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i bei momenti


Il Museo della Guerra per la Pace
foto Franco Isman


Il Museo della Guerra per la Pace
e quello che a Trieste “no se devi dir”
di Franco Isman


Vita e morte di Diego de Henriquez

Diego de Henriquez nacque a Trieste nel 1909 da una nobile e ricca famiglia di origine spagnola. Era bambino quindi durante la Grande guerra, mentre nel 1941, ufficiale delle Camicie nere, fu richiamato alle armi ma, anziché prestare servizio attivo, propose e ottenne dai suoi superiori di realizzare una collezione di armi d'epoca venendo assegnato a tale compito con il grado di caporale. Questa era da sempre la sua grande passione, addirittura la sua mania, fin quando da bambino raccoglieva residuati bellici sul Carso e in seguito acquistava dai rigattieri soldatini di piombo e di altri materiali, divise, medaglie, mostrine e oggetti vari.
Strano e contradditorio hobby per uno che, pur educato nella mistica fascista, si è poi dichiarato pacifista convinto.

Diego de Henriquez
  Diego de Henriquez in divisa di sottotenente delle Camicie nere (da un tabellone del museo)

La collezione di armi divenne lo scopo della sua vita, e per salvaguardarla non esitò a collaborare con tutte le forze che si succedettero nel governo di Trieste, dai fascisti ai tedeschi, dai titini, nei 40 giorni di occupazione, agli anglo-americani. Si racconta che ebbe una parte importante nel trattare la resa della guarnigione tedesca agli alleati ottenendo altresì la divisa del comandante per la sua raccolta. Alla collezione destinò poi tutta la sua fortuna tanto che a Trieste lo chiamavano "el mato dei canoni".
Armi di tutti i generi, della Prima e della Seconda guerra mondiale, pezzi unici o quasi come l'obice 305/17 della Grande guerra, esposto al museo, o come il cannone “atomico” di Hitler montato su carro ferroviario, o il sommergibile “tascabile”. E poi carri armati di tutte le nazionalità e di tutte le dimensioni, da quelli italiani agli Sherman e ai panzer, e cannoni, mitragliatrici, ambulanze, cucine da campo, fucili, mazze, lanciafiamme, bombe, proiettili, elmetti, corazze. Migliaia di libri e carte topografiche, moltissimi documentari, decine di migliaia di fotografie in parte secretate perché documentano i crimini di guerra italiani in Libia ed Etiopia prima e in Slovenia poi.

Diego de Henriquez


























  El mato dei canoni

De Henriquez ebbe poi un'altra abitudine, quasi una mania anche questa: annotava tutto quello che gli veniva raccontato che gli sembrava interessante. In questo modo, a partire dal 1941, aveva riempito circa 300 quadernetti per oltre 50.000 pagine, tutte numerate, scritte in calligrafia minuta ma leggibilissima; nel museo ne sono esposti alcuni ma senza nessuna riproduzione di quando annotato negli anni. Chi l'ha conosciuto racconta che nel corso di un discorso interrompeva l'interlocutore dicendo “la me scusi, ghe dispiasi ripeter quel che la ga dito” e annotava, cose che potevano avere qualche rilievo ma anche una barzelletta che gli era piaciuta.
Riportava quanto gli veniva raccontato senza fare commenti: una cronaca fedele ma senza alcun controllo della sua veridicità. In questo modo sui suoi librettini si trovano testimonianze importanti: sull'occupazione italiana della Slovenia e sui crimini commessi, sulla Risiera di San Sabba dove aveva passato giorni e notti a ricopiare i graffiti sui muri sia delle piccole celle che del camerone al primo piano, l'attuale sala delle croci; si dice vi fossero le denunce dei prigionieri nei confronti dei delatori che li avevano venduti ai nazisti, ma non poté completare l'opera perché dopo alcuni giorni squadre di operai imbiancarono tutte le pareti.
Una quantità enorme di informazioni sull'occupazione nazista e le simpatie dei triestini, sul CLN e la duplice insurrezione, sui 40 giorni dell'occupazione titina, sulla resa dei tedeschi e su quanti di loro a Trieste erano rimasti e vi si erano sistemati. Date le sue frequentazioni aveva ricevuto confidenze anche sulla strage di Peteano, commessa dai neofascisti di Ordine Nuovo, e sul caso Argo, legato alla P2, tanto che tutti i libretti relativi furono acquisiti all'inchiesta del PM Carlo Mastelloni che ha condotto l'unica indagine giudiziaria nel nostro paese sulla strategia della tensione.

quadernetti
  i quadernetti delle annotazioni - cliccare per ingrandire

De Enriquez, sempre nella speranza che la sua collezione venisse rilevata da un ente pubblico, in primis dal Comune di Trieste, diede fondo a tutte le sue fortune e fu costretto a venderne qualche pezzo; negli ultimi anni si diede all'alcool e si ridusse a vivere quasi come un barbone. Una leggenda metropolitana, avallata peraltro dal maggiore quotidiano italiano, vuole che mangiasse in una bettola dove ordinava un piatto di 6 o 9 fagioli…

