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Elezioni europee: perché votare
Umberto De Pace

Europa

Il solo domandarsi il perché, di un atto che rappresenta nella sua semplicità il fondamento della democrazia, la dice lunga su quanto profonda sia la crisi che stiamo attraversando, la quale oltre all'impoverimento economico ha portato con sé la perdita di fiducia verso le istituzioni, chi le presiede e più in generale verso la “politica”. D'altronde è evidente che la maggior colpa della crisi ricada proprio sulla “politica”, dimostratasi non solo incapace e inadeguata nell'affrontare i grandi cambiamenti storici di questi anni ma, troppo spesso, essa stessa causa primaria dei mali che ci affliggono: prime fra tutte le politiche di austerità e rigore imposte con cecità all'Europa.

Perché quindi votare?
Innanzitutto perché la democrazia si basa sulla partecipazione di ogni singolo individuo alla scelta di chi debba presiedere le istituzioni di rappresentanza, di amministrazione e governo del proprio paese o della propria comunità. Il fatto che oggi alle elezioni europee si voti anche, sia pur informalmente, il candidato alla presidenza della Commissione Europea, rappresenta inoltre una novità positiva e un ulteriore passo verso una maggior democratizzazione delle istituzioni europee.

Di fronte alla globalizzazione dei mercati, della finanza e delle imprese, di fronte alla moneta unica – processi e strumenti che oramai da anni rappresentano una realtà ineludibile e, purtroppo, per molti aspetti incontrollata – è ora che la “politica” si rinnovi e si strutturi per essere all'altezza di adempiere al proprio compito, non ultimo quello di governare e regolamentare con politiche adeguate l'economia. Anacronistica, antistorica e illusoria è la proposta di chi, guardando al passato rivendica il ritorno agli Stati nazione (o ancor peggio a entità regionali) i quali hanno svolto il loro compito, esaurito la loro ragione d'essere e devono passare il testimone ad un'entità sovranazionale, nel nostro caso l'Europa. Lo stesso è valso per le monete nazionali, dove i problemi nati a seguito della nascita dell'euro non sono insiti nello strumento (la moneta) ma ancora una volta nelle politiche inadeguate che l'hanno sostenuta.

La globalizzazione, l'intreccio sovranazionale, la messa in discussione dei confini politici, non riguarda solo l'economia, è un dato di fatto anche per gli esseri umani. Affrontare questo immenso cambiamento – di cui troppo spesso ci colpiscono i drammi, le tragedie o ci sopraffanno le paure e fatichiamo a vederne le opportunità e la potenziale ricchezza di cui potrebbe essere, e in parte lo è già, portatore – nell'ambito dei propri confini e del proprio orizzonte di vedute, non è solo un'impresa assurda e improba, quanto contraria a un processo epocale inarrestabile. Anche in questo caso quindi è la politica che deve fare la sua parte a livello europeo (e non solo).

L'affermarsi di partiti e movimenti nazionalisti, se non xenofobi e razzisti, il risorgere della destra neofascista e neonazista, il loro intreccio con formazioni localiste e indipendentiste, se da una parte non ci può stupire – in quanto esito forzato di politiche che hanno creato profonda sofferenza e disagio sociale – dall'altra devono rafforzare la convinzione che non si possa consegnare nelle mani di tali forze il destino del nostro vecchio continente. E questo non solo in memoria di ciò che i popoli europei hanno subito nel corso della loro storia ma soprattutto per affermare quei principi e valori che sono tra le fondamenta dell'Europa: i principi di libertà, uguaglianza e solidarietà.

Non da ultima, fra le motivazioni che dovrebbero indurci ad andare a votare, vedo la situazione della nostra politica nazionale che aldilà dei concreti (e apparenti) cambiamenti in corso risulta sempre così gretta, chiusa su se stessa, priva di una visione programmatica globale che vada oltre l'ordinaria amministrazione, di cui è già tanto sperare ed augurarsi che venga svolta con scrupolo e coscienza. In tal senso guardare all'Europa è un utile esercizio per ampliare i propri orizzonti, per confrontare le proprie idee, per accrescere la propria conoscenza e ideare una nuova prospettiva futura che, sicuramente, dal nostro asfittico punto di vista si fatica a vedere.

Lo storico olandese G.J. Renier, in un saggio del 1946, spiegava come la nazionalità non è né nel sangue, né nel suolo e neppure nella lingua, ma essa esiste solo nella mente degli uomini. Prima o poi dobbiamo prenderne coscienza, occorre un cambio di mentalità, di cultura, affinché si generi una politica all'altezza per una nuova Europa: un'altra … ma pur sempre Europa. Nel frattempo (magari sforzandoci) andiamo a votare.

Umberto De Pace

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  19 maggio 2014