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Matrimoni gay ?
Vincenzo Ortolina


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Non è soltanto perché ho stima di Patrizia Toia e di Silvia Costa che ho trovato un po' fastidiose le venature sarcastiche del pezzo di Paola Concia su “Europa” del 21 marzo scorso a riguardo delle “nozze gay”: “darò (alle suddette deputate) una notizia letale”; “se avessero chiesto avrei potuto renderle edotte…”; sono loro a essere “diventate sfascia famiglie”, altro che! In argomento, senza voler entrare nel merito delle sentenze della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale citate nell'articolo, registro innanzitutto con simpatia queste “aperture” sul tema dei “diritti” degli omosessuali, uomini o donne che siano.

Mi par di capire però che da quei supremi organismi non sia venuto un “via libera” al riconoscimento, in Italia, del “matrimonio gay”. E personalmente credo sia bene così. La delicata materia (che appassiona, pro o contro, una parte del Paese e ne lascia indifferente un'altra), è noto, è oggetto di accese discussioni e di contrastanti decisioni in diverse parti del mondo occidentale avanzato, con taluni Stati (anche all'interno degli USA) che si sono già pronunciati a favore. A me interessa, però, la realtà nostrana. Naturalmente, ragiono dal mio punto di vista, di una persona non più giovane, che, sul suo vocabolario della lingua italiana edito da Garzanti nel 1983, alla voce “matrimonio”, legge,: “contratto (termine indubbiamente riduttivo, peraltro) “tra un uomo e una donna”. Una definizione di trenta anni fa, dunque non recentissima ma neppure vecchia di un secolo o più. Non ho letto, poi, gli atti parlamentari, ma non è difficile immaginare che i “costituenti”, nello stabilire, all'articolo 29 della nostra Carta, che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, non pensassero affatto anche alle “nozze gay”. Certo, il mondo si è poi evoluto, i cambiamenti sociali e culturali di questa nostra epoca sono stati e sono straordinari, e, comunque sia, accrescere in generale i “diritti” delle persone è un comportamento virtuoso. Fermo restando, in ogni caso, che il confine dei diritti non può essere illimitato, io credo.

Per sostenere la legittimità del matrimonio omosessuale la Concia respinge il dubbio, espresso dalle due europarlamentari, che esso possa provocare nei bambini che crescono in quel tipo di famiglia una mutazione antropologica e un indebolimento della costruzione della loro identità sessuale, e ci spiega che non meglio precisate ricerche internazionali affermano che non è l'orientamento sessuale del genitore a determinare quello dei figli. E che, anche per altri studiosi della materia, in particolare nel mondo degli psicologi, non sarebbe per niente dimostrato che i bambini, per crescere bene, abbiano bisogno di un “padre” e di una “madre”. Orbene: sono sicuro che da qualche parte vi sia anche molta letteratura che smentisce i sopra citati ricercatori e studiosi. E mi permetto di segnalare che, a tutt'oggi, lo stesso “common sense” (che non è sempre da disprezzare) porta a considerare di semplice buon senso, appunto, il valore di una famiglia composta da papà, mamma e figlio/i.

Nei giorni scorsi, sulla questione dell'omosessualità il Corriere della Sera ci ha riportato il pensiero (che è risultato molto gradito, naturalmente, ai sostenitori di questi diritti) del cardinale Martini, sostanzialmente favorevole alle “unioni civili”. Una posizione straordinariamente innovativa, all'interno della Chiesa, che condivido. Il prelato ha tuttavia affermato altresì che “Dio ci ha creato uomo e donna e perciò la dottrina morale tradizionale conserva delle buone ragioni su questo punto”, e che lui sostiene il matrimonio “tradizionale”, con tutti i suoi valori”. Ecco, il punto, che certi ambienti “laicisti” dello stesso Partito democratico (che cito perché sto commentando, come detto, un articolo apparso su un quotidiano di area) forse non comprendono sino in fondo: per l'intero mondo cattolico, cattolici “adulti” compresi (per i quali l'arcivescovo emerito è un'entusiasmante icona), il matrimonio resta e resterà “eterosessuale”, come ha ben puntualizzato la stessa Rosy Bindi. E le stesse adozioni a coppie gay fanno problema. Insomma, in materia, “Roma (la Roma cattolica, apostolica, romana) locuta est, causa finita est”, verrebbe da dire sbrigativamente. Almeno per i credenti, che peraltro non obbediscono semplicemente, sull'argomento, a un “comandamento” cieco e irrazionale, ma vedono confermata una precisa convinzione che hanno dentro.

Ciò detto, la componente ”democratica” del suddetto mondo, a partire da quanti militano nel PD, è favorevole al riconoscimento di tutte le “unioni” civili, riconoscimento che comporti precisi, concreti diritti. “Unione”, però, non è “matrimonio”, e la questione non è puramente lessicale. E chi nel partito, in nome di un generico allargamento del campo dei “diritti, forzasse in questa seconda direzione, provocherebbe, probabilmente, la fine del partito stesso. Perché il suo ramo “cattolico-democratico” non reggerebbe la decisione. E un partito democratico senza cattolici non sarebbe tale.

Vincenzo Ortolina


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  29 marzo 2012