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L'Agner visto da Agordo


In cima all'Agnèr
a cura di Giorgio Casera


L'Agnèr: 2.872 rispettabili metri e un aspetto imponente. Ma per me, nelle estati degli anni '50 trascorse nel paese dei nonni, era solo il monte del paesello, sovrastato dalla fama e dall'altezza dei vicini Civetta (3.220 m.) e Marmolada (3.343 m.). E anche nello stesso gruppo di appartenenza, quello delle Pale di S. Martino, di cui costituiva la parte sud-est, c'erano delle cime più famose e più alte (Cimon della Pala, Cima della Vezzana etc).
Nelle escursioni che ci portavano dagli 850 m. del paese ai 1600 della malga, la vista della montagna, appena usciti dal bosco e appena inoltrati nei pascoli della malga, significava il prossimo arrivo a destinazione, e quindi era particolarmente gradevole. Presso la malga avremmo assaggiato il latte munto la mattina presto e fatto rifornimento di burro e formaggio per un paio di settimane. Poi ci saremmo rilassati osservando il bestiame al pascolo nella cornice spettacolare dei monti incombenti, prima di riprendere la via del ritorno. Insomma, l'Agnèr era un “contorno” della vacanza. In seguito, però, la mia considerazione era destinata a crescere.

i pascoli della malga

Molti anni più avanti, infatti, chiaccherando con i colleghi di lavoro, davanti alle macchinette del caffè, di piani di ferie o di ferie fatte, avevo incidentalmente accennato all'Agnèr e avevo notato un lampo di interesse nello sguardo di chi sapevo appassionato di roccia. Allora qualcuno aveva parlato di una mitica “parete nord di 1500 m. di verticale” e qualche altro di più o meno fortunate ascensioni. E questo mi avevo spinto a saperne di più.
In effetti la parete nord “esisteva” ed era nel versante opposto a quello del mio paese, ed ha rappresentato qualcosa nella storia del'alpinismo, non solo italiano, come vedremo in seguito.

La prima ascensione “documentata” avvenne però dal versante sud, quello più conosciuto e frequentato per via dei pascoli per l'alpeggio che arrivavano fino ai 1800 m. Accadde nel settembre del 1875 ed ebbe come protagonisti due abitanti del paese, Tomaso Dal Col e Martino Gnech, insieme ad un appassionato di Agordo, la cittadina del fondovalle, Cesare Tomè. Dal Col e Gnech erano cacciatori di camosci e abituali frequentatori delle montagne intorno all'Agnèr, e non è escluso che ci siano saliti in precedenza, nelle loro partite di caccia. Cesare Tomè fonderà di lì a poco la sezione del CAI di Agordo (la seconda in Italia!) ed a lui è dovuta la relazione sull'ascensione. Tomaso Dal Col troverà spunto da questa impresa per intraprendere la carriera di guida alpina.

Il versante sud
il versante sud

Una quindicina di anni fa, in estate, ero impegnato nella ristrutturazione della casa dei nonni, una ormai vecchia casa di montagna che aveva bisogno di essere adeguata ai nuovi standard abitativi.
Lavorava con me Piero, un mio coetaneo del paese, muratore per necessità e naturalista per passione. Nelle lunghe chiaccherate durante il lavoro avevo appreso innumerevoli nozioni sulle erbe, i fiori, gli animali selvatici, le piante e i funghi del posto. Inoltre era cacciatore (ma alla Rigoni Stern!), pescatore di trote, sciatore (alpino) e non disdegnava le arrampicate. Non era uno specialista, per lui la montagna faceva parte della più ampia natura dolomitica, ma aveva scalato tutte le cime della zona raggiungibili con ferrate o comunque senza particolari attrezzature. Ovviamente era stato più volte in cima all'Agnèr.
Beh, una chiacchera tira l'altra, cominciammo ad ipotizzare un'ascensione insieme sull'Agnèr, io con qualche ritegno (ero già sui 45) e lui ad incoraggiarmi. Lo considerava assolutamente fattibile, soprattutto dal nostro versante, il sud utilizzato dai primi scalatori, anche per un “cittadino” purché con un minimo di allenamento; ed io sono un appassionato di camminate in montagna.
Un giorno arrivò a casa per dirmi che quel giorno avrebbe lavorato altrove per un'emergenza, ma che l'indomani si sarebbe preso un giorno di libertà dal lavoro per dedicarlo al nostro progetto.

