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Papa Francesco
a un anno dalla sua elezione (1)
Umberto De Pace

Papa Francesco

Straordinariamente normale, fra tutte le definizioni è quella che rappresenta al meglio la figura di Jorge Mario Bergoglio, 266esimo Papa della Chiesa Cattolica e capo di stato della Città del Vaticano. Straordinaria è la figura di un uomo che da subito, a seguito della sua elezione, ha saputo imprimere con i suoi gesti e le sue parole un cambiamento epocale non solo nell'ambito della sua Chiesa e comunità ma nei confronti di una buona parte dell'umanità. Normale, perché questo cambiamento non trova fondamento nella dottrina, nell'apparato o nell'organizzazione, ma in semplici virtù a portata di ogni essere umano, così poco sfruttate e valorizzate, quali: l'umiltà, l'onestà, la semplicità, la sincerità, la generosità, la modestia, la solidarietà. Qualità che, non a caso, un altro grande Padre dell'umanità, Nelson Mandela, poneva quali fondamenta della vita spirituale.

Ma tutto ciò non sarebbe sufficiente in mancanza di quel collante indispensabile che ne suggella l'autenticità: la coerenza e la corrispondenza tra la parola e il comportamento. Dote, come sappiamo, più unica che rara nell'epoca che ci stiamo dolorosamente lasciando alle spalle. Nella più che millenaria storia della Chiesa Cattolica e in un momento particolarmente difficile di crisi della stessa, Papa Francesco ha puntato tutto sul kerygma di Gesù Cristo, cioè sul messaggio primigenio fondamentale raccolto e riassunto nel Discorso della Montagna o delle Beatitudini. Messaggio i cui principi, validi universalmente, portarono alla sovversione della realtà del tempo: il ripudio della violenza, della sopraffazione, dell'ingiustizia e l'affermazione di un ideale di vita basato sull'amore e la fratellanza, la carità e la pace fra tutti gli uomini. “E' evidente che quando gli autori del Nuovo Testamento vogliono ridurre ad un'ultima sintesi, al più essenziale, il messaggio morale cristiano, ci presentano l'ineludibile esigenza dell'amore del prossimo” – così Papa Francesco si esprime, all'interno del ben più ampio e complesso capitolo di approfondimento dedicato al kerygma, nella esortazione apostolica “Evangelii Gadium”, dedicata ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici sull'annuncio del Vangelo nel mondo attuale, pubblicata nel novembre 2013.

L'affermazione del filone più autentico del kerygma cristiano nel corso dei secoli – pur avendo visto spesse volte in conflitto la gerarchia sacerdotale con la mistica rigeneratrice dell'ispirazione originaria – ha preservato più di una volta la Chiesa dalla perdita di senso e dalla degenerazione definitiva. La stessa scelta del nome, Francesco, primo Papa ad assumerla, è stata talmente dirompente che nei primi giorni successivi all'elezione alcuni commentatori, spiazzati e confusi, tentarono di accreditarla a qualche altra figura di riferimento che non fosse San Francesco d'Assisi, come ai più fu chiaro fin da subito. Figlio di un ricco mercante di Assisi, Francesco (1182-1226) nell'aprile del 1207 di fronte al padre e al vescovo della città si privò delle vesti, rimanendo ignudo, a testimonianza della sua rinuncia totale ad ogni bene terreno nel nome del Signore. Una scelta non casuale per Jorge Bergoglio, una scelta molto impegnativa, certamente meditata, forse “ispirata”. Impegnativa perché un conto è un religioso che sceglie la via mistica, la testimonianza personale più pura e alta nell'esperienza cristiana; altro conto è il ruolo di un Papa a capo di una Chiesa universale con tutto ciò che ne consegue. Se e quanto sia stata una scelta meditata o “ispirata” lo si può capire non solo dalla storia di San Francesco che volle fortemente coniugare il proposito mistico, nello spirito del kerygma cristiano, con l'accettazione di una visione rigorosa di norme approvate dalla suprema istituzione pontificia; quanto dal lungo cammino di Jorge Bergoglio all'interno della Chiesa e dalle sue specifiche caratteristiche umane.

Nato a Buenos Aires nel 1936 da genitori italiani, a soli 17 anni ebbe il suo primo vero approccio con ciò che lo “stava aspettando”. Grazie all'incontro con un sacerdote e alla sua confessione, la sua vita non fu più quella di prima. Tale incontro rivelatore troverà coronamento a 21 anni quando Bergoglio decise di entrare in seminario. In tale scelta non fu estranea la lotta tra la vita e la morte che lo vide coinvolto ventunenne, a causa di una grave polmonite, e che trovò unico conforto nelle parole di una suora: “Stai seguendo l'esempio di Gesù”. L'aver affrontato la sofferenza, l'aver toccato con mano i limiti umani, l'aver imparato direttamente a discernere le cose importanti della vita da quelle accessorie, impressero nella “carne” del giovane Bergoglio il marchio della fede. Quel pregare “con la carne” che Bergoglio, nelle vesti di Papa Francesco, ricorderà nell'omelia della messa mattutina a Santa Marta, il 5 giugno 2013, parlando delle persone che vivono “nel sottosuolo dell'esistenza” ricordando che occorre pensare “a questa gente, che soffre tanto, con il nostro cuore, con la nostra carne”. Anche in questo, nel dolore e nella sofferenza, Bergoglio propone una sua particolare lettura che si discosta dall'esaltazione della sofferenza quale percorso di avvicinamento a Dio, invitando piuttosto a non perdere la serenità e l'allegria anche di fronte alla penitenza e al sacrificio. Per papa Francesco il Vangelo “invita con insistenza alla gioia” – e sempre nella sua “Evangelii Gadium” esorta ogni catechesi a prestare attenzione alla “via della bellezza”. Credere in Cristo e seguirlo “non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella …”.

Da fine intellettuale, cresciuto e formatosi alla scuola dei gesuiti, Bergoglio sa bene che “l'esaltazione della sofferenza da parte della Chiesa varia a seconda delle epoche e delle culture. La Chiesa ha sempre rappresentato Cristo in relazione al momento culturale in cui viveva”. Per Bergoglio la migliore rappresentazione di Cristo è quella della Crocifissione bianca (1938) del pittore russo Marc Chagall (1887-1985) opera ispirata in lui, ebreo credente, dalla persecuzione degli ebrei nell'Europa centrale e orientale.

Marc Chagall - Crocifissione bianca

Nel dipinto Cristo più che senza vita, sembra addormentato sulla croce, circondato dalle lamentazioni, dai pogrom russi contro gli ebrei, dalla distruzione d'insediamenti ebraici, da profughi e vecchi, dalla violenza nazista nella Kristallnacht, mentre su Gesù si irradia una luce bianca, una luminosità che rimanda al riconoscimento della validità del suo messaggio nella storia, nonostante la sua apparente sconfitta. Sulla croce la scritta è in ebraico e Gesù è cinto da un tallit (scialle di preghiera, indumento rituale ebraico). Cristo è rappresentato per quello che era, un ebreo, perseguitato e innocente capro espiatorio che assume su di se il male del mondo.
Oggi quale epoca, quale cultura la Chiesa sta attraversando? Di che cosa la Chiesa ha più bisogno in questo momento storico?
(segue)

Umberto De Pace

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  9 marzo 2014