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Vajont, la diga della vergogna
Giovanni Leone, presidente del Consiglio, promette giustizia ai parenti superstiti dei 2000 morti nel disastro. Pochi anni dopo Giovanni Leone, avvocato, difende i responsabili della tragedia.
Franco Isman


SADE, Società Adriatica di Elettricità, è la realizzatrice della diga, ad essa, con la nazionalizzazione delle imprese elettriche, pochi mesi prima della tragedia, subentr&0grave; l'ENEL.
Alberico Biadene ne è il direttore generale, Carlo Semenza il progettista, Mario Pancini il vice direttore, tutti ingegneri, Francesco Penta è il principale consulente per i problemi geologici.

La diga del Vajont, costruita a sbarrare la Gola del diavolo, alta 261,6 metri era la più alta del mondo; realizzata a doppio arco, si può considerare un capolavoro di ingegneria. Infatti ha resistito alla spaventosa ondata di 25 milioni di metri cubi d'acqua, alta 200 metri, causata dalla frana di 260 milioni di metri cubi di roccia precipitati dal Monte Toc nell'invaso, che l'ha scavalcata precipitando a valle e radendo al suolo i paesi di Longarone e quelli limitrofi.

Innumerevoli i sintomi premonitori della frana e della sua imminenza, dalla lunga crepa nel fianco della montagna, che si andava vieppiù allargando, a diverse frane di relativamente modesta entità, alle scosse di terremoto addirittura fino al settimo grado della scala Mercalli, alle crepe nelle vecchie case di Erto e Casso. E c'erano studi di altri geologhi che ne avevano valutato la grandissima entità, e simulazioni su un modello avevano mostrato l'enorme onda che, oltre ad una certa altezza dell'invaso, avrebbe scavalcato la diga precipitando a valle. 700 metri era stato valutato il livello di sicurezza. Tanto ne erano consapevoli i responsabile della SADE che avevano costruito una galleria che avrebbe dovuto collegare i tronconi del lago se fosse stato spezzato in due dalla frana. Ma l'invaso venne portato a 710 metri e soltanto nell'ultimo giorno prima della tragedia (9 ottobre 1963, 60 anni fa) si tentò disperatamente di diminuirlo.

Si è spesso parlato di sete di guadagno, ma è giusto dire che il prezzo di esproprio della SADE con il suo passaggio all'ENEL, come previsto dalla legge di nazionalizzazione delle imprese elettriche (Legge 6 dicembre 1962, n.1643), era fissato sul valore delle azioni nel triennio 1959-1961, senza alcun riferimento al valore e alla funzionalità degli impianti da essa posseduti. Nessun vantaggio economico per SADE e per Biadene personalmente nel voler far funzionare a tutti i costi l'impianto.

“La società attuale ha trasferito il concetto di onnipotenza divina in quello di onnipotenza della tecnologia umana” ha recentemente scritto il filosofo Umberto Puccio su Arengario, e in questo smisurato orgoglio, diabolico orgoglio, sta forse la spiegazione di questi comportamenti.

La grande stampa aveva totalmente ignorato i problemi della diga, tranne l'Unità con gli articoli di Tina Merlini, che aveva raccolto le preoccupazioni della popolazione di Erto e Casso ed aveva anche raccontato della frana di 3 milioni di metri cubi di roccia nel lago di Pontesei, a pochi chilometri, dove l'ondata provocata aveva superato la statale che costeggiava il lago causando la morte di un operaio.
La Merlini era stata denunciata e rinviata a processo per aver diffuso “notizie false e tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico”, era stata assolta con formula piena grazie alle testimonianze di molti abitanti di Erto e Casso.

Procedimenti penali.
Il 21 febbraio 1968 il giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri, depositò la sentenza del procedimento penale contro Biadene, Pancini, Penta ed altri. Carlo Semenza era deceduto prima del disastro, Francesco Penta poco dopo la sentenza e Mario Pancini si tolse la vita per il rimorso alcuni mesi dopo.
Il processo di primo grado si tenne all'Aquila per legittima suspicione, come pure il procedimento di appello.
Nel 1971 a Roma il processo di Cassazione, Biadene venne condannato a cinque anni (due per il disastro e tre per gli omicidi), un altro imputato a tre anni e otto mesi: entrambi beneficiarono di tre anni di condono, Biadene venne rilasciato per buona condotta dopo un anno di finta reclusione (4 ore per ciascun morto) “alloggiato in una confortevole cella con un detenuto che gli faceva da domestico e la visita quotidiana della moglie” (Wikipedia).

Gli sciacalli del dopo Vajont.
Gli avvocati di Enel Sade capitanati da Giovanni Leone, proprio quello che, racconta il giornalista RAI Bruno Ambrosi, prendendo la mano del vice sindaco di Longarone che aveva perso il figlio e i genitori e gli chiedeva giustizia, aveva risposto “E giustizia avrete”, riuscirono a far dare indennizzi irrisori o addirittura nulli. Furono trovati cavilli per cui i parenti di circa 600 morti non ricevettero nulla, gli altri furono convinti ad accettare risarcimenti irrisori.
Lucia Vastano scrive su Liberazione del 9/10/2002: “Nel 1968 e 1969 i superstiti vennero contattati dagli avvocati per i risarcimenti. «A voi superstiti non spetta niente, dal momento che non ci sono responsabilità. Per cui vi conviene accettare quello che ora vi viene offerto, altrimenti non avrete niente». Quello che offrivano erano davvero quattro soldi: un milione e mezzo per i genitori morti (se il figlio era minorenne, altrimenti un milione), ottocento mila lire per i fratelli conviventi, seicento mila per quelli non conviventi. In base al cavillo trovato da Leone, nulla era dovuto per nipoti, nonni, zii scomparsi, anche se conviventi.
Ci fu chi per sette parenti, la casa rasa al suolo, ottenne 6 milioni di allora, equivalenti a circa 45.000 euro del 2002.
Quasi tutti i superstiti firmarono la transazione. Gli avvocati ottennero per ogni liberatoria ottenuta un compenso di 5 milioni di allora, spesso molto più di ciò che venne dato ai parenti delle vittime.

Le speculazioni truffaldine.
In base alla cosiddetta “Legge Vajont”, la n. 357/1964, chi aveva perso un'attività industriale o commerciale “aveva diritto ad un contributo del 20 per cento a fondo perduto per riavviare l'attività, a un mutuo dell'80 per cento a tasso agevolato della durata di quindici anni e l'esenzione dal pagamento delle tasse per dieci anni” (medesima fonte).
Ma per la maggior parte si trattava di piccoli artigiani che non avevano voglia di ricominciare, per cui, tramite intermediari prezzolati cedettero i loro diritti per cifre irrisorie.
Le licenze vennero così trasferite a ditte, anche importanti, che non c'entravano per nulla con la tragedia di Longarone e che, con interpretazioni più o meno “tirate” della legge, riuscirono a lucrare grossi contributi, reiterati negli anni. Il già citato articolo riporta degli episodi davvero significativi.

Una tragedia più che annunciata che avrebbe potuto essere evitata semplicemente limitando l'altezza dell'invaso. Denunce più che documentate trascurate dagli enti di sorveglianza e dalla grande stampa, anzi chi le faceva veniva accusato di essere comunista. E “dopo” speculazioni vergognose alle spalle delle vittime della tragedia.

Franco Isman

Marco Paolini – Racconto del Vajont



Vajont, la diga del disonore - film storico di Renzo Martinelli (su LA7)


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  9 ottobre 2023 agg. ore 17