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Tra la memoria e il ricordo
Umberto De Pace

profughi
Profughi (Istriani stazione di Torino 1947, Ungheresi 1956 stazione di Buchs nel Canton San Gallo, Siriani 2015 stazione di Milano)

Tra la memoria è il ricordo non può mancare la coscienza del presente, perché è in essa che queste facoltà dell'uomo trovano la loro ragione d'essere. Coltivare la memoria e preservare il ricordo è un esercizio fine a se stesso se non permettiamo loro di aiutarci a comprendere l'epoca in cui viviamo, relegandole a sterili testimonianze di un passato lontano. Esse ci parlano al presente, ci servono da monito, ci sono da esempio, suggeriscono interpretazioni e forniscono possibili soluzioni.

L'Europa risorta e ricostruita dopo la seconda guerra mondiale – la stessa terra che solo settant'anni fa conobbe la tragedia di milioni e milioni di profughi, di persone sradicate dai propri paesi nelle deportazioni operate dalla Germania nazista e dalla Russia staliniana, degli uomini e delle donne in fuga dall'inferno della Shoah, della marea di ex prigionieri – è offesa dalle barriere di filo spinato e dai muri che si stanno sollevando in più parti dei suoi confini, è umiliata dall'incapacità dei suoi governanti di far fronte alle tragedie del nostro tempo e al cambiamento epocale in corso.

Il filo spinato che il governo di Lubiana ha deciso di stendere al confine tra Slovenia e Croazia, ha riportato in Istria gli incubi e i dolori di quegli anni passati, quando 250.000 italiani abbandonarono l'Istria, Fiume e la Dalmazia. La comunità italiana ha deposto fiori sulle lame taglienti di quel filo d'acciaio protestando e definendo inaccettabile quella scelta “dopo le drammatiche vicende del Ventesimo secolo”. Il muro costruito dall'Ungheria ai confini con la Serbia andrebbe tappezzato di manifesti con le foto delle centinaia di migliaia di ungheresi che nel 1946-47 furono espulsi e deportati dalla Cecoslovacchia e rimpatriati tra una moltitudine di atrocità e vendette. Oppure quelle dei 200.000 ungheresi che scelsero la via dell'esodo verso l'Europa a seguito dell'invasione sovietica nel 1956. O forse è bene ricordare i sei milioni di civili espulsi dalla Polonia nel secondo dopoguerra, di nazionalità tedesca o parte della popolazione germanofona autoctona.

Se questa Europa avesse memoria e ricordo di tutto ciò non accennerebbe nemmeno ad una possibile confisca dei beni ai danni dei profughi, né assisterebbe da anni alla strage di innocenti nel mar Mediterraneo, né perderebbe tempo nel discutere e litigare su irrisorie cifre di profughi da accogliere. Perché il suo compito, memore del suo passato, lo avrebbe già svolto ponendo in essere politiche comuni in grado di accogliere quanti fuggono dalle guerre e dalle violenze, affiancate da politiche destinate a gestire, controllare e governare i flussi migratori di altra natura. O almeno ci avrebbe provato. Nulla di tutto ciò è stato fatto.

L'Europa divisa, quella delle piccole patrie, del ritorno dei nazionalismi; l'Europa scossa e impaurita di fronte al terrorismo, incapace di creare un'agenzia di intelligence comune; l'Europa delle bombe sganciate per ritorsione o vendute al miglior offerente; l'Europa imbelle prona nel coprire le nudità di una vergine di marmo, quanto solerte nello stringere affari con chi per una verginità perduta è pronto a lapidare; l'Europa che accetta di sedersi a un tavolo di negoziato sulla crisi siriana senza avere al suo fianco i Curdi, gli unici che hanno saputo sconfiggere il presunto Stato Islamico sul campo di battaglia. Questa Europa ha relegato la sua memoria e il suo ricordo nei cassetti polverosi del passato dimostrando di non esserci, di non essere all'altezza dei doveri a cui è chiamata a rispondere. Ma non c'è altra strada, non c'è altro futuro per il nostro vecchio continente se non quello di ripartire da quegli ideali e da quei principi che i padri fondatori dell'Europa seppero indicare in uno dei momenti più bui della storia contemporanea. Bene ha fatto il presidente del Consiglio Matteo Renzi a ricordarlo nella sua recente visita a Ventotene. Tra la memoria e il ricordo c'è il presente. E' improrogabile il momento di costruire un'Europa libera, unita e solidale. Oggi va fatto, domani potrebbe essere troppo tardi.

Umberto De Pace

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  1 febbraio 2016