prima pagina pagina precedente




Il partigiano “Guerra
Salvatore De Pace

Quando lessi a suo tempo “Il sangue dei vinti” di Giampaolo Pansa riferii a mio padre dell'episodio riguardante la fucilazione del tenente Farina subito dopo la Liberazione, avvenuto a Mondovì, in provincia di Cuneo, la sua città natale. L'episodio, ripreso da altri libri e riportato nel capitolo dal titolo “Sul palco imbandierato”, è uno fra i tanti a testimonianza delle esecuzioni avvenute per mano dei partigiani nei giorni a cavallo della Liberazione. Molto succintamente Pansa cita la “caccia dei fascisti cittadini e di chi aveva collaborato con i tedeschi” e la folla che “covava dentro antichi rancori”. Nessun accenno alle loro dirette responsabilità. Mio padre era al corrente non solo di quei fatti di sangue che videro vittime i “vinti” ma anche delle loro responsabilità negli anni precedenti alla “resa dei conti”. Questo il suo racconto.
Buon 25 aprile
Umberto De Pace


Mondovì (CN)
Mondovì (CN)

Un giorno di cui non ricordo la data esatta del febbraio 1945, di pomeriggio, rientro a casa e nel momento che sto per aprire la porta di accesso al soggiorno, dal vetro che si trova nella parte superiore della porta, intravedo mio Padre in piedi con le braccia alzate e seduto di fianco a lui, un militare con in braccio un fucile; neppure il tempo di aprire la porta che mia sorella Anna Maria la blocca spingendomi indietro e facendomi segno di tacere; mi prende per un braccio, mi accompagna fuori casa e dice: “Non rientrare in casa, aspetta che ti vengo a chiamare io, vado a cercare Carlo vogliono che lui si presenti altrimenti arrestano il papà”.

Mia sorella si allontana alla ricerca di mio fratello e trovatolo le racconta tutto. Insieme rientrano in casa, mio fratello si presenta al militare che teneva sotto controllo mio Padre che finalmente può abbassare le braccia. Il militare con mio fratello escono di casa recandosi a Mondovì Breo nella sede dove, in alcuni locali, avvenivano gli interrogatori e in altri venivano tenuti in stato di arresto i presunti partigiani o i loro collaboratori. Il presidio militare a Mondovì era sotto il comando del tenente Farina il quale aveva la fama di Boia Torturatore. Tutta questa parte che vi racconto e che riguarda ciò che è avvenuto dopo il prelievo di mio fratello da parte del militare, l'abbiamo saputa in seguito perché il militare non aveva dato alcuna spiegazione del motivo dell'arresto, dicendo semplicemente che lui eseguiva l'ordine del suo superiore, il tenente Farina. Nei locali dove si trovava il suo comando, in zona vicino al Municipio, interrogava e torturava con schiaffi, pugni e bastonate le persone arrestate, per farle confessare di essere partigiani o collaboratori dei movimenti partigiani. Prometteva inoltre di liberarli e perdonarli se facevano le spie.

