prima pagina pagina precedente




Resistere
Anna Marini


La memoria di due uomini, padri di famiglia, che combatterono il nazifascismo in tutte le sue forme, viene celebrata con la lettura dei loro scritti dalla splendida voce di Antonella Morassutti, e nei preziosi ricordi delle figlie, la sera del 18 settembre alla Libreria Les Mots a Milano.

Giovanni Battista Stucchi ed Ermenegildo Gastaldi militarono nella Resistenza perché mossi da grande e maturo senso civico, dalla volontà di non cedere alla tranquilla e ignobile indifferenza di chi, rassegnato, china il capo. Uno avvocato e l'altro psichiatra, entrambi legati a Ferruccio Parri da grande stima e profondo affetto, entrambi partigiani, alla Liberazione nutrirono la speranza che il cammino intrapreso con la Resistenza non fosse terminato il 25 aprile, ma proseguisse verso l'affermazione di quei diritti fondamentali e quei principi di uguaglianza sociale non ancora pienamente raggiunti.

***

Rosella Stucchi

Rosella Stucchi ricorda la figura del padre, che non amava partecipare alle celebrazioni e sostare sotto i riflettori. “Il ruolo di monumento non mi si addice” affermava; ma per la famiglia Giovanni Battista Stucchi era una presenza molto forte e incisiva. Quando il 31 agosto del 1980 si spense all'improvviso, lasciò un grande vuoto attorno a sé. Nel suo studio il libro in fieri al quale stava lavorando da tempo: era pronta la prima parte delle sue memorie di guerra e soprattutto le motivazioni di una scelta determinante per la sua vita e per la sorte di un paese intero, oltre a numerosi foglietti fitti di appunti.

“La prima parte molto bella, la seconda molto interessante” commentò, dopo aver letto il manoscritto, Nuto Revelli, amico e compagno durante la ritirata di Russia. “Tornim a baita” ripetevano in quei tempi gli alpini al capitano Stucchi, “torniamo a casa”: così i soldati esprimevano il disperato desiderio di far ritorno alle proprie famiglie e alla vita nell'intollerabile rigore dell'inverno russo. Quelle parole diventeranno il titolo delle memorie del capitano, presentate la prima volta nel 1983 davanti ad un pubblico numeroso e recensite da Arturo Colombo, Leo Valiani, Mario Rigoni Stern e tanti altri.

Giovanni Battista Stucchi nacque nel 1899 e la prima Guerra mondiale lo vide impegnato a combattere sul fronte del Piave; tornato a casa intraprese la carriera di avvocato.
Allo scoppio del secondo conflitto, l'amicizia del padre con il generale Soddu avrebbe potuto evitargli di tornare a vestire la divisa, ma sentiva come un vero e proprio dovere morale condividere la sorte dei suoi alpini. Infatti al contrario dei suoi giovani alpini nati e cresciuti durante il fascismo, che non conoscevano altra società, egli aveva assistito alla sua affermazione da “alfiere dell'antifascismo dietro le persiane”. Così definiva la sua tiepida opposizione durante gli esordi e nei primi tempi di quel regime che, in seguito, avrebbe causato milioni di morti nell'ultima catastrofica guerra. Con quest'espressione sintetizzava il senso di colpa per non aver opposto quella resistenza che contraddistinse poi tutta la sua vita.
“Alla malora il generale Soddu! Partirò con loro, dividerò il loro destino” promise a se stesso quando fu richiamato con il grado di capitano nel battaglione Valtellina del 5º Reggimento Alpini e poi inviato in Russia.
E a quel destino, condiviso con i suoi alpini, chiedeva gli fossero concesse due speranze: di far ritorno a casa e di non trovarsi costretto ad uccidere. In seguito l'8 settembre sfuggì alla cattura da parte dei tedeschi, rientrò a Monza, prese contatto con i vecchi amici di sempre Antonio Gambacorti Passerini, poi fucilato a Fossoli, e Gianni Citterio, morto in combattimento a Megolo in Val d'Ossola, poi si diede alla clandestinità per prendere parte al movimento partigiano, che “in Italia era di per sé un fenomeno di massa nato dall'iniziativa spontanea dei singoli e non a seguito di ordini dall'alto”.
Dopo aver operato inizialmente in Svizzera per stipulare accordi con i rappresentanti degli eserciti alleati, “Marco Federici” fu nominato Comandante unico nella repubblica partigiana dell'Ossola esercitando le sue qualità di mediatore in quella occasione come anche nella vita. Nel febbraio 1945 rientrò a Milano come membro del Comando generale del CVL (Corpo volontari della libertà) in rappresentanza del Partito socialista. Alla Liberazione sfilò per le vie di Milano con tutti i componenti del Comando generale.

