Se questo è un uomo
Umberto De Pace
(fonte, ilriformista.it)
Non ci sono parole per descrivere ciò che uomini in divisa hanno fatto ad altri uomini che sostenevano un feretro con all'interno il corpo di una donna uccisa da un altro essere, molto probabilmente intenzionalmente, mentre svolgeva il suo lavoro di giornalista.
Non ci sono parole perché quegli uomini hanno infranto ciò che di più sacro è rimasto in quella terra martoriata, che non è la vita, perché in quella terra la vita è ferita ogni giorno e non sono nemmeno i precetti religiosi anch'essi offesi quotidianamente da comportamenti che calpestano la dignità umana.
Quegli uomini in divisa sono andati oltre non fermandosi nemmeno di fronte alla morte. La morte di fronte alla quale ogni essere umano dovrebbe provare, se non un'umana pietà, se non un dovuto rispetto, se non una sospensione pur breve di giudizio, quanto meno un recondito timore. Timore non per l'altro, se non è in grado di reggerne lo sguardo, ma per se stesso, percependo quel sussulto o vuoto che ognuno di noi dovrebbe provare di fronte a quella sottile linea d'ombra che separa l'essere umano dal nulla.
Venerdì scorso quella sottile linea d'ombra è stata calpestata a Gerusalemme dalla polizia israeliana che ha aggredito con calci e manganellate i palestinesi che sorreggevano la bara della giornalista Shireen Abu Akleh. Se ci fosse giustizia non avremmo mai dovuto assistere a un tale atto, ma sappiamo che in terra di Israele e di Palestina non c'è giustizia ma, dopo più di settant'anni, solo una faida che sarebbe compito della comunità internazionale dirimere e sanare. Sappiamo quanto ciò sia una vana speranza ma non possiamo fare a meno di continuare a crederci e di impegnarci affinché questa faida venga interrotta. Nell'attesa, è compito di ognuno di noi ristabilire quella sottile linea di confine rendendola inviolabile da parte di chiunque. Non siamo in grado di assicurarla nei confronti della vita facciamo almeno in modo che sia salvaguardata dinnanzi alla morte.
Umberto De Pace
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Non ci sono parole perché quegli uomini hanno infranto ciò che di più sacro è rimasto in quella terra martoriata, che non è la vita, perché in quella terra la vita è ferita ogni giorno e non sono nemmeno i precetti religiosi anch'essi offesi quotidianamente da comportamenti che calpestano la dignità umana.
Quegli uomini in divisa sono andati oltre non fermandosi nemmeno di fronte alla morte. La morte di fronte alla quale ogni essere umano dovrebbe provare, se non un'umana pietà, se non un dovuto rispetto, se non una sospensione pur breve di giudizio, quanto meno un recondito timore. Timore non per l'altro, se non è in grado di reggerne lo sguardo, ma per se stesso, percependo quel sussulto o vuoto che ognuno di noi dovrebbe provare di fronte a quella sottile linea d'ombra che separa l'essere umano dal nulla.
Venerdì scorso quella sottile linea d'ombra è stata calpestata a Gerusalemme dalla polizia israeliana che ha aggredito con calci e manganellate i palestinesi che sorreggevano la bara della giornalista Shireen Abu Akleh. Se ci fosse giustizia non avremmo mai dovuto assistere a un tale atto, ma sappiamo che in terra di Israele e di Palestina non c'è giustizia ma, dopo più di settant'anni, solo una faida che sarebbe compito della comunità internazionale dirimere e sanare. Sappiamo quanto ciò sia una vana speranza ma non possiamo fare a meno di continuare a crederci e di impegnarci affinché questa faida venga interrotta. Nell'attesa, è compito di ognuno di noi ristabilire quella sottile linea di confine rendendola inviolabile da parte di chiunque. Non siamo in grado di assicurarla nei confronti della vita facciamo almeno in modo che sia salvaguardata dinnanzi alla morte.
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19 maggio 2022