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i momenti bui


INDIFFERENZA


Binario 21
a cura di Franco Isman


Il Memoriale della Shoah, dello sterminio del popolo ebraico, è situato sotto la Stazione Centrale di Milano, a piano strada, di fronte al palazzo che fu delle Regie Poste ed in origine, quando il servizio postale funzionava, l'impianto era stato realizzato per caricare la posta sui vagoni postali che venivano poi portati con un apposito montavagoni al piano della stazione ed agganciati ai convogli per le diverse destinazioni.
Dopo l'Otto settembre 1943 i binari furono destinati al “carico” dei deportati “spediti” ai lager ed ai campi di sterminio del Terzo Reich nazista: Mauthausen, Bergen Belsen, Auschwitz Birkenau, ma anche Fossoli e Bolzano.

TRASLATORE E MONTAVAGONI

In fondo, nella luce, il montavagoni, ma non portava alla luce, portava all'inferno


INDIFFERENZA è inciso su di un “muro” in acciaio all'ingresso del memoriale, voluto da Liliana Segre, deportata il 30 gennaio 1944 all'età di 13 anni ed una dei pochi superstiti, che vede nell'indifferenza la causa prima di quanto è potuto accadere.
Indifferenza alla promulgazione delle famigerate leggi razziali del 1938 che privano gli ebrei dei diritti civili, li cacciano dalle scuole, dalle università, dagli ospedali, da tutti i posti pubblici statali, parastatali e degli enti pubblici, dall'esercito, dagli ordini professionali privandoli così della stessa possibilità di sussistenza.
Indifferenza agli arresti e alle deportazioni dopo l'Otto settembre: nessuno dice o fa alcunché al passaggio del convoglio di camion che portano i deportati da San Vittore alla Stazione Centrale.
Soltanto i detenuti comuni a San Vittore, quando i 605 uomini, donne e bambini che costituivano il “carico” del treno, passano davanti alle loro celle, avviati al macello, li salutano e regalano loro il poco che hanno “furono gli ultimi uomini che incontrammo perché poi per tanto tempo incontrammo solo mostri” racconta Liliana Segre.

E ci sono i famosi versi, che siano di Bertolt Brecht o ripresi da Martin Niemöller:

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali
e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti
ed io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me
e non c'era rimasto nessuno a protestare…

In realtà in Italia c'è stato di meglio e di peggio dell'indifferenza, in Italia gli ebrei erano pochi, forse 45.000, osservanti e non, tutti comunque perfettamente integrati nella vita della nazione, italiani come gli altri: avevano fatto la Grande guerra, ce n'erano nel partito socialista e poi in quello comunista, ma altri avevano fatto la Marcia su Roma con Mussolini.
In Italia gli ebrei non rappresentavano un problema e, pur essendo l'Italia degli anni Trenta in grande misura fascista, non c'era antisemitismo. Infatti nel '43 – '44 quando agli ebrei venne data la caccia da nazisti e fascisti repubblichini per deportarli in Germania ci furono i delatori che li vendettero per il premio di 5000 lire (un paio di migliaia di euro di oggi) o per rubare i loro beni ma trovarono la solidarietà e l'appoggio di gran parte della popolazione, istituzioni cattoliche in primis: su 45.000 ebrei ne furono deportati “soltanto” 7000, in gran parte uccisi.

Completamente differente il discorso ad esempio per la Polonia dove gli ebrei erano più di 3 milioni su una popolazione di 35 milioni, molti parlavano un lingua differente (l'yiddish), costituivano quasi una nazione nella nazione e furono quasi completamente sterminati. Situazione intermedia in Francia e Germania entrambe con circa 600.000 cittadini di religione ebraica .

i 4 vagoni
l'interno di un carro

All'interno del Memoriale è stato conservato un solo binario dei sei (forse) che c'erano, con quattro vagoni originali, il traslatore ed il montavagoni che servivano per portarli al piano rotabile superiore. Il marciapiedi è al livello dei vagoni e non basso come allora per cui non ci si deve arrampicare, e questo è forse un difetto. I gruppi di visitatori, fino a 50 persone, vengono fatti entrare al completo su un vagone in modo da rendere evidenti le terribili condizioni di viaggio con il vagone stipato da un'ottantina di deportati: uomini, donne, vecchi e bambini. Compresi ammalati e donne incinte.
Ed è proprio su questi vagoni che inizia il percorso di disumanizzazione scientemente voluto dai nazisti, con questo affollamento e questa promiscuità, con la sola possibilità di fare i propri bisogni in un angolo, ma alla presenza di tutti, nell'orribile bugliolo. Molti deportati morivano durante il viaggio e venivano “scaricati” in aperta campagna nelle poche fermate.

l'elenco dei nomi

L'elenco dei nomi, indicati con le frecce quelli dei coniugi Colombo di Monza (cliccare per ingrandire)


