeo ha? Eleganti entrambi, specie nei copricapi (fra turcheschi e circensi) e nelle scarpe a punta acuminata. Sullo sfondo la città, ancora più in là due montagne, una tutta brulla, una innevata. In primissimo piano, in basso a destra, il vero protagonista: un magnifico canestro da cui fuoriesce un panno sicuramente ampio e spesso. C'è anche un bastone, stavolta piuttosto nodoso.
La passeggiata estiva non è una passeggiata, perché stanno fermi. Due dame con ampli ventagli e un gentiluomo in mezzo a loro, che guardano il panorama alla doppia ombra di una conifera secolare e di un parasole appena giunto dalla Cina. Le scarpe evidenziano i piedoni dell'uomo rispetto ai vezzosi piedini delle dame.

la passeggiata estiva

La passeggiata invernale: ci guardano due dame, una giovane, l'altra meno, con vestimenti imbottiti, parrucche ampie e manicotti. Due passi avanti a loro, una damina con mantelletta, manicotto, scarpe troppo leggere ed una specie di colbacco, più turchesco che russo. Questa scena è il contrappasso delle contadine che vanno al mercato, che vedevamo di schiena, qui le dame le vediamo in faccia, e vengono lento pede verso di noi, la damina le precede di due passi, esattamente come la bambina bionda a piedi scalzi con le due contadine.

la passeggiata invernale
Per questi affreschi di Giandomenico si usa di frequente il termine di arcadico. MI sembra che fosse più appropriato il naturale utilizzato da Goethe. Naturale non è sinonimo di realista, e anche se i vestiti, i bastoni, i cappelli, gli attrezzi, i canestri (persino le scarpe… ) sanno di una naturalezza molto fantasiosa, non c'è quella ripetitività di tante pastorellerie del '700 non solo veneziano. Sia nella rappresentazione dei contadini che dei signori Giandomenico è ironico, sottilmente perché personalizza la sua ironia alla rappresentazione, e perché è una ironia non distaccata e fredda, ma piena di curiosità. Un atteggiamento illuminista, confermato da altre opere: le maschere, i ciarlatani, i minuetti, gli esotismi non sanno di nostalgia, ma di effrazione, sia pure lieve. L'attenzione che l'imponente opera grafica di Giandomenico susciterà in Goya lo conferma. La naturalezza, l'ironia, la curiosità gli permettono di guardare in avanti, nel secolo che si avvicina. Lo aiuta anche il suo colore privo di retorica, definito acidamente mattonoso da qualche critico incantato dalle mirabilie del colore di Giambattista. Le vesti dei signori non avrebbero quell'eleganza così ridicolmente coinvolgente, se Giandomenico avesse usato le consuete bellurie, che attenuerebbero le stranezze delle forme dei cappelli, degli sbuffi, dei manicotti, dei ventagli. Nei suoi ultimi anni, Giandomenico si ritira nella villa di Zuinigo, acquistata dai Tiepolo, e dipinge solo per sé, ed oggi gran parte di quei dipinti sono a Ca' Rezzonico, il grande museo del '700 veneziano.
Certamente Giambattista Tiepolo è più pittore del figlio, aveva ragione il conte Tessin che se lo voleva portare a Stoccolma. La sua sbalorditiva facilità resiste per più di cinquant'anni, sempre ad alto livello, con delle punte straordinarie ad Udine, a Milano, a Wurzburg, nel palazzo Labia di Venezia, nella stessa villa Valmarana. A volte chi ha meno facilità, chi è costretto a faticare per tenere il passo, scopre dei sentieri impensabili. E' quello che succede a Giandomenico, e che succede anche al Bellotto, nel rapporto con il Canaletto, che era suo zio. Nei paesaggi del Bellotto si avverte di frequente una sensibilità preromantica, che nella luce dorata del Canaletto non ha tempo e luogo per apparire. Facendo un salto temporale, sappiamo tutti che il genio fra i Carracci è Annibale, ma nel cugino Ludovico c'è un sentimento morale, una attenzione al quotidiano, un coinvolgimento emotivo di chi guarda che in Annibale c'è meno o più di rado. Non si tratta di fare indagini sulle rivalità, sulle invidie, sulle frustrazioni (soprattutto quelle non dette) che si creavano in quei cantieri, che in qualche modo richiamano il set di un film, Effetto notte di Truffaut, ad esempio. Sarà stato così anche per Giandomenico nei rapporti col padre, ma va detto che questi, Tiepoletto o Tiepolazzo che fosse negli affari, nei rapporti con la famiglia fu tutt'altro che sbadato o peggio. Si sposò il 21 novembre 1719 con Cecilia Guardi, sorella di Francesco, il grande pittore. Ebbero nove figli , e gli ultimi anni di vita (dal 1762 in poi) Giambattista li passò in Spagna per affrescare il Palazzo Reale di Madrid. Non voleva andare, fu praticamente costretto dalla Repubblica di Venezia che non voleva dispiacere al re di Spagna. Il 23 marzo del 1770, Giambattista moriva improvvisamente a 74 anni, e un documento attesta che l'8 gennaio il pittore aveva spedito ricchi doni alla moglie. La notizia della scomparsa di Giambattista Tiepolo sarebbe giunta a Venezia il 21 aprile. Giandomenico l'aveva seguito anche nella impresa spagnola, ma già nel 1770 era di nuovo a Venezia. E c'è una lettera curiosa di Giambattista (11 luglio 1760), che si trovava a Strà, località vicinissima a Venezia, ad affrescare la Villa Pisani. Nella lettera Giambattista scrive agli Accademici di Parma di essere in quel periodo ”lontano… dalla Patria”. A Strà. Questo, per loro, era il rapporto con Venezia.

il canestro, il panno ed il bastone (particolare della dichiarazione d'amore)



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  4 settembre 2004