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PALESTINA E ISRAELE

Don Mario e la Casa del Bambin Gesù
Franco Isman e Tania Marinoni

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Abbiamo casualmente incontrato don Mario Cornioli di ritorno da Hebron passando davanti a un villaggio palestinese. Luisa Morgantini, la nostra mentore, aveva fatto bloccare il pullman e si era fiondata giù per abbracciarlo, poi ha colto l'occasione per raccontarci di chi si trattasse.
Don Mario alla sua attività di assistenza ai bambini disabili, di cui parleremo, affianca una appassionata attività in difesa della causa palestinese.
Ha un difficile rapporto con gli inviati dei principali giornali italiani che accusa di distorcere i fatti: “scrivono che è A, ma mi basta affacciarmi alla finestra per vedere che non è nemmeno B o C ma Z”.

Una volta, ci racconta Luisa, aveva assistito ad una messa celebrata da don Mario in un piccolo agglomerato di casupole palestinesi vicino a Betlemme su cui pendeva un'ordinanza di demolizione ed era stata così presa dall'evento da aver addirittura fatto la comunione, lei che aveva abbandonato le cerimonie religiose da forse cinquant'anni !
Una persona vulcanica, che forse calca un po' la mano su questo aspetto, che abbiamo poi incontrato a Betlemme, a pochi passi dalla Basilica della Natività, dove sorge una casa fondata sulla dimensione della famiglia. All'interno delle mura cinque suore del Verbo Incarnato riversano le loro cure materne sui “bambini di Gesù”. 24 fanciulli, affetti da gravi disabilità psico-motorie e per questo vittime di abbandono da parte delle famiglie d'origine, sono gli ospiti graditi dell' “Hogar Niño Dios”.

La storia di amore e di carità ha avuto inizio nel 2005, quando l'allora Patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, aveva offerto una struttura dalle dimensioni modeste, quasi una stanza, in favore di tre “piccolissimi reietti”, accuditi da due giovani religiose argentine, appartenenti alla Congregazione delle Serve di Nostra Signora di Matarà: una si chiamava suor Gesù e “indovinate il nome dell'altra”, ci chiede don Mario, suor Cristo naturalmente; del resto lui che era nato a Sansepolcro non poteva che finire lì !

Un valido aiuto giunse subito dai volontari dell'Unitalsi, tuttora presenti sul campo. Gli operatori, per fronteggiare la necessità sempre maggiore di nuovi spazi, sostennero l'intervento di ristrutturazione e di ampliamento dello stabile, includendo la realizzazione di una piscina, oggi utilizzata per l'idroterapia. Grazie al sostegno del Consolato italiano a Gerusalemme, il 14 giugno 2013 è stato inaugurato il terzo piano del fabbricato con stanze da letto per 35 ospiti e la cappella, ritenuta il cuore del centro riabilitativo.

La realtà religiosa è testimonianza di carità cristiana e anche una risposta alla concezione locale nei confronti della disabilità. In Palestina viene infatti considerata come castigo inflitto da Dio e non, come invece suggerisce la genetica, frutto di unioni tra consanguinei, pratica estremamente diffusa. I bambini disabili vengono relegati in casa dalle famiglie e molto spesso rifiutati: nell' “Hogar Niño Dios” trovano allora una famiglia dedita alla cura e all'amore. Nel centro possono dedicarsi allo studio, alle attività ludiche ed alla riabilitazione psico-motoria, anche grazie alla musica. Il progetto è una sfida e viene inteso dalle religiose secondo le categorie proprie del cristianesimo. A chi domanda loro quali siano i motivi che ispirano quest'opera, rispondono citando le parole del salmo 68, incise sulla targa appesa al muro della Casa: «Ai derelitti Dio fa abitare una casa».

La sofferenza può a volte risultare difficile da comprendere e ancor più da accettare, ma la vita di don Mario è interamente votata all'amore per i suoi figlioli, ai quali è indissolubilmente legato da profondo affetto e sentimento paterno: “Mi sono stati affidati dal Signore perché li custodisca, ma credo che alla fin fine sono questi piccoli angeli che mi custodiscono quotidianamente con la loro preghiera e la loro semplicità”. Il Fidei Donum vive l'opera di carità come una missione affidatagli da Dio, come una chiamata inattesa all'inizio del sacerdozio: “Abbiamo chiesto aiuto alla Provvidenza. E la Provvidenza non ci ha deluso”. L'esperienza si rivela per il sacerdote toscano anche come opportunità di accrescimento interiore e una vera e propria rivoluzione: “Accogliere e vivere la paternità di questi bambini ti trasforma nel profondo e ti cambia per sempre”. Vivere in Palestina e, come insegna il Vangelo, dalla parte degli ultimi, è un percorso intriso di enormi difficoltà. Ogni giorno si tocca con mano l'assurdità e l'orrore che si consuma a pochi passi. Anche chi è sorretto dalla fede sperimenta quotidianamente la fragilità della condizione umana e i suoi enormi limiti. “Ci sono momenti della giornata in cui faccio fatica ad accettare l'ingiustizia e la prepotenza di alcuni uomini su altri uomini e così, quando mi accorgo che nel mio cuore inizia a crescere la rabbia e a far capolino l'odio, corro all'Hogar per cercare un abbraccio dai piccoli”. Nell'amore reciproco che dona e riceve dai suoi fanciulli, don Mario ritrova la pace e la serenità interiore, così difficili da coltivare dove ovunque è incomprensione e orrore. L' “Hogar Niño Dios” è un'oasi felice, quasi una via di fuga dall'assurdità che impera costantemente nei territori invasi dal terrore; la “Casa del Dio bambino” è il luogo dove, nelle parole di don Mario, Gesù si è incarnato per vivere il Natale ogni giorno.

Al termine della visita chiediamo a don Mario se vede qualche possibile sbocco alla tragedia palestinese. Razionalmente devo dire che non vi è alcuna soluzione possibile, risponde, ma io confido nella divina Provvidenza.

Franco Isman e Tania Marinoni

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  10.10.2015