Dopo la Liberazione l'opera della Resistenza gli appariva incompiuta soprattutto nel suo obiettivo principale: occorreva mutare i rapporti di produzione e così “arrivare alla giustizia sociale, cominciando da quella fiscale”. Così rifletteva Stucchi ad anni di distanza dalla Liberazione, così ragionava il combattente che nella Resistenza aveva creduto e credeva ancora. La libertà, agognata, inseguita, sperata, era in realtà la libertà di una classe, addirittura quella di una casta.

Il cammino della Liberazione è un processo che richiede speranza e determinazione, una dedizione e un amore infinito per la dignità umana; continua tuttora, come testimoniano le parole attualissime dell'autore, nel denunciare l'ingiustizia che ancora ai nostri giorni grava sulla collettività: “Il paese più libero è quello che ha meno disoccupati”.

***

Claudia Gastaldi

Ermenegildo, Gildo, Gastaldi fu persona importante nella Resistenza ma il suo contributo alla lotta di Liberazione rimase sconosciuto per tutta la sua vita.
Così la figlia Claudia introduce al coinvolto pubblico della libreria la figura di suo padre. Un'esperienza derivata da un grandissimo senso civico, riflessioni maturate negli anni e ricordi dolorosi non vengono mai trattati durante un'intera esistenza, nemmeno all'interno delle mura domestiche.
Il segreto, custodito gelosamente nel silenzio della propria intimità, appare solo quando le figlie trovano gli scritti del genitore, del tutto inediti e relativi alla guerriglia clandestina: allora le memorie divengono un libro.

“Perché resistemmo, perché resistiamo” è una testimonianza ed un esempio affinché prosegua il cammino di chi avrebbe potuto restare al balcone a guardare e invece credette nei valori di libertà e uguaglianza. Ermenegildo Gastaldi nasce a Casalpusterlengo nel 1907. Spirito libero, ironico e polemico, ancora giovinetto è già avverso al fascismo. Nel 1926 è iscritto alla facoltà di medicina e chirurgia all'università di Pavia. Nella clinica di malattie mentali si impegna attivamente nella diffusione di volantini contro il regime, ma anche in quella delle armi. La politica è la sua grande passione, a cui si vota con estrema dedizione: è questa l'immagine che serbano di lui i compagni di studi all'inizio della ricerca scientifica e anche successivamente i suoi familiari, quando, padre di famiglia, si unirà alle formazioni partigiane. A Venezia, dove raggiunge il suocero dopo l'8 settembre, entra nel partito d'azione e poi nel CLN, per divenire “Dino” alla nascita del movimento partigiano. In quella città, come anche in molte altre, le donne assunsero un ruolo di grande responsabilità nella Resistenza e diedero alla lotta armata un valido contributo.

L'esperienza e le riflessioni di Gildo Gastaldi, divenute testimonianza grazie all'impegno dei figli, diventano voce narrante di tutti coloro che respinsero l'indifferenza come condotta di fronte alla negazione di ogni forma di libertà. A tutti i giovani che decisero di scegliere, di schierarsi, anche se nell'anonimato, è dedicata l'opera. In ogni epoca non mancò invece chi preferì esimersi dall'agire in favore di un ideale, di una fede, preferendo conformarsi ai dictat del pensiero dominante.

A loro rivolge tutto il suo biasimo Dante Alighieri, che nel terzo canto dell'Inferno li definisce come “coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo”. Le anime degli “ignavi”, che in vita non si schierarono mai, ma furono sempre spettatori passivi, “mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro”: patiscono i tormenti nell'antinferno, non essendo degne nemmeno del regno di Lucifero.

Anche oggi la tentazione di rifugiarsi nell'ignavia può serpeggiare tra il timore e una tutela dei diritti sempre più fragile nel mondo del lavoro e nella società civile in generale: contro questo opera chi raccoglie l'eredità di tanti giovani coraggiosi che settant'anni fa preferirono l'incognita ad un'apparente garanzia, la dignità al servilismo. Perché se numerosi applaudirono le parole dell'arroganza e della follia scagliate dai balconi di Piazza Venezia, in molti anche credettero e sperarono nella Libertà, e in suo favore combatterono.

Anna Marini

Condividi su Facebook Condividi su Facebook
Segnala su Twitter


EVENTUALI COMMENTI
lettere@arengario.net

Commenti anonimi non saranno pubblicati


in su pagina precedente

  21.09.2015