prima pagina pagina precedente




Gli amici degli Israeliani e dei Palestinesi
Umberto De Pace

amici

Nel guardare senza parole le immagini di morte e distruzione che ci giungono dalla Striscia di Gaza, nel leggere attonito commentatori che discettano sulle responsabilità delle morti dei bambini palestinesi o sulla telegenia delle foto dei loro corpi martoriati, nell'ascoltare le parole dissennate di esimi professori mestatori di storia e privi di buon senso, non posso fare a meno di pensare che da qualche parte, ovunque siano, gli assassini dei tre giovani israeliani godranno compiaciuti di fronte al nuovo massacro che si compie in terra di Palestina. Ad oggi, oltre al giovane palestinese ucciso per vendetta, più di mille i morti palestinesi, più di quaranta quelli israeliani. Ad oggi il sentimento di odio è ancor più radicato nel profondo dell'animo di futuri combattenti o nuovi terroristi, disposti a dare la propria vita e annientare quella del nemico per vendicare ciò che oggi stanno vivendo. Ad oggi altri palestinesi cadono sotto i colpi dell'esercito israeliano in Cisgiordania, mentre in alcune città europee alla protesta contro Israele si affiancano episodi di antisemitismo.

Quale è il senso di tutto ciò? Occorre chiederselo, oggi, di fronte ai morti, al sangue, alla violenza, prima che ricada di nuovo il silenzio su quel brandello di terra violentata e un domani dimenticata; fino al prossimo inevitabile e prevedibile appuntamento con la morte e la distruzione. Il senso sta nel fatto che israeliani e palestinesi non sono in grado di interrompere il loro abbraccio mortale, rafforzati in ciò dai loro amici più prossimi, sostenitori delle loro ragioni e zelanti detrattori di quelle dell'altro.

Non è una questione di equidistanza è una questione di vita o di morte; per chi sceglie la vita vi è una sola strada da percorrere, una strada a senso unico. Ed è quella di far tacere le armi, interrompere il conflitto, interporre una forza internazionale, togliere l'embargo alla popolazione di Gaza, garantire che non vengano più lanciati missili sulle città israeliane. E' la strada del riconoscimento dello Stato Palestinese da parte di Israele sui territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza con la garanzia di un corridoio di collegamento tra i due territori e l'istituzione della capitale a Gerusalemme Est. E' la strada dell'accettazione incondizionata dell'esistenza dello Stato di Israele da parte di qualsiasi entità Palestinese si candidi alla guida del paese e dello smantellamento delle colonie israeliane in qualsiasi porzione del territorio palestinese. E' la strada del graduale e programmato ritorno dei profughi palestinesi nel nuovo Stato di Palestina e della reciproca garanzia di sicurezza tra lo Stato di Israele e quello di Palestina.

E' una strada piena di ostacoli, di insidie, la quale una volta intrapresa richiederà ancora il sacrificio di molte vite, forse per anni, perché i fautori dell'odio e della violenza non deporranno facilmente le loro armi; ma almeno non sarà un sacrificio inutile, senza senso, senza futuro come quello a cui ancora oggi assistiamo, del quale abbiamo solo la certezza che non sarà l'ultimo.

Israeliani e Palestinesi non sono in grado di intraprendere da soli tale strada, così come non possono essere d'aiuto gli amici storici di entrambi gli schieramenti: Stati Uniti e paesi Arabi in primis. L'Europa che avrebbe potuto ricoprire questo ruolo, per risultare credibile, dovrebbe prima affrancarsi dalla vergogna e dal pericolo di quanto sta accadendo in casa sua, con la surreale catastrofe ucraina nella quale pesano non poco le sue stesse irresponsabilità. E' quindi compito della fragile e spesso incerta comunità internazionale fare in modo che il conflitto israelo-palestinese si traduca in un negoziato serrato e se occorre obbligato, imposto, senza più vie d'uscita nelle comode e sperimentate vie traverse della violenza e delle armi.
La strada della guerra intrapresa in questi ultimi decenni su scala internazionale da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, contro il terrorismo e i regimi dittatoriali, ci consegna oggi un mondo in preda a decine di focolai di guerra, linfa vitale per il terrorismo. Fra tutti, il conflitto israelo-palestinese è il più antico è ha un suo peso specifico enorme, che va al di là dei suoi stretti confini. Cosa occorre ancora che capiti per capire che fino ad oggi si è percorsa la strada sbagliata?

Al netto degli opposti estremismi, alla Gianni Vattimo e Fiamma Nirenstein tanto per capirci, oltre a contare i morti di questa ennesima guerra e a compiangerne le vittime innocenti, oltre ad auto compiacersi delle proprie ragioni, forse è il caso che gli amici di Israele e della Palestina si assumano il compito più difficile che è quello di convincere chi gli è più vicino a deporre le armi e ad accettare il fatto che la pace non può che essere costruita con il proprio nemico.

Umberto De Pace

Dello stesso autore:
Spezziamo la catena dell'odio 2 marzo 2008
Quella volta a Gaza 7 gennaio 2009
Aiutiamo Israele 19 gennaio 2009
Guerra o pace in terra di Israele e Palestina 22 luglio 2014

Condividi su Facebook Condividi su Facebook
Segnala su Twitter


EVENTUALI COMMENTI
lettere@arengario.net

Commenti anonimi non saranno pubblicati


in su pagina precedente

  27 luglio 2014