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il Manifesto del terzo millennio
Umberto Puccio


Ultimamente, sono sempre più spesso assalito dalla sgradevole sensazione di non essere più padrone delle mie parole; e, in generale che le parole, una volta entrate nel caotico mondo della comunicazione del web e dei socialmedia, sfuggano al nostro controllo e acquistino una realtà autonoma: o siano comunque gestite dai Moloch del Web.
In altri termini, si ha l'impressione (pessima!) di "essere agiti" dalle parole, invece di essere noi ad agire con le parole. Il che non è più spiegabile con l'adagio "le parole sono pietre", in quanto non è più il soggetto parlante che usa il linguaggio nella sua funzione persuasiva, di offesa a (o di difesa da) un altro soggetto parlante: con relativo possibile "effetto boomerang".
E' infatti cambiata la struttura della comunicazione: essa si è oggettivizzata, tanto che alcune attuali correnti filosofiche, superando il sempiterno (da Platone vs Aristotele) dilemma ideale-reale, nomi-cose, ipotizzano LA COMUNICAZIONE come unica realtà del mondo contemporaneo.

Risulta quindi, a mio avviso, importante e impellente fare quello che anni fa definivo esercizio di "igiene lessicale". Di fronte al bombardamento, per nulla disinteressato, di certe parole, occorre difendersi da esse, scrostandole e denudandole. Oggi sono le parole il Re da denudare.

Nell' attuale dibattito politico italiano, sostanzialmente ideologico-propagandistico, spiccano alcuni termini, come "marchi" di un'identità divisiva e contrappositiva. Mi riferisco in particolare al termine "occidente" (e al relativo aggettivo "occidentale"). A mio avviso, è importante decodificare linguisticamente tale termine, non solo in senso etimologico, ma seguendo l'evoluzione storica del suo significato. In sintesi, dall'uso denotativo (astronomico-geografico: come metafora di uno - Ovest -  dei quattro punti cardinali, opposto ad Est - "Oriente") all' uso connotativo (persuasivo: con valore ideologico-simbolico) del termine.
Già in questa duplice metafora è contenuto una connotazione di valore: negativa, per "occidens"; positiva, per "oriens". Il riferimento è al sorgere (nascere, aver origine) e al tramontare (morire, cadere, occultarsi) del sole. "Occidente" traduce il participio presente del verbo latino "occido" (crasi di "ob" e "caedo"), che significa, appunto, morire.

Nel mondo antico, l' Occidente si identificava nel regno dei morti: e fungeva da limite invalicabile della vita e conoscenza dei viventi. Assumeva quindi una connotazione assolutamente negativa, totalmente opposta a quella, positiva, di "Oriente". Ma già nella Grecia pre-ellenisticoromana si assiste ad una prima mutazione di significato, in direzione ideologico-politica, del termine: l'oriente si identifica con l'Impero Persiano: il sacrificio di Leonida alle Termopili e la vittoria degli Ateniesi a Salamina assumono il valore simbolico della superiorità della democrazia greca sull'assolutismo "orientale" persiano. Questo schema ideologico-politico, con diverse configurazioni e contenuti (anche religiosi: cristiani/islamici; cattolici/ortodossi) ha lunga vita e prende vigore nelle situazioni, come quella attuale, di contrapposizione tra blocchi.

Altre due svolte hanno completato la rappresentazione del termine Occidente:
1) la vittoria di Ottaviano ad Azio su Antonio e Cleopatra, esaltata come vittoria degli dei romani sulle divinità orientali egiziane e, di fatto, l'inizio dell'Impero Romano;
2) l' "occidentalizzazione" e "romanizzazione" del Cristianesimo (nato e sviluppatosi all' origine come uno dei molti culti misterici orientali) e, con Costantino, diventato la religione dell'Impero. E' iniziata allora quella compenetrazione tra trono ed altare che solo la Rivoluzione Francese incomincerà a scalfire.
Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, Roma e il Mediterraneo diventano periferici: Carlo Magno sposta a nord-ovest, nell'Europa continentale la collocazione dell'Impero. E' ancora valida, sul piano ideologico, questa compenetrazione tra Occidente e Europa?