La mattina dopo, in cui si prospettava una magnifica giornata, lo aspettavo sotto casa, zaino in spalla pieno delle cibarie necessarie, dell'acqua, maglioni e giacca a vento per eventuali imprevisti.
Piero passò alle 5 a prendermi con la sua macchina e ci allontanammo dal paese un paio di chilometri sulla statale per poter prendere il sentiero più breve per la malga “Agnèr di fuori”, prima tappa della nostra escursione.

dintorni della malga
dintorni della malga  
parete sud in inverno
parete sud in inverno  
 
Ci inoltrammo nel bosco, ancora impenetrato dalle prime luci dell'alba, e cominciammo la salita verso gli alpeggi. L'aria era fresca ma presto ci riscaldammo per il movimento continuo e regolare. Sia pure col fiatone riuscii a tenere il ritmo di Piero, tant'è che alle 6 raggiungemmo la malga, dove ci trattenemmo 5 minuti a scambiare qualche parola con i malgari.
Poi, via di nuovo, lungo il sentiero di collegamento con altre malghe più ad ovest, fino a raggiungere, nella sommità di una collina, il sentiero di attacco all'Agnèr. E qui cominciarono i dolori! Dovevamo raggiungere una specie di piano inclinato alto fatto di rocce e di rade erbe (un pascolo per camosci, insomma) e il sentiero si dimostrò subito molto ripido, con rapide giravolte per superare il dislivello. Salii con fatica cercando di non farmi distanziare troppo da Piero, e ci volle quasi un'ora per guadagnare solo 200 m. di quota.

Raggiunto l'altopiano fu necessaria una sosta per rifocillarci, e così cominciammo ad alleggerire i nostri zaini di cibi e bevande. Ne approfittammo anche per dare un'occhiata ai panorami intorno, coi binocoli, il fondovalle, i pascoli, le montagne verso sud. Essendo a quasi 2000 m. di quota la vista era già imponente.

Riacquistati così energia e coraggio riprendemmo la marcia: per un po' il sentiero fu abbastanza praticabile, su questa superficie di erbe e rocce non troppo ripida, finché arrivammo alla nuda roccia. Salimmo anche qui senza troppe difficoltà attraversando obliquamente la parete ovest della montagna seguendo i segnavia tracciati sulla roccia, aiutandoci con le mani quando necessario.
Sulla sinistra in basso scorreva un canalone pieno di detriti di roccia che terminava in alto nella forcella dove eravamo diretti, e che separava l'Agnèr da un gruppo di cime vicine, i Lastei.
In questo tragitto non mancammo di ammirare le “torri” che ci affiancavano sulla sinistra, i tre Lastei d'Agnèr con l'appendice del Becco d'Aquila, e il Campanile di S. Marco, più in basso.
Fu comunque un'operazione lunga e lenta, visto che arrivammo al Bivacco Biasin, situato sulla stretta forcella sul fianco ovest dell'Agnèr, verso le 9.30, all'altezza di 2623 m. Il bivacco era una costruzione metallica a forma di semibotte, colorata di rosso e assicurata alle rocce con cavi di acciaio. Costituiva un riparo per gli alpinisti di passaggio (noi ne approfittammo oltre che per tirare il fiato anche per ripararci dal vento gelido che arrivava da nord).

in vista del bivacco Biasin
in vista del bivacco Biasin  
 
Al suo interno c'erano alcune cuccette per permettere pernottamenti di emergenza. Era quasi in bilico tra i due versanti nord e sud della catena. La vista sul versante nord era impressionante: il fondovalle, la valle di S. Lucano è a circa 600 m. di altitudine, quindi ci separavano 2000 m.! Osservando sulla destra il profilo della montagna ne rilevammo la lunghissima parete a strapiombo.


Nel settembre 1921 Francesco Jori, Arturo Andreoletti ed Alberto Zanutti compivano la prima ascensione della parete Nord, partendo da Agordo alle 5 del giorno 14 e arrivando in vetta all'Agnèr il giorno dopo alle 18 (quindi con un bivacco in parete!). Francesco Jori era il capocordata, nativo della Val di Fassa, maestro elementare e appassionato alpinista; Andreoletti e Zanutti, l'uno milanese e l'altro triestino, si erano conosciuti durante la Grande Guerra, avendola vissuta nella Val Cordevole, tra Agordo e il Col di Lana. Mi piace pensare che nelle pause della permanenza al fronte potessero, osservando la montagna, trovare il necessario relax facendo piani di future ascensioni. Dalla Valle di S. Lucano potevano vedere distintamente i 1500 metri di parete, e dalla impressionante difficoltà che potevano intuire ricavare lo stimolo per una sfida futura.