Diego de Henriquez morì in circostanze misteriose il 2 maggio 1974, durante un incendio sviluppatosi di notte in uno dei suoi depositi dove abitava, dormendo in una bara, raccontano. L'inchiesta fu estremamente sommaria e il caso fu rapidamente archiviato come incidente senza nemmeno procedere all'autopsia; fu riaperta dopo alcuni anni ed è molto probabile che l'incendio sia stato in realtà doloso e de Henriquez sia stato ucciso perché a conoscenza di molte verità scomode. Si è parlato dei graffiti della Risiera, ma si tratta di annotazioni di trent'anni prima, si è parlato di una testimonianza sulle foibe che doveva rendere in Tribunale pochi giorni dopo, si è detto di una fotografia di un noto professionista triestino raffigurato in Slovenia mentre presenziava ad una fucilazione. Ne è stato perfino scritto un libro giallo.
Alcuni dei suoi libretti e dei suoi documenti, in possesso del Comune di Trieste, sono ancora secretati in quanto non sono passati 50 anni dalla loro stesura. Quelli precedenti si possono consultare e ne sono anche stati pubblicati degli stralci. D'altra parte, come già detto, non si tratta di testimonianze dirette ma di dichiarazioni di persone a conoscenza o addirittura implicate nei fatti narrati.


Il museo propriamente detto

il funerale il carro funebre semi distrutto il carro funebre restaurato
  il funerale - il carro funebre pressoché distrutto - il carro restaurato

Il 28 giugno del 1914, giorno di San Vito e festa nazionale serba, furono assassinati a Sarajevo l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria-Ungheria, e sua moglie Sofia durante una visita ufficiale nella città bosniaca. Il gesto fu assunto dal governo di Vienna come casus belli e diede formalmente inizio alla prima guerra mondiale (da Wikipedia). In realtà, dopo un secolo di pace seguito alla sconfitta di Napoleone, le grandi potenze europee, Triplice alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia) e Triplice intesa (Francia, Gran Bretagna e Russia) avevano numerosi interessi contrapposti e si guardavano con reciproco sospetto. L'Italia dichiarò inizialmente la sua neutralità per poi abbandonare la Triplice alleanza ed entrare in guerra il 24 maggio 1915 a fianco degli alleati dell'Intesa.

vista generale
  la parte introduttiva del museo

Il 28 giugno 2014 è stato inaugurato a Trieste il “Museo della Guerra per la Pace Diego de Henriquez“, da questi “inventato” e strenuamente voluto, finalmente realizzato dal comune di Trieste che, dopo alterne vicissitudini, ha acquisito la proprietà dei materiali raccolti da Henriquez. Si è giustamente iniziato proprio dai reperti relativi alla Grande Guerra che sono stati restaurati da una ditta specializzata essendo in un grave stato di degrado per il lungo abbandono all'aperto. E' in programma un successivo ampliamento con l'esposizione di tutti gli altri oggetti, in particolare di quelli relativi alla Seconda guerra mondiale che sono i più “monumentali” comprendendo carri armati, “Annie” il cannone “atomico” di Hitler e addirittura un piccolo sommergibile. C'era anche un ponte costruito dagli Alleati sul Canale che Henriquez ha dovuto vendere (a prezzo di rottame) per sopravvivere.

La sala espositiva del piano terreno inizia quindi con l'attentato di Sarajevo e in particolare con la cerimonia svoltasi a Trieste per la traslazione delle salme arrivate via mare e fatte proseguire in treno alla volta di Vienna. Un bellissimo filmato del funerale, splendide fotografie con le navi attraccate al molo San Carlo, oggi molo Audace dal nome del cacciatorpediniere della marina italiana che per primo attraccò a Trieste il 3 novembre 1918, e addirittura il carro funebre di Zimolo usato per la cerimonia, splendidamente restaurato (in realtà si tratta di uno molto simile in quanto l'originale era andato completamente distrutto). Zimolo è, da sempre, la principale ditta di pompe funebri di Trieste, così famosa che c'è anche una strofa di una filastrocca di inizio '900 sull'emigrazione che dice: “magari col carro de Zimolo, in America mi voio andar…”

Poi cannoni e obici di grosso calibro, pezzi rari o addirittura unici, come l'obice 305/17, cui si è già accennato, che pesa in batteria 33,8 tonnellate, spara (fino a 5 colpi al minuto) proiettili di 440 chilogrammi (che costavano oltre mille lire dell'epoca) alla gittata massima di 17.600 metri. Costruito a partire del 1909 si arrivò ad avere un massimo di 47 bocche da fuoco alla fine della guerra, furono usati anche nella Seconda guerra mondiale e rimasero in servizio fino al 1959.

