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La rabbia
Umberto De Pace


Genova, Torino, Milano, Bergamo

Ho cercato più volte, in questi ultimi anni, di trasmettere il disagio e il malessere che si stava diffondendo a macchia d'olio nel nostro paese. Ovviamente non ero il solo. E' vero, il mio era un punto di vista “privilegiato”, essendone coinvolto in quanto cittadino. Parlo del “privilegio” di vivere in presa diretta una crisi economica epocale e di assistere, al contempo, a una crisi politica, etica e morale di portata devastante.
Un tentativo vano. Vano nei confronti di una classe politica autistica, rinchiusa nella sua torre d'avorio, incapace di governare, come di opporsi, incapace di intraprendere qualsiasi cambiamento significativo; vano nei confronti di chi, politicamente e culturalmente, pensavo fosse a me più prossimo, se non vicino, e che scoprivo invece parlare un linguaggio diverso. Era il tempo della rabbia e del sogno (http://arengario.net/piaz2012/piaz121013b.html). Oggi il sogno è svanito, appunto, ed è rimasta la sola rabbia, una “rabbia sorda, opprimente che cova da troppo tempo dentro molti di noi …”; una rabbia che da sola “non porta che violenza e distruzione”. Scrivevo che si era superato ogni limite, che il tempo era scaduto. Scrivevo interpretando il pensiero di almeno una parte della nostra società, quella a cui appartengo, rappresentata da quel ceto medio, democratico e di sinistra, sia pur non militante di alcun partito ma sensibile e attenta alle problematiche sociali e politiche, insomma disponibile e partecipe. Scrivevo di ciò che vivevo, pur cosciente che quella rabbia, ancor prima e in modo più profondo, era presente in vasti altri strati della società.
L'interminabile agonia di quest'epoca volgare, lunga vent'anni, ha fatto nulla per prevenirla e di tutto per rinfocolarla e oggi la rabbia è nelle piazze, nelle strade, all'interno delle stesse istituzioni.
C'è da stupirsi quindi se in quegli stessi luoghi si insinuino mestatori, violenti, opportunisti, qualunquisti, populisti, fascisti, ultras, mafie o anarco-insurrezionalisti? Ci sarebbe da stupirsi del contrario, semmai.
Ognuno di noi non trovi consolazione nel suo feticcio da demonizzare ( i mestatori, i fascisti etc.) sentendosi forse più tranquillo. Lo stesso, certo, vale nei confronti di chi si ribella: non si consoli pensando di risolverla dichiarandosi contro tutto e contro tutti o pensando di essere maggioranza.
C'è di tutto in questa rivolta, ma in quel tutto spicca il solito dramma che ci accompagna da anni: la mancanza di una politica in grado di governare un cambio d'epoca improcrastinabile; e la mancanza di una rappresentanza dei bisogni di una società non solo trasformata ma, a questo punto, lacerata e sfiduciata. Questo dramma sarà ancor più estremizzato e strumentalizzato dalla prossima scadenza elettorale europea. Di questo ne possiamo esser certi.

Monza
Monza

Che cosa occorre fare? Che cosa si può fare? La prima risposta che mi giunge alla mente è quella voce di popolo che recita: “chi semina vento raccoglie tempesta”, alla quale potrei aggiungere un “nessuna pietà per loro”, tratto da uno dei miei racconti di vita.
Ma so che la rivolta è come un fuoco di paglia; so che affidare i nostri destini a dei, più o meno improvvisati, Masaniello vorrebbe dire passare dalla padella alla brace; so altrettanto che occorre isolare, respingere, impedire le derive populiste, localiste e dell'estrema destra montante che ci riporterebbero a un'epoca buia e fuori dal tempo. Penso infine che la strada non sia quella di uscire dall'euro o dall'Europa, ma sia quella di costruire una nuova Europa che abbia al centro i suoi cittadini.
Quindi? Chi ha posti di responsabilità nei partiti, nei sindacati, nelle associazioni di categoria, nelle istituzioni di questo paese, sappia che non c'è più tempo, che occorrono atti concreti di rottura con il passato, a partire dal comportamento, dal linguaggio; sappia che deve concretamente rinunciare ai propri insostenibili privilegi e dedicarsi, sobriamente, al servizio del paese; sappia che chi ha fatto parte di questa epoca che dobbiamo lasciarci alle spalle, anche se non ha avuto responsabilità dirette nelle nefandezze commesse da troppi, si faccia da parte, comunque, mettendosi a servizio delle nuove leve (giovani o non giovani non importa) dando un segno tangibile di cambiamento; sappia che questo paese ha bisogno innanzitutto di lavoro e che per trovarlo e crearlo occorrono nuove idee, così come ha bisogno che venga lasciato spazio e opportunità a chi le idee ce l'ha; sappia che le leggi devono agevolare la vita al cittadino e non renderla una tela inestricabile a servizio dei soliti noti; sappia che le tasse servono a garantire le strutture e la conduzione della comunità e non devono essere né vessatorie, né inique e tutti vi devono contribuire; sappia che chi sbaglia paga e per chi ci rappresenta o governa i nostri beni comuni ciò vale due volte; sappia che non devono più esistere disparità di reddito da repubbliche africane dittatoriali, tra i cittadini e qualsiasi loro rappresentante, dirigente, carica pubblica o istituzionale; sappia che questo paese ha bisogno di tornare non solo a pensare e credere nel proprio futuro ma ha il dovere di costruirlo a partire dalle sue forze migliori che esistono nel mondo del lavoro, delle professioni, dell'imprenditoria, della scuola, della ricerca, tutti ambiti impoveriti se non abbandonati da una politica autoreferenziale, e ciò che più preoccupa senza idee e prospettive per il futuro; sappia infine togliersi dal ridicolo dell'incapacità di dar vita a una legge elettorale degna di questo nome, rispettosa dei dettami costituzionali e delle democrazie europee e non scellerata, al pari di chi l'ha ideata, come quella attuale.
Chi si impegna oggi o domani a prendere in mano le sorti di questo paese farebbe bene a tener conto di tutto ciò e di molto altro ancora, perché se è vero che un fuoco di paglia dura poco, quel fuoco di paglia un domani potrebbe anche provocare un incendio, di ben più vaste proporzioni.

Umberto De Pace

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  15 dicembre 2013