Ritornando all'inizio del mio racconto, mia sorella viene a prendermi, rientriamo in casa e qui trovo mia Madre in lacrime, mio Padre ancora tutto scosso per quanto avvenuto e tutti siamo preoccupati per la sorte di mio fratello. Il mattino dopo mia sorella convince i miei genitori a prendersi lei l'incarico di cercare di parlare con il tenente o almeno con qualcuno dei suoi collaboratori per capire quale era la situazione in cui si trovava mio fratello. Si reca nei locali dove si trovano questi loschi personaggi (che fanno parte della Repubblica Sociale Italiana, nata dopo la liberazione di Mussolini da parte dei tedeschi). Riesce a parlare con uno dei militari che le promette che se ritorna il mattino del giorno dopo l'avrebbe fatta ricevere dal tenente. Il mattino seguente mia sorella si reca nuovamente sul posto e viene ricevuta dal tenente riuscendo in lacrime e sorrisi a convincerlo di poter vedere il fratello. Il tenente le chiede di convincere mio fratello a parlare e lui l'avrebbe subito fatto tornare a casa. Accompagnata da un militare nel locale dove lo tenevano rinchiuso, lo trova al buio, accovacciato per terra, in un angolo della stanza; nel lieve riflesso di luce che passa attraverso le persiane chiuse della finestra, mia sorella vede il volto di mio fratello pieno di lividi, sono i segni dell'interrogatorio subito. Nella stessa stanza, sdraiato per terra, si trova un'altra persona; mio fratello sottovoce le dice di stare attenta nel parlare perché l'altro compagno di stanza poteva anche essere una spia. Dopo pochi minuti il militare che era sulla porta le dice che il tempo del colloquio è finito, mia sorella abbraccia mio fratello il quale le sussurra nell'orecchio di andare a casa di un funzionario del fascio che abitava a Mondovì Piazza, per dirgli queste semplici parole: “Si dia da fare per farlo liberare e mi fratello ne avrebbe tenuto conto quando ci sarebbe stata la resa dei conti”.

Mondovì Piazza)
Mondovì Piazza

Terminato il breve colloquio mia sorella ritorna a Monodovì Piazza e si reca subito a casa di questo funzionario, dove trova la moglie alla quale riferisce di come aveva trovato mio fratello e di quanto aveva avuto l'incarico di riferire. La signora cercò di consolarla e le assicurò che avrebbe riferito tutto al marito. Mia sorella tornata a casa raccontò il tutto (escluse le botte) e in tutti noi ritornò la speranza che presto Carlo sarebbe ritornato a casa. Passarono altri due lunghi giorni e finalmente un mattino mio fratello tornò a casa; l'intervento del funzionario aveva dato il suo risultato. Liberato ma sotto controllo, mio fratello diceva di essersi accorto che veniva pedinato da persone sconosciute. Era venuto inoltre a conoscenza, nei giorni che era stato in arresto, che il suo fermo era dovuto ad una soffiata anonima che però aveva portato a sicura accusa con prove, per questo avevano usato i barbari metodi per fargli confessare la sua appartenenza al movimento Partigiano, nome di battaglia “Guerra”.

Passano alcuni giorni, mio fratello sempre all'erta e temendo da un momento all'altro di essere di nuovo arrestato prende la decisione di rientrare nella sua Brigata. Qui inizia la fuga da casa. Un pomeriggio dei primi di marzo del 1945, mio fratello mi dice: “ Oggi vieni con me andiamo a fare una bella passeggiata in campagna con la bicicletta”. Felice della passeggiata in bicicletta, non mi sono posto nessuna domanda sul modo strano adottato per uscire di casa. Si parte in bicicletta, passando dietro Beccone, transitiamo in Piazza d'Arme, prendiamo la strada che passa vicino alla polveriera, saliamo la collina e poi attraverso sentieri di campagna scendiamo sino ai Sciolli, di lì sino alla frazione del Borgatto, qui saliamo sulla strada che congiunge Mondovì con Villanova, raggiunta la quale proseguiamo in salita raggiungendo Villanova Soprana, zona di colline e montagne. Qui giunti mio fratello mi offre un'aranciata. Terminato di bere mi dice: “ Adesso devi tornare a casa da solo, la strada la conosci, se ti fermassero lungo la strada gli dici che sei venuto a farti una passeggiata. Non devi dire a nessuno che sei venuto con me, nessuno deve saperlo. Se in questi giorni qualcuno ti chiedesse di me devi dire che sai solo che sono andato in cerca di lavoro, ma non sai dove”. Ci salutiamo. Durante il ritorno non incontro nessuno, stanco della bella giornata trascorsa racconto il tutto ai miei genitori. Nel frattempo mio fratello li aveva già informati della sua fuga in montagna. Mio Padre e mia Madre avevano timore che tornassero a cercarlo, ma come si è poi visto in seguito, in quel momento il gruppo di militari con il tenente Farina aveva altri problemi; si sentiva già il fiato sul collo della loro fine, con la resa dei conti come poi più avanti si vedrà.

