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Leggi, regole e politiche sull'immigrazione
Umberto De Pace

Artista a Colonia protesta contro le violenze sulle donne la notte di Capodanno

La notte di Capodanno a Colonia in Germania, decine di donne subiscono molestie, violenze e furti da parte di centinaia di uomini, per lo più stranieri. Molti nordafricani e, su 71 persone controllate dalle forze dell'ordine, la maggior parte in possesso di un documento di registrazione come richiedente asilo. Soprassediamo per un attimo sulle pesanti responsabilità di chi doveva garantire l'ordine e non l'ha fatto. Lasciamo da parte le bieche strumentalizzazioni politiche e ideologiche. Non addentriamoci nei singoli fatti specifici – ancora non del tutto chiari – e proviamo a ragionare a “freddo” sul tema più generale dell'immigrazione e della convivenza civile.

La prima considerazione riguarda l'assunzione di responsabilità. Di fronte a un atto illecito o criminoso essa appartiene al singolo o, qualora presente, all'organizzazione coinvolta. Una volta accertate le responsabilità ci si attende una pena giusta e che la stessa venga applicata. La seconda considerazione è che, a garanzia di quanto appena detto, ci siano leggi e regole studiate ed elaborate specificatamente per la materia e i problemi sui quali si intende operare. La terza ed ultima considerazione riguarda la politica che ha il compito non solo della gestione e amministrazione della società ma anche quello di indirizzarne lo sviluppo, la crescita, l'arricchimento materiale e culturale.
Tre banali considerazioni che riassumono quello che dovrebbe essere uno Stato di diritto in un contesto di società democratica. Alla luce di tale cornice come si possono interpretare i recenti fatti citati all'inizio?

Innanzitutto una violenza, un furto, uno stupro non sono più o meno deprecabili o odiosi a seconda del soggetto che li compie. Lo sono innanzitutto per le conseguenze che lasciano sulle loro vittime. Ciò vale anche per altri tipi di reato. Prendiamo ad esempio il lavoro nero, uno dei problemi “storici” del nostro paese. E' fuori dubbio che i flussi migratori abbiano fornito una massa di manodopera maggiormente ricattabile e più facilmente disponibile a svolgere mansioni sottopagate e prive di alcuna tutela o sicurezza. Quindi? E' forse più lecito sottostare al lavoro nero per un immigrato spinto dal bisogno, rispetto a un cittadino italiano per simili o meno nobili ragioni? La risposta anche in questo caso va al di là di chi siano i soggetti coinvolti. Il lavoro nero va contrastato e punito perché sottrae risorse alla società e sviluppa una concorrenza sleale nei confronti delle imprese e dei cittadini che pagano le tasse.

Un altro problema è quello della prostituzione. E' evidente, anche in questo caso, che i flussi migratori contribuiscano ad alimentarne il mercato. Può sfuggire forse a qualcuno la particolare rilevanza al suo interno della tratta delle donne nigeriane? E' forse quindi accettabile una deresponsabilizzante tolleranza, giustificando il tutto con la condizione di indigenza ed estremo bisogno di alcune di queste donne? No non lo è.

Fare finta che il problema non ci sia o sottostimarlo, qualsiasi esso sia, non fa altro che alimentare l'intolleranza, le discriminazioni e le tensioni. Combustibili fra i migliori, atti ad alimentare la fucina del razzismo e del più bieco nazionalismo. I problemi non vanno nascosti, né demonizzati. Assumono un carattere significativo nei loro confronti le leggi e le regole che una società si da nell'affrontarli. Nel merito della legislazione specifica legata al fenomeno migratorio è evidente a tutti che quella vigente ha in gran parte fallito. Il reato di clandestinità è li a testimoniare quanto, troppo spesso, queste leggi si basino sulla demagogia e sul loro utilizzo strumentale a fini strettamente partitici di corto respiro. D'altronde a livello europeo il trattato di Dublino conferma come sia lo stesso intero vecchio continente ad avere una legislazione datata e inadeguata. Il fallimento di tale legislazione ci presenta un conto quotidiano con l'inarrestabile strage di innocenti nelle acque del Mediterraneo; i campi profughi o i centri di accoglienza perennemente sull'orlo dell'emergenza; masse di migranti sottoposte a peripezie mortali prima di giungere all'approdo europeo, dove rimarranno sospese nel limbo dell'accoglienza o del respingimento; società in preda a trasformazioni epocali senza progetti di ristrutturazione e innovazione preventivi e di ampio respiro; periferie sociali, culturali, ambientali sempre più segnate dall'abbandono o lasciate alla deriva; un'enorme flusso di denaro, di energie e di intelligenze speso per un'emergenza che si vuole perenne. E questo a fronte di società di fatto già da tempo multiculturali. Società messe a dura prova da una lunga e profonda crisi economica. Impoverimento materiale di milioni di persone, inasprimento delle diseguaglianze che sempre più spesso si risolvono in una “guerra fra poveri” o nel trovare rifugio in tragici estremismi.

Tutto ciò ci porta inevitabilmente ad affrontare il tema principe: il ruolo della politica. Occorre uscire dall'ottica dell'emergenza per impostare politiche che abbiano al centro il dovere di garantire rifugio e protezione a quanti fuggono da una guerra, e l'obiettivo di ideare e costruire progetti atti a garantire la libera circolazione delle genti. Occorre uscire dalla logica schizofrenica che ci vede un giorno oppressi dal dolore e dai sensi di colpa, di fronte alle continue stragi di migranti, e un altro isterici e istintivi nelle risposte da dare agli atti criminosi perpetrati da immigrati. La politica si deve assumere fino in fondo le sue responsabilità, fra le quali una più importante di tutte: la messa in campo di progetti che sappiano interpretare, accompagnandolo e indirizzandolo, il cambiamento epocale in corso che vede al centro del processo di globalizzazione in atto, non più la finanza, né le merci, ma le genti.

Un processo inarrestabile che spetta alla politica governare, consapevole che il suo intervento determinerà gli assetti dell'umanità futura. Lo deve fare con coraggio e lungimiranza, mantenendo saldi i propri principi e valori, pur sapendoli condividere e, quando occorre, mettendoli in discussione. Ma non mancando di farli rispettare se necessita, senza ipocrisie e senza timori. Senza veli, se può servire, come con coraggio e sfrontatezza ha fatto la giovane artista tedesca a Colonia pretendendo rispetto per tutte le donne, anche se nude, da parte di tutti, nessuno escluso. Non c'è in ballo nessuno scontro di civiltà né di religione per chi crede in un mondo in cui nessuna civiltà, religione o cultura possa giustificare la violenza contro le donne o altri esseri umani. C'è chi lo vorrebbe questo scontro, chi lo teorizza e chi lo coltiva. Alcuni lo bramano, altri lo temono. La realtà è un'altra. E' quella che vede esseri umani incivili, bestemmiatori della loro presunta religione e sottoculture primitive che della violenza e della sopraffazione hanno fatto la loro ragione di vita. E' contro essi che dobbiamo lottare.

Umberto De Pace

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  16 gennaio 2016