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Criminali e ipocriti di guerra
Umberto De Pace


E' difficile comprendere come di fronte all'evidenza dei fatti prevalgano innanzitutto le proprie convinzioni, credenze o ideologie. Questo anche di fronte all'orrore, come il massacro di civili e ancor più di fronte al corpo dilaniato dei bambini. Certo le tecniche della retorica, la mistificazione dei fatti, l'omissione dei torti e la rivendicazione delle sole ragioni, l'ipocrisia e tanto altro ancora, aiutano a sgravare e obnubilare le coscienze proprie ed altrui. Ma i fatti rimangono ed è con loro che bisogna rapportarsi, ed è a loro che occorre dare una risposta. Lo si voglia o no.

E i fatti ci dicono che il pogrom di civili israeliani, insieme a vittime militari e dei servizi di sicurezza interni ai kibbutz, perpetrato dalle milizie di Hamas, non è stato un atto di guerra ma un crimine contro l'umanità. Studiato, organizzato programmato nei minimi particolari, con l'intento di massacrare innanzitutto i civili, senza distinzioni tra uomini, donne, bambini, anziani. Nessuna causa può e potrà mai giustificare tale orrore che va solo fermamente condannato e perseguito.

I fatti ci dicono che la risposta del governo israeliano è stata fin da subito una “vendetta”. Bombardamenti a tappeto sulla Striscia di Gaza che, al di là delle dichiarazioni di intenti oltre a colpire le basi e i miliziani di Hamas, comportano l'inevitabile e quindi deliberato massacro della popolazione civile. A crimini contro l'umanità si sta rispondendo con crimini di guerra. Questo dicono i fatti, di fronte ai quali la retorica, di chi pensa di giustificare l'una o l'altra parte, rimane tale; quantomeno per chi si pone di fronte a quei fatti guardando negli occhi le vittime, mettendo da parte le proprie convinzioni, assumendo su di sé il loro strazio e il loro dolore.

Ma ciò non è sufficiente di fronte a una guerra feroce che intreccia vendette, odi e annientamento dell'altro. Noi che siamo fuori dalla guerra, almeno al momento, dobbiamo innanzitutto adottare un punto di vista “laico” nel quale la sofferenza non parla ebraico o arabo, ma è una questione di bambini, donne e uomini: “Una questione d'orgoglio, d'ambizione, di stupidità, di interessi, di dittatori e di democratici, di fanatici e di finanzieri, che provocano urla, pianti, morte.” (L. Deonna, 1988. La guerra a due voci. La tragedia del quotidiano raccontata dalle colonne arabe e israeliane. Milano, Mursia). Ciò vuol dire inoltre togliere il velo religioso che sovrasta tale conflitto, un velo rivendicato e ostentato dalle ali più estreme delle due parti, per ridare spazio alla complessità e varietà che ogni popolo ha al proprio interno. Semplificare aiuta a difenderci, forse momentaneamente, cercando così di dare un ordine univoco a fatti che in realtà univoci non sono. Prevale in questo caso una forza primordiale che si evidenzia nel dividere il campo fra “noi” e loro”: “… il desiderio di semplificazione è giustificato, la semplificazione non sempre lo è. E' un'ipotesi di lavoro, utile in quanto sia riconosciuta come tale e non scambiata per la realtà; la maggior parte dei fenomeni storici e naturali non sono semplici, o non semplici della semplicità che piacerebbe a noi.” (P. Levi, 1988. I sommersi e i salvati. Torino, Einaudi).

La complessità e la durata del conflitto israeliano-palestinese ci insegna che la soluzione non può essere lasciata in mano alle due parti, ma deve essere “imposta” da una parte terza che è dovere della comunità internazionale mettere sul campo. Il cessate il fuoco deve essere garantito da una forza militare internazionale che si interpone tra le parti. Così come i crimini che sono stati commessi e che si stanno commettendo devono essere giudicati e perseguiti per mezzo di un tribunale penale internazionale indipendente.

La consapevole ipocrisia di quanti, come il nostro governo, ritengono di lasciare la soluzione in mano al governo israeliano si rendono complici dei crimini che lo stesso sta compiendo di fronte al mondo intero. Non solo, si rendono complici del perpetrare all'infinito la crescita del terrorismo e della violenza, della perenne insicurezza di Israele e dell'altrettanto infinita sofferenza del popolo palestinese.

La consapevole, o meno, ipocrisia di chi, anche all'interno della sinistra, ritiene di sostenere la lotta del popolo Palestinese ignorando, giustificando o accettando sotto qualsiasi forma le azioni terroristiche, militari o politiche di Hamas, si rende complice dei crimini che tale organizzazione ha compiuto di fronte al mondo intero, non ultima quella di aver condannato la popolazione di Gaza all'ennesimo massacro quale conseguenza certa al crimine perpetrato il 7 ottobre. Non solo, si rende complice di un'organizzazione politico-terroristica che si prefigge di distruggere lo Stato di Israele e di creare uno Stato Palestinese fondamentalista e teocratico, che non ha nulla a che fare con la liberazione e l'autodeterminazione del popolo palestinese.

Le suddette ipocrisie inoltre, congiuntamente, non fanno altro che fomentare, in particolare nel continente europeo, quella bestia sopita ma mai sconfitta che è l'antisemitismo. Una bestia subdola che si insinua tra le parole, si aggroviglia nei discorsi, si mescola tra le masse, si nasconde nella protesta, si nutre di guerra e violenza così come di manipolazione, mistificazione, falsità miscelate accuratamente con mezze verità.

La Società delle Nazioni, creata nel 1919 all'indomani della prima guerra mondiale, fu estinta nel 1946 a seguito del conclamato fallimento rappresentato dalla appena conclusa seconda guerra mondiale. Fece seguito la creazione dell'ONU nel 1945 avente lo stesso identico scopo, il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale. E' chiaro ha tutti che anch'essa ha fallito. A meno che non si voglia attendere l'indomani di una sempre più che probabile terza guerra mondiale, è improrogabile la creazione di una nuova organizzazione mondiale che superi i vincoli e gli assetti obsoleti attuali e che sappia e possa agire con autorevolezza e fermezza nell'espletamento del proprio compito.

Dalla parte dei popoli israeliano e palestinese, senza bandiere, almeno fino a quando il tempo non avrà sbiadito il sangue innocente del quale oggi sono macchiate.

Umberto De Pace


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  20 ottobre 2023