A me pare strumentale e del tutto estranea alla realtà geopolitica, economica e demografica del mondo contemporaneo, così come si è delineata alla fine dei due conflitti mondiali e dello schema bipolare.
Già con la scoperta dell'America e la fine del Medioevo l'Oceano Atlantico sostituisce il Mediterraneo come centro dei traffici. E' iniziata allora l'era Nordatlantica, in cui l'Europa era ancora il centro del mondo e, attraverso l'espansione coloniale dei suoi imperi nazionali, ha esportato e imposto il modello dello Stato-Nazione in tutti i Continenti.

Nel terzo Millennio il mondo è diventato compiutamente, in termini geopolitici, "rotondo": cioè multipolare.
Le coordinate geo-astronomiche (est-ovest; nord-sud) non hanno più significato e rilevanza concreta: andrebbero, per igiene lessicale, espunte dal linguaggio politico, smascherando il loro uso propagandistico. L'asse economico-commerciale si è spostato dal NordAtlantico all'Oceano Pacifico, ma tutti i mari diventano ugualmente "centrali". La globalizzazione, prodotta dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, significa:
1) dissoluzione dello schema centro/periferia: ogni luogo è contemporaneamente centro e periferia;
2) scomparsa della contrapposizione (e quindi dei due blocchi) ideologica capitalismo/comunismo e vittoria del primo, che si è, appunto, globalizzato;
3) moltiplicazione dei conflitti (anche bellici) intercapitalistici;
4) inconsistenza della definizione e distinzione tra Paesi del Primo, Secondo e Terzo Mondo, in quanto ciascun Paese, anche il più ricco e "avanzato", ha al suo interno primo, secondo e terzo mondo;
5) approfondirsi della divaricazione tra ricchi e poveri a livello planetario e di ogni singolo Paese;
6) trasformazione dello schema marxista della lotta di classe tra proletariato e capitalisti in conflitto permanente e globale tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.

Di fronte a questi cambiamenti risultano antistorici e pretestuosi i tentativi di propagandare l'atlantismo e l'europeismo come difesa delle democrazie liberali contro l'affermarsi delle autocrazie "asiatiche".
L'appello di Biden, all'inizio della Guerra in Ucraina, a far fronte comune contro l'autocrate Putin era in realtà un tentativo di allargare la Nato come alleanza militare dal Nordatlantico al resto del pianeta, in funzione antirussa e anticinese, mantenendo in essa la supremazia statunitense.

L'Europa è sempre meno importante sia geopoliticamente, sia demograficamente, sia per risorse naturali, sia economicamente: conta ancora per il suo PIL complessivo. Per il resto, è sempre più marginale.
Che cosa può ancora dare di positivo per il futuro della Terra? Il modello di una nuova configurazione dei rapporti geopolitici e delle strutture statuali: una nuova filosofia politica che faccia piazza pulita del nazionalismo, del sovranismo e del suprematismo in tutte le sue forme (dei "bianchi" sui "neri" e sui "gialli"; degli "occidentali" sugli "orientali"; degli Europei sugli Asiatici; etc.); che realizzi una sovranità condivisa, collaborativa e "inclusiva" (non più conflittuale ed escludente); che attualizzi l'eredità della civiltà giuridica dell' antica Roma, trasformando il "cives romanus sum" in "cives terrestris sum", globalizzando, cioè, la territorialità della legge. Insomma, del Federalismo, come auspicato per gli Stati Europei nel Manifesto di Ventotene, per superare definitivamente gli orrori del nazionalismo e delle guerre mondiali da esso (con)causati.

Questo, ad un secolo di distanza da quello di Marx, è, a mio avviso, il Manifesto del terzo millennio.

Umberto Puccio


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  22 novembre 2022