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In dubio pro reo
Franco Isman

Non mi uccise la morte

Per dirla con le parole del presidente della Corte d'appello: “Se non vi sono prove sufficienti di responsabilità individuali il giudice deve assolvere. Questo per evitare di aggiungere orrore a obbrobrio e far seguire ad una morte ingiusta la condanna di persone di cui non si ritiene provata la responsabilità”. Tre erano le guardie carcerarie accusate del pestaggio di Stefano Cucchi e l'assoluzione per “indizi insufficienti”, altro nome della vecchia insufficienza di prove, non significa disconoscere che il pestaggio, ampiamente dimostrato, ci sia stato, ma vuol dire che non si è riusciti ad individuare, al di là di ogni ragionevole dubbio, chi ne sia stato il responsabile.

Risalendo al generale è però certamente vero che la giustizia in Italia non funziona, per tanti motivi, talvolta ascrivibili agli stessi magistrati. Uno dei più deleteri è che in Italia ci sono in teoria tre gradi di giudizio, qualcuno dice troppi, ma in realtà talvolta diventano molti di più anche perché la Cassazione, che dovrebbe svolgere soltanto un controllo di legittimità formale, talvolta si trasforma in un terzo giudizio di merito. “La gente ormai non sa più a che grado di giudizio siamo arrivati” dice Giulia Bongiorno che difende Raffaele Sollecito nel processo per l'omicidio di Meredith Kercher. E aggiunge “Spesso sulla spinta mediatica si va a processo con uno spezzatino di indizi e alla fine non ci sono le prove. Ecco perché tanti ribaltamenti…”

Nello specifico altre sono le responsabilità, non dei magistrati.
C'è stato qualche provvedimento sanzionatorio per l'incredibile errore della verbalizzazione dell'arresto su un modulo intestato ad altra persona, un albanese senza fissa dimora, che ha portato alla costrizione in carcere di Cucchi invece che agli arresti domiciliari?
E cosa hanno fatto le autorità carcerarie per accertare la verità su quanto accaduto nei sotterranei del Tribunale? I diretti superiori delle guardie carcerarie, se avessero avuto l'intenzione di farlo e non di coprire le responsabilità dei subordinati, ne avrebbero avuto tutte le possibilità.

Ma le reazioni viscerali, espresse in particolare su Facebook e su Twitter da politici e uomini (e donne) dello spettacolo, sono soprattutto contro questa sentenza.
“Sono senza parole” dichiara il sindaco di Roma Ignazio Marino.
"Che rabbia. Rabbia per una sentenza che non fa giustizia - scrive Roberto Saviano, animatore di tante giuste battaglie - Rabbia per la famiglia di Stefano Cucchi che ricorrerà in Cassazione ma che probabilmente non saprà mai come si è svolta l'ultima settimana di Stefano in vita. Che rabbia per noi, che siamo foglie al vento, che ci sentiamo nudi e indifesi di fronte a tutto questo".
Critiche arrivano da Rita Bernardini dei Radicali, Vito Crimi senatore 5stelle, Corrado Passera già ministro con Monti, Fabrizio Cicchitto e tantissimi altri.
#cucchiucciso 2volte titola su Facebook il rapper Rocco Hunt.
E Fedez pubblica su Facebook un manifesto listato a lutto sul quale si legge "Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l'anima a forza di botte.
Il cantautore Raf, rispondendo ai suoi followers, chiosa: "casi come Cucchi o Aldrovandi provocano solo a chi è provvisto di coscienza un profondo senso di rabbia e sconcerto". Ha perfettamente ragione ma non è la sentenza che deve essere posta sotto accusa.

Il sindaco Marino ha anche condiviso la mozione, presentata al Consiglio comunale di Roma dal capogruppo di SEL e approvata da tutta la maggioranza e dal Movimento 5 stelle, di intitolare a Cucchi una via o una piazza, e questo è davvero aberrante. L'uccisione di Cucchi, l'assassinio di Cucchi, è un episodio indegno di un Paese civile e ben altro avrebbe dovuto essere l'impegno nel cercare la verità. Ma essere stato barbaramente ucciso non è motivo sufficiente di celebrazione, ben altri devono essere i meriti di chi è così commemorato: Su questo fa bene il sindacato di polizia SAP ad opporsi ed a chiedere che venga piuttosto ricordato qualche servitore dello Stato morto nell'adempimento del suo dovere.

Franco Isman

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  02.11.2014