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Nedo Fiano per il Giorno della Memoria
800 ragazzi delle superiori al Manzoni a Monza
di Franco Isman


Nedo Fiano, fiorentino, classe 1925.
Nel 1938, alla promulgazione delle famigerate leggi razziali, ha tredici anni e frequenta la terza media. La sua espulsione dalla scuola rappresenta il primo grave trauma. Ma anche vecchi conoscenti, se non amici, voltano le spalle: una coinquilina, conosciuta da sempre, smette di salutare e alla richiesta di chiarimenti della mamma di Nedo la minaccia addirittura di rivolgersi alla polizia. In certi locali pubblici compaiono cartelli con scritto: “vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei”.
E dire che gli ebrei in Italia erano perfettamente integrati, si sentivano certamente prima italiani che ebrei, nutrivano sentimenti patriottici, avevano combattuto per l'unità d'Italia prima e nella guerra mondiale poi. Molti appartenevano alla media borghesia ed un certo numero nutriva simpatie per il regime di Mussolini.

L'esclusione dalle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, sia degli studenti che dei docenti (fra i quali 97 professori universitari), l'esclusione da tutte le professioni con la cancellazione dagli albi professionali, l'espulsione dall'esercito, la revoca delle medaglie al valore, la proibizione di qualsiasi carriera artistica, la proibizione dei matrimoni misti, la proibizione di tenere domestici “ariani”, gli espropri immobiliari e delle aziende, addirittura il sequestro delle radio.
Il tutto quasi senza preavviso, per iniziativa autonoma di Mussolini: uno shock terribile uno sconvolgimento completo dell'esistenza. Numerosi i casi di suicidio.

Poi, dopo l'otto settembre 1943, la Repubblica Sociale, complice dei tedeschi occupanti, e l'inizio delle deportazioni. Nedo Fiano nel 1944 aveva 19 anni, fu arrestato, internato a Fossoli, e quindi deportato in Germania, ad Auschwitz assieme al padre alla madre e ad altri familiari: erano in undici e ritornerà soltanto lui.

Fiano racconta con crudo realismo il terribile viaggio di una settimana in un carro bestiame sovraffollato, con soltanto il pochissimo cibo che erano riusciti a portarsi e con una sosta ogni giorno: tutti giù dal treno per i bisogni corporali, l'uno vicino all'altro sulla massicciata ferroviaria vincendo ritrosia e pudore; racconta come avesse intravisto il fianco nudo della madre e come ciò lo avesse sconvolto. Nell'interminabile viaggio, soltanto nel suo vagone, un vecchio era morto e due neonati continuavano a piangere non trovando più latte a sufficienza dalle madri.

Poi l'arrivo ad Auschwitz nella notte, e all'alba il violento scarico, perché questo è il termine più appropriato, dei deportati dal treno, con le SS con randelli e cani che urlavano ordini per la gran parte incomprensibili e separavano in gruppi i deportati. Faceva impressione sentire Nedo Fiano, che il tedesco lo conosce bene, ripetere con realismo questi ordini quasi latrati. Nonostante il viaggio terribile il padre di Fiano scese dal treno con la giacca, il colletto duro e il cappello. La madre fu separata dagli uomini e messa nel gruppo che, si seppe dopo, sarebbe stato immediatamente portato alle camere a gas, sterminato e bruciato nei forni. Pur non conoscendo con esattezza il suo destino, la madre capì che quella era l'ultima volta che vedeva il figlio e si abbracciarono con le facce inondate di lacrime. Il momento più terribile in assoluto, dirà Fiano rispondendo alla domanda di un ragazzo.

Poi la vita nel campo e l'episodio che lo aveva “miracolato” ed aveva consentito la sua sopravvivenza: all'inizio, ad una ispezione, un maresciallo delle SS chiese chi fra i prigionieri conoscesse bene il tedesco per fare da interprete, Fiano racconta che si sentì come sospinto dal nonno (morto alcuni anni prima) che aveva molto insistito affinché il recalcitrante nipote imparasse il tedesco. Si presentò davanti al maresciallo che lo interrogò e che rimase come folgorato apprendendo che era nato a Firenze, evidentemente da lui conosciuta ed ammirata. Sta di fatto che venne messo nel gruppo degli interpreti, un centinaio di uomini, che avevano l'incarico di essere presenti e di dare istruzioni all'arrivo dei convogli dei deportati, di notte e di giorno. Un incarico fisicamente meno pesante dei lavori in cava o nelle fabbriche degli altri prigionieri.

Poi la descrizione della catena ininterrotta dello sterminio di massa: ad Auschwitz si è arrivati a gassare e bruciare fino a diecimila esseri umani al giorno, all'aperto quando i forni non ce la facevano: l'arrivo dei convogli, la selezione dei più deboli, non utili ai lavori forzati, il trasporto ai “bagni”, mille alla volta, l'obbligo di denudarsi nella promiscuità completa (un grave shock per persone strappate alle abitudini borghesi, sbattute nell'inferno e trattate come non-persone), le scarpe da legare fra di loro con le stringhe, per ritrovarle più facilmente dopo il bagno, dicevano, gli abiti appesi, e ricordatevi il numero. Poi nella camera delle “docce”, le camere a gas: le luci si spegnevano e veniva introdotto il micidiale Ziklon B che però non uccideva istantaneamente, ci volevano cinque minuti, cinque minuti di agonia atroce e nessuno può immaginare cosa quelli che venivano uccisi potevano provare.
Poi i “Sonder Kommando”, le squadre speciali dei prigionieri addetti al “trattamento” dei cadaveri, tutti destinati ad essere a loro volta uccisi. I cadaveri nudi venivano ispezionati, ano e vagina, per vedere se non avevano dei preziosi nascosti, venivano strappati i denti d'oro, alle donne venivano tagliati i capelli. Poi i cadaveri venivano sbattuti su delle specie di barelle, portati con il montacarichi al piano superiore ed infilati nei forni crematori: 50 minuti a trecento gradi e dal fondo dei forni veniva scaricata la cenere che poi veniva trasportata con camion ribaltabili e buttata nella Vistola. Pare che i pesci apprezzassero molto questa pastura umana.

Se questo è un uomo

Sonder Kommando

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
    Considerate se questo è un uomo
    Che lavora nel fango
    Che non conosce pace
    Che lotta per mezzo pane
    Che muore per un sì o per un no.
    Considerate se questa è una donna,
    Senza capelli e senza nome
    Senza più forza di ricordare
    Vuoti gli occhi e freddo il grembo
    Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli
    O vi si sfaccia la casa,
    La malattia vi impedisca,
    I vostri nati torcano il viso da voi.

Questa l'introduzione di “Se questo è un uomo” di Primo Levi con la quale Nedo Fiano ha voluto chiudere il suo discorso. In realtà la sua descrizione è stata molto più lunga e dettagliata ed altro ancora ha detto, con sofferenza, rispondendo alle domande, pur sollecitate, dei ragazzi.
Infine ha voluto concludere con un'esortazione a difendere il pluralismo e la democrazia perché le dittature, tutte le dittature, talora all'inizio possono sembrare illuminate, ma immancabilmente portano alle conseguenze più nefaste. Bisogna stare in guardia, perché spesso i dittatori sono persone molto intelligenti, con un grande fascino e manipolando i sistemi di comunicazione di massa riescono ad irretire la gente.

Franco Isman
franco.isman@arengario.net


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  19 gennaio 2004