Nel Memoriale è analizzato in particolare il secondo treno RSHA (ReichSigerheiitsHauptAmt – Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich) partito il 30 gennaio 1944 che aveva caricato 605 stücke (pezzi), così venivano definiti i deportati, provenienti da San Vittore ed era arrivato direttamente al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dopo sette giorni di viaggio ininterrotto. Sette giorni.
"...Arrivati alla Stazione Centrale, la fila dei camion infilò i sotterranei enormi passando dal sottopassaggio di via Ferrante Aporti; fummo scaricati proprio davanti ai binari di manovra che sono ancora oggi nel ventre dell'edificio. Il passaggio fu velocissimo: SS e repubblichini non persero tempo, in fretta, a calci, pugni e bastonate, ci caricarono sui vagoni bestiame. Non appena un vagone era pieno, veniva sprangato e portato con un elevatore alla banchina di partenza. Fino a quando le vetture furono agganciate, nessuno di noi si rese conto della realtà. Tutto si era svolto nel buio del sotterraneo della Stazione, illuminato da fari potenti nei punti strategici, tra grida, latrati, fischi e violenze terrorizzanti. Nel vagone, al buio, c'era un po' di paglia per terra e un secchio per i nostri bisogni" racconta ancora Liliana Segre.

Al di là dei vagoni un enorme scritta luminosa con i nomi dei 605 deportati di questo convoglio, ove i 22 superstiti (3,6%) sono evidenziati in giallo. Fra gli altri gli anziani coniugi monzesi Alessandro Colombo e Ilde Zamorani che non erano voluti fuggire “cosa volete che ci facciano, siamo vecchi” e si erano soltanto spostati a Milano dove non erano conosciuti, ma Alessandro Colombo in una breve visita a Monza era stato denunciato, arrestato e portato a San Vittore, subito seguito dalla moglie che aveva voluto condividere il suo destino. Da tenere ben presente che all'arrivo ad Auschwitz veniva immediatamente fatta la selezione e vecchi, bambini ed inabili, più dei due terzi degli arrivati, 477 su 605 in questo caso, immediatamente portati alle camere a gas. Così in particolare per i coniugi Colombo, .
Molte migliaia i deportati partiti da qui, infatti 15 sono stati i convogli RSHA dal dicembre 1943 al gennaio 1945, di cui 11 con destinazione Auschwitz, uno Bergen Belsen, un altro Ravensbrück e Flossenburg mentre gli ultimi si sono fermati a Bolzano senza riuscire a proseguire per la Germania e la Polonia. E nel cemento della banchina è scolpito il loro ricordo.

TRASLATORE E MONTAVAGONI


In testa al binario un percorso elicoidale inclinato, che genera un voluto disorientamento, porta al piano inferiore al cosiddetto “Luogo di riflessione”, una sala in acciaio a tronco di cono, semibuia, con un panchina tutto attorno ove fermarsi a meditare isolati dai rumori dei treni due piani più in alto.

Viaggio nella Memoria Viaggio nella Memoria Viaggio nella Memoria

cliccare per ingrandire


Poi, al piano del binario, una esposizione semipermanente della mostra “Viaggio nella Memoria” dei Figli della Shoah in cui a pannelli generici sulla storia, con una Linea del Tempo e gli orribili manifesti della Difesa della Razza, si affiancano pannelli che raccontano brevemente, con testi e immagini la storia di un certo numero di deportati di quel treno. Quella di Liliana Segre e del suo papà Alberto, quella di Michelagelo Böhm “ingegnere del gas” che, come i coniugi Colombo, non volle fuggire e cambiare nome pensando che i nazisti non avessero alcun motivo per volerlo catturare. E poi tutti quelli di cui la fondazione è riuscita a conoscere le storie.



Più in là la proiezione in continuo del film Memoria di Ruggero Gabbai con le emozionate e sofferte testimonianze di alcuni sopravvissuti, estremamente coinvolgenti, ancora di più per chi conosceva poco gli orrori delle leggi razziali prima e poi della deportazione e dello sterminio. Interessante osservare le grandi diversità delle persone intervistate che smentiscono il clichet dell'ebreo con caratteristiche definite e particolari. Qui si va dal commerciante romanesco al fiorentino colto, dalla popolana veneziana alla raffinata signora di origine austriaca.

Nel piano interrato l'auditorium di 200 posti e, in futuro, una biblioteca che potrà contenere fino a 45.000 volumi e raccoglierà tutta la documentazione raccolta dal CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), con ampi spazi di lettura e consultazione e numerose postazioni internet.

“Meditate che questo è stato” ha scritto Primo Levi, è un imperativo categorico, tanto più in questi tempi di antisemitismo rinascente, e questo è lo scopo di questo Memoriale.

Franco Isman


Il Memoriale (Via Ferrante Aporti, 3) è aperto al pubblico (orari 2015):
Sito web : www.memorialeshoah.it
Ingresso : € 10,00
Prenotazioni : coordinamento.memoriale@memorialeshoah.it
- ogni lunedì dalle 10 alle 19, senza prenotazione. Alle 18:30 visita guidata;
- il primo e il terzo giovedì di ogni mese previa prenotazione;
- l'ultima domenica di ogni mese previa prenotazione.





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  27 gennaio 2015