Ci sono i lanciafiamme e le bombe incendiarie, gli elmetti, i fucili italiani, a partire dal famoso modello '91, e quelli austriaci, le maschere antigas, le bombe a mano, le tagliole e le mazze ferrate. A proposito di queste, su un cippo del colle di S.Elia a Redipuglia è scritto: “Arma novella di barbarie antica, tutto sfogò su noi l'ira nemica” evidentemente perché sbudellare il nemico con la baionetta è più civile. Ci sono anche le famigerate corazze Farina di cui ci racconta Lussu in “Un anno sull'altopiano”.

C'è un'autoblinda e una piccola ambulanza, una cucina da campo ed attrezzature di tutti i generi, tutte trainabili con i cavalli quando non spinte a mano per le impervie mulattiere di montagna. Ci sono a questo proposito interessanti filmati con file di alpini che arrancano in salita, nella neve alta, con carichi paurosi. In un altro museo (La Gran Vera, a Moena) abbiamo visto anche una slavina che travolgeva i soldati che salivano.

   © Franco Isman (escluse le riproduzioni) - cliccare su ciascuna foto per ingrandirla.


La storia di Trieste e il grande tabù

Al primo piano c'è invece una rassegna storica di Trieste fra le due guerre, una carrellata che spazia dalla Trieste austroungarica fino quasi ai nostri giorni.
La prima sezione racconta di “Trieste in guerra”, nella Grande guerra, dal 1914 al 1918, sessanta e passa tabelloni con fotografie, spiegazioni e cimeli: una rassegna ricca e molto interessante.
A Trieste nella seconda guerra mondiale sono dedicati 26 pannelli, quindi un accenno ai 40 giorni dell'occupazione titina ed al periodo del Governo Militare Alleato fino al ritorno di Trieste all'Italia nel 1954.
La sezione finale è dedicata alla poliedrica figura del creatore del museo stesso Diego de Henriquez con una ventina di tabelloni e l'esposizione di alcuni dei suoi famosi libretti di appunti senza però nessuna riproduzione delle parti più interessanti.

Al periodo fra le due guerre, dal 1918 al 1940, venti e passa anni con avvenimenti di importanza fondamentale in Italia, ed a Trieste in particolare, è dedicata la sezione “Trieste in camicia nera”: soltanto cinque pannelli ed una teca con alcuni oggetti.

Trieste in camicia nera
  Questo è tutto quello che si dice dei vent'anni del regime fascista (cliccare per ingrandire e leggere)

Del fascismo si racconta che: “…vara per la prima volta in maniera organica interventi che prevedono piani di edilizia popolare, maggiore sviluppo delle reti idriche e fognarie, misure assistenziali nei confronti della prima infanzia” e, con lo stesso rilievo, “Porta anche intolleranza contro le minoranze, una nuova guerra e le persecuzioni contro gli ebrei”. Le fotografie sono quelle agiografiche del regime.

L'incendio del Narodni Dom




















  L'incendio del Narodni Dom

Non si fa cenno invece allo squadrismo triestino con l'incendio del Narodni Dom, la casa di cultura slovena (da inquadrare nello scontro degli opposti nazionalismi) di cui esiste una celeberrima fotografia. Soltanto un vago accenno alla politica fascista di deslavizzazione di Trieste e dell'Istria con la chiusura delle scuole e di tutte le associazioni slovene, la proibizione dell'uso della lingua slovena addirittura nella celebrazione della messa, l'immigrazione in Istria di braccianti italiani al posto degli sloveni e dei croati fuggiti, il cambio dei toponimi e quello più o meno forzato dei cognomi.
Un accenno anche all'annuncio fatto da Mussolini a Trieste della promulgazione delle leggi razziali ma ci si guarda bene dal mostrare l'impressionante filmato di una piazza Unità e delle rive brulicanti di folla inneggiante, né, successivamente, dei negozi con la scritta “vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei” e del tentativo di assalto alla scuola ebraica.


Nulla si dice dell'invasione della Iugoslavia da parte dell'Italia fascista insieme alla Germania di Hitler e soltanto poche righe sui crimini di guerra degli italiani nell'occupazione con interi villaggi dati alle fiamme, gli uomini fucilati e donne, vecchi e bambini deportati nei terribili campi di concentramento in particolare di Arbe dove morirono di fame e malattie 2000 persone.
Dimenticanze? Certamente no. Pressioni politiche? Forse. Ma sembra chiaro che di queste cose non è opportuno parlare: Trieste non ha metabolizzato il suo passato e tende ancora a rimuoverlo.

Una grave mancanza per un museo per il resto molto bello e interessante e con l'ambizione di presentare uno spaccato di storia e di costume della bella Trieste, crocevia di culture e di popoli.



Orario di apertura: tutti i giorni escluso il lunedì, dalle ore 10.00 alle 19.00. Biglietto: € 6,00 normale / € 4,00 ridotto (dai 6 ai 26 anni e gli over 65) / bambini fino a 6 anni gratis.
Informazioni: Tel. +39 040 6554699 / +39 040 65548377 - museodehenriquez@comune.trieste.it - http://www.museodiegodehenriquez.it/
Come ci si arriva: Via Cumano 22, Trieste - bus 18 (la domenica bus 5)


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  17 settembre 2014 (visite dell'agosto 2014)