 
 lo spigolo della parete nord
lo spigolo della parete nord
 
Ci riposammo qualche minuto e ci “ricaricammo di energia”, come fatto qualche ora prima, per affrontare l'ultimo ostacolo. Era una ferrata che ci avrebbe permesso di arrivare in cima superando l'ultimo dislivello di 250 m. ed il suo percorso era sulla parte nord della montagna. La affrontammo con decisione, ormai vedendo la meta a portata di mano. Naturalmente bisognava salire con pazienza e sicurezza, la roccia può sempre essere infida e gli appigli debbono essere provati prima di forzarli. Ma Piero mi aveva abbondantemente catechizzato durante la salita e quindi sapevo come comportarmi. Alle 10.15 arrivammo alla sommità, salutati dai fischi delle marmotte, che dovevano essere ben nascoste negli anfratti perché non riuscivo a vederle.
La cima del monte Agnèr è una piattaforma irregolare di circa una diecina di metri di lato e quindi ci disponemmo comodi per riposarci dell'ultima fatica e per guardarci intorno.
Ebbene, dire che la vista era fantastica è un eufemismo….
Sotto i nostri occhi “sfilavano” le vette grandi e piccole delle Dolomiti Orientali: ad ovest la Croda Grande, poi il complesso delle Pale di S. Martino fino al Focobon, e ancora, più lontani, il Latemar e il Catinaccio; a nord, vicinissime e “in basso” (2400 m.) le Pale di S. Lucano, poi la grande Marmolada dietro la quale si stagliava il gruppo del Sella, e, sulla destra le Tofane di Cortina; a nord-est il Civetta e la Moiazza, dietro cui si intravede il Pelmo; ad est le Pale di S. Sebastiano, così familiari perché di fronte a casa, poi lo Schiara con la curiosa Gusela del Vescovà (Ago del Vescovo), roccia lunga e sottile. Infine al sud i Monti del Sole (nome appropriato perché da quella parte splendeva un sole sfolgorante), racchiusi nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, oltre i quali si intravedeva la pianura fino a Venezia. Insomma, un “mare” di vette, alcune con contorno di nuvole.



 la via dei sudtirolesi nella parete nord
la via dei sudtirolesi nella parete nord
 
Il 13 febbraio 1968 Reinhold Messner, S. Mayerl e H. Messner compivano la prima ascensione invernale della parete Nord, tracciando la cosiddetta “Via dei Sudtirolesi”. Reinhold sentì il bisogno di scrivere ad Arturo Andreoletti che “per me la prima invernale è stata la più ardua lotta in montagna. Mi levo il cappello davanti ai primi salitori di questa più lunga parete delle Dolomiti ed oggi dopo 47 anni Le voglio dire la mia congratulazione per la sua bellissima impresa…”


Ci godemmo il sole e il panorama per una mezzora, poi, con qualche riluttanza, iniziammo la discesa. Che richiedeva altrettanto impegno della salita, forse meno faticosa ma con massima attenzione a dove si mettono i piedi. Ritrovammo il bivacco e poi lunga discesa verso i pascoli; unica variante nel rientro un lungo tratto in discesa di roccia levigata che ci permetteva di andare diritti senza le giravolte del sentiero. Io lo percorsi con prudenza, appoggiando bene le mie suole di vibram che facevano attrito sulla roccia asciutta, Piero andò giù più spedito e dopo un po' lo vidi lontano. Poco male, l'appuntamento era alla malga.

Dove arrivai verso le 3 del pomeriggio abbastanza stanco, ma trovai anche una polenta fumante che Piero aveva fatto preparare per il mio arrivo. Un bel pranzo caldo era quello che ci voleva prima del ritorno a casa, dove giunsi poco prima delle 18, distrutto ma “quattro metri sopra il cielo”, come scrivono sui muri i ragazzi di oggi.

panorama dalla cima

P.S. Ho voluto citare nel mio racconto, con nome e cognome, alcuni dei protagonisti della storia alpinistica dell'Agnèr. E' stato il mio modo di “levarmi il cappello”, come Messner, davanti a queste persone e alle loro imprese; le notizie le ho ricavate dal libro "Agnèr - Il gigante di pietra" di Bepi Pellegrinon.
Le fotografie del versante Sud e del bivacco Biasin sono tratte dallo splendido libro-guida di Luca Visentini "Pale di San Martino" (Athesia); le due della parete Nord e del relativo spigolo dal sito www.paretiverticali.it, le altre sono dell'autore.


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  3 febbraio 2007