prima pagina pagina precedente




Dhaka
Franco Isman

l'ultimo abbraccio
foto di Taslima Akhter, pubblicata (in genere anonima) dai giornali e dai siti web di tutto il mondo. "Never again" è il commento di Taslima alla sua foto.

Il 24 aprile a Savar, alla periferia di Dhaka (Dacca, la capitale del Bangladesh), è improvvisamente crollato il Rana Plaza, un palazzone di 8 piani in cui lavoravano alcune migliaia di operai in diverse piccole aziende tessili. Oltre millecento morti. La notizia ha fatto impressione, ma nemmeno tanta, Dhaka è lontana. Chi lo sa dove esattamente è il Bangladesh ?
Vogliamo immaginare se fosse successo, per esempio, a Sesto San Giovanni ?
Le vittime della tragedia della Thissen sono state sette; 1100 operai uccisi superano di molto il pur tragico bilancio di un anno delle vittime del lavoro in Italia.

38 dollari, circa 29 euro al mese -al mese, non al giorno- la paga di questi operai, ma era molto più bassa prima del 2010. Sarebbe più giusto chiamarli schiavi, come ha denunciato papa Francesco, con orari di lavoro massacranti e nessun diritto. Sembra che ci siano stati chiari segni premonitori del crollo, ma gli operai sono stati costretti comunque ad andare al lavoro. In questo caso non si è parlato di bambini che invece sono molto spesso coinvolti, in Bangladesh come in tantissimi Paesi del Sud del mondo (ma non solo). Fabbricazione di palloni, di scarpe, raccolta dei prodotti dei campi, dal cotone al cacao, alla coca: si parla di 100 milioni di bambini sfruttati in questo modo (ma altri li valutano in 250 milioni).

E le multinazionali su questa schiavitù, su questi prodotti, spesso di alta qualità, ottenuti a costo molto prossimo allo zero, realizzano utili astronomici. Parliamo della Monsanto, certamente, ma ancor più delle grandi firme della moda, e di quelle più di massa: fra le macerie sono stati fotografati capi di abbigliamento della Benetton.

Questo indegno sfruttamento deve essere combattuto, le società che sfruttano questo trattamento disumano dei lavoratori devono essere boicottate, e qualcosa in passato si è ottenuto. In particolare si era scoperto che fino al 2002 la Nike “come riportato dai più importanti media, per anni ha sfruttato il lavoro di bambini, dai 5 anni di età, per cucire i propri palloni e vestiti. Tali bambini venivano impiegati per 14-16 ore al giorno in condizioni igieniche pessime, per portare avanti lavori massacranti, in fabbriche buie e malsane” (da Wikipedia). E dal luglio di quell'anno, sotto la pressione dell'opinione pubblica, la Nike ha annunciato il controllo degli stabilimenti di produzione da parte dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Disuguaglianze così enormi, squilibri così profondi fra le economie dei Paesi industrializzati e di quelli del terzo mondo, a parte ogni giudizio morale, rischiano di portare il mondo alla catastrofe.
Cercare di ridurre questi squilibri, combattere questa situazione di pratica schiavitù nei Paesi del terzo mondo deve essere una politica prioritaria. Ma la schiavitù esiste anche a casa nostra, dove ai lavoratori stagionali assoldati per la raccolta delle arance o dei pomodori, spesso clandestini, vengono sequestrati i documenti di identità e il poco che guadagnano viene loro ripreso per vitto, alloggio e trasporto al posto di lavoro, e talvolta chi protesta viene fatto sparire.

Ma anche senza arrivare a questi estremi aberranti, le forti differenze nelle retribuzioni, negli orari e nelle condizioni di lavoro nei diversi Paesi portano a conseguenze molto gravi che, anche se facciamo gli struzzi, sono già evidenti nel nostro mondo attuale. Ci riferiamo alla delocalizzazione delle industrie ed ai conseguenti gravissimi problemi occupazionali, ma di questo parleremo in un prossimo articolo.

Franco Isman

il crollo
fonte sconosciuta in quanto pubblicata dai giornali e dai siti web di tutto il mondo


EVENTUALI COMMENTI
lettere@arengario.net
Commenti anonimi non saranno pubblicati



in su pagina precedente

  13 maggio 2013