Dopo il duro inverno le diverse brigate partigiane si stavano organizzando per scendere a valle e liberare le città. L'esercito della R.S.I. era ormai allo sfascio, le truppe tedesche erano in ritirata, i gerarchi fascisti erano giunti al “si salvi chi può”. Una sera sul tardi, pochi giorni prima dell'occupazione della città da parte dei nuclei Partigiani ecco la sorpresa: mio fratello è tornato per organizzare la discesa a valle della sua brigata e occupare la caserma di Mondovì Piazza come poi avvenne. Il 29 aprile 1945 vidi passare in via Vico un gruppo di partigiani con fazzoletti al collo e stella rossa puntata sul petto, con il loro comandante Mario Dogliotti in testa al gruppo andavano ad occupare la caserma. Il 5 maggio 1945, partigiani di cui non conosco l'appartenenza prelevarono dalla prigione il tenente Farina e tre dei suoi collaboratori. Erano stati processati e condannati a morte per crimini di guerra, portati sul corso Statuto e fucilati. Di questo ne sono venuto a conoscenza alcuni giorni dopo. Ritorno indietro nel tempo per riferire il racconto che ascoltai da mio fratello per quanto accaduto dal momento che ci siamo lasciati in Frabosa Soprana.

Appena ci siamo lasciati ritorna all'osteria con alloggio e prende una camera per passare la notte . Nota nell'oste una certa diffidenza al punto che le viene chiesto cosa era venuto a fare in quel posto. Mio fratello tenendosi sul vago le disse che cercava dei suoi amici che lavoravano nella zona. Il mattino, fatta la colazione, esce e nelle vicinanze viene fermato da due uomini in borghese armati che lo prelevano e lo portano in un casolare, dove si trovano altri uomini. Qui viene interrogato, lo perquisiscono, controllano i documenti, vogliono sapere perché si trova in quella zona. Mio fratello, non sapendo chi sono le persone che l'hanno fermato, si gioca la carta della verità. Pensando che siano partigiani di qualche formazione della zona, gli dice che sta cercando la sua brigata che si trova da quelle parti. A questo punto le persone che lo interrogano le dicono: “Finalmente ti abbiamo preso noi siamo militari della R.S.I. adesso ti fuciliamo”. Mio fratello non ebbe altra reazione che accettare il triste destino che lo attendeva. Lo legano e rinchiudono nel casolare; dopo qualche ora lo prendono, lo mettono contro il muro estraggono i fucili e si predispongono per la fucilazione. Gli chiedono se vuole ancora dire qualcosa, al suo rifiuto puntano le armi. A questo punto giunge al termine la finta fucilazione, uno del gruppo che doveva essere il comandante rincuora mio fratello dicendogli che anche loro sono partigiani. Dato che nella zona ogni tanto si infiltrano delle spie, quando non si conoscono le persone devono stare molto attenti. Lo informano che lo trattengono con loro e che presto dovrebbe venire qualcuno della sua brigata a prenderlo. Era stata mandata un staffetta partigiana ad informare della sua presenza sul posto. Il giorno dopo sono venuti due garibaldini e finalmente mio fratello rientra nella sua brigata. Probabilmente il gruppo che l'aveva fermato era stato informato dall'oste che c'era uno sconosciuto che si era fermato nella zona, il quale chiedeva notizie sul posto.

Erano momenti terribili per la vita delle persone, anni di guerra anche per la popolazione civile, non si sapeva mai come la pensavano le persone che incontravi, se erano amici o nemici, erano “tempi duri per i troppo buoni”.

De Pace Salvatore
dalla raccolta personale di memorie: “Mondovì. Ricordi di guerra” – aprile 2014

Condividi su Facebook Condividi su Facebook
Segnala su Twitter


EVENTUALI COMMENTI
lettere@arengario.net

Commenti anonimi non saranno pubblicati


in su pagina precedente

  25 aprile 2014