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Crimea e autodeterminazione dei popoli
Franco Isman

manifesto elettorale

Il referendum in Crimea per “Il ricongiungimento della Crimea con la Russia come soggetto federale della Federazione Russa” (questo il quesito referendario) è stato votato il 16 marzo scorso dall'84,2% della popolazione residente ed approvato con una maggioranza del 97,32%.

Ricordiamo che la repubblica di Crimea, nell'ambito dell'URSS, faceva parte della Russia e fu gentilente “regalata” motu proprio all'Ucraina da Kruscev (ucraino) nel 1954.
L'attuale Federazione Russa, più semplicemente Russia, è il membro egemone della CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) sorta nel 1991 sulle ceneri dell'URSS che comprende la maggior parte delle repubbliche ex sovietiche con l'esclusione degli stati baltici (Lituania, Lettonia, Estonia) che manifestarono da subito l'intenzione di collaborare con l'Occidente.

Due sono gli aspetti da tenere in considerazione nel valutare questa decisione della Crimea, che ha goduto di tutto l'appoggio della Russia.
Il primo è politico: nel bene e nel male questo dopoguerra ha goduto di una relativa stabilità e non vi sono state guerre in Europa tranne che per la terribile guerra civile nella ex Iugoslavia.
Guerra fredda ed equilibrio del terrore prima, seguiti da periodi di minori contrasti e, talvolta, di collaborazione. Non è saggio cercare di sovvertire l'equilibrio esistente come viceversa fanno gli Stati Uniti che, non contenti di aver strappato Lituania, Lettonia ed Estonia dalla sfera di influenza di Mosca sono anni che cercano di interferire nella politica della ben più grande Ucraina per portarla nell'orbita della Comunità europea e della Nato.
Non si può non comprendere la posizione di Mosca che vede la popolazione di lingua russa (quasi la metà del totale) discriminata, un presidente e un governo filo russi, regolarmente eletti, abbattuti da un golpe ed un nuovo governo con larghissime intrusioni neonaziste. Aggiungasi l'esistenza della base della flotta russa del Mar Nero a Sebastopoli, regolarmente concordata in trattati con l'Ucraina, messa in pericolo dalla nuova situazione politica.

Vi è poi la questione di diritto con innanzi tutto il principio di autodeterminazione dei popoli. Solennemente enunciato da Woodrow Wilson in occasione del Trattato di Versailles del 1919, sancisce il diritto di un popolo sottoposto a dominazione straniera ad ottenere l'indipendenza ed è garantito da numerose leggi e dichiarazioni internazionali, recepite anche nella legislatura dei diversi stati. E' stato applicato per definire stati e confini dopo la prima e la seconda guerra mondiale in modo però discontinuo e si tende a non modificare i confini e gli equilibri nati nel secondo dopoguerra.
Per questo motivo non sono state prese in considerazione le spinte indipendentiste del Quebec canadese, dei baschi di Spagna, dell'alto Adige regolamentato dagli accordi De Gasperi Gruber del 1946 a Parigi. Per contro si sono avute le secessioni di Montenegro e Kosovo dalla Serbia negli anni 2006 - 2008. Di fatto le considerazioni politiche influenzano sempre la decisione sulla ammissibilità o meno di un referendum separatista. Quello testé indetto dalla Liga Veneta per la secessione del Veneto dall'Italia è abbastanza una barzelletta.

Nel caso della Crimea al principio del diritto all'autodeterminazione si affiancano motivi politici molto validi per cui gli strilli dell'America e della inesistente Europa al traino sono gravemente strumentali, ma la grande stampa e di conseguenza l'opinione pubblica li avalla.

La cosa sconfortante è che la scelta era fra l'Ucraina, con un governo golpista e largamente partecipato dai nazisti, e la grande madre Russia nelle mani di quel satrapo di Putin.

Franco Isman

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  22 marzo 2014