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Non leggetelo !

Carlo Arcari
August 07, 2004 12:30 PM


E' uscito in questi giorni, per ora si trova solo in due librerie monzesi (Libri&Libri di Piazza Trento e Teodolinda di Piazza Duomo), un volumetto (94 pagine, 5 euro) edito da DOMANI dal titolo "Non votatelo!", dedicato a Luigi Pavia: un personaggio di importanza centrale nella vita pubblica cittadina degli anni Sessanta, che dopo aver concluso la sua carriera politica a soli 40 anni ha troncato ogni legame con il mondo al quale aveva dato il suo impegno fino alla sua scomparsa nel 1997.
Il titolo del libro curato da Giuseppe Civati, segretario dei Ds di Monza, riprende il titolo con il quale "Il Cittadino" ne stroncò la carriera politica alle elezioni del 1968, invitando gli elettori democristiani a non votare per il candidato del loro partito, giudicato troppo progressista e inaffidabile. In realtà egli era colpevole di aver imposto a Monza il centro sinistra. Di qui la forsennata campagna reazionaria scatenata contro di lui dalla destra cittadina, non a caso guidata dal giornale che ancora oggi (quando scrive il suo direttore) sembra rimasto sulle medesime posizioni.
Il libretto è illuminante e sconcertante. Illuminante perché leggendolo si scopre che Monza a quel tempo era ancora un città "normale"; infatti nella prima metà degli anni '60, anch'essa ha vissuto con passione la stagione riformista, preparata e attuata da una nuova generazione di giovani universitari cattolici, ispirati alla figura di Kennedy e alla sua nuova frontiera fatta di libertà, uguaglianza e democrazia. Sconcertante perché si scopre che dopo tutto questo tempo i problemi sociali, culturali e di sviluppo urbano della città sono rimasti apparentemente identici, cosa che ci costringe a misurare il ritardo enorme accumulato da Monza e il compito che attende gli attuali governanti.
Il leader di quella lontana primavera monzese fu Luigi Pavia. Classe 1931, presidente della FUCI, segretario cittadino della DC dal 1960 al '65, poi assessore alla Pubblica Istruzione e infine sindaco, egli decise nel 1963, poco più che trentenne, di proporre anche a Monza il centro sinistra che si era imposto a livello nazionale, dando così inizio a una battaglia politica che si concluse otto anni dopo con la sua sconfitta nel 1971 e le sue dimissioni da primo cittadino.
Dai suoi scritti e dalla testimonianza degli amici Elio e Giangusto Malvezzi, emergono in modo chiaro e netto le ragioni della sua scelta, l'idea di città che ne era il fondamento, il piano per raggiungere l'obiettivo e le forze da mettere in campo. Per Luigi Pavia, "far politica" voleva dire, infatti, indicare la visione del futuro, scegliere il blocco sociale di riferimento, definire il programma, creare gli strumenti di sostegno all'azione. E questo egli ha fatto puntualmente, indicando a Monza il suo futuro di città che doveva crescere facendo scelte innovative quali il Piano Regolatore, il nuovo Ospedale, il Piano Scuola, la nuova Azienda Municipalizzata; proponendo una nuova alleanza di governo; definendo un programma basato su una nuova politica urbanistica, contraria a quella che pretendeva di fare tutto in centro provocando: "conseguenze terribili, ambienti di pregio deturpati, circolazione caotica, edifici di dieci piani, scomparsa del verde, supermercati senza parcheggi, trasporti pubblici a passo d'uomo. E in periferia squallore, abbandono, mancanza di servizi essenziali". Una realtà alla quale Pavia contrapponeva una visione basata sulla convinzione che: "La città deve svilupparsi armoniosamente e umanamente, non paralizzarsi al centro e allargarsi in periferia".
Leggere il libretto potrebbe dunque essere di qualche utilità per chi si occupa di politica in città e anche per gli attuali amministratori che sono alle prese con problemi per certi versi simili a quelli affrontati da Luigi Pavia. Egli affermava in un articolo dedicato alla nuova politica culturale e urbanistica:"la programmazione comunale non può prescindere dalla necessità di prefigurare il volto che si intende dare alla città. Stabilito quale città vogliamo, facciamo il piano per realizzarla". E il piano che faceva seguito alla prefigurazione del "volto" che si voleva dare alla città a metà degli anni 60, elaborato, discusso e proposto da esperti, produceva in campo culturale mostre di Chagall, Picasso, Aligi Sassu. Fare confronti tra la ricchezza di allora e la miseria di oggi è inevitabile come è inevitabile pensare che forse ciò dipende dalla mancanza di visione (o da una visione troppo angusta) e dall'incapacità di trasformare questa visione in progetti attuabili.
Una cosa che colpisce nel pensiero di Pavia, infatti, è la sua idea forte di programmazione, che considerava l'unico metodo valido di lavoro in quanto sintesi tra i fini elaborati in sede politica e le possibilità offerte dall'amministrazione. "Questa sintesi (..) è una caratteristica del centro sinistra che ben sa come poco si possa costruire senza o contro i partiti, organi naturali di collegamento tra elettori ed eletti" affermava nel 1965. Molti oggi non condividono l'idea alta del ruolo dei partiti e della politica, soprattutto l'idea del programma come sintesi tra politica e amministrazione che emerge dalle pagine del libro dedicato al ricordo di questo cittadino monzese, di questo giovane militante democratico cristiano che la sua città non ha saputo apprezzare. A loro mi permetto di dare un consiglio: "Non leggetelo!".