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L'Europa di domani
Umberto De Pace

BREXIT
la cartina è simbolica:
sono comprese Svizzera e Norvegia che non fanno parte della UE ed alcuni stati dell'Est che hanno chiesto di esserne ammessi.

Un aspetto positivo, nel voto britannico al referendum sull'Unione Europea, potrebbe essere quello dell'alta percentuale di giovani favorevoli al Remain. Oltre il 70% tra i giovani dai 18 ai 24 anni; oltre il 60% tra quelli dai 25 ai 34 anni; oltre il 50% fino ai 44 anni. Al di sopra di questa fascia di età si invertono i fronti, per giungere, otre i 65 anni, al 60% dei favorevoli ad abbandonare l'Europa. Di tutt'altro genere, ma ancor più significativo, è il dato che evidenzia la maggioranza del Leave nelle aree dove il ceto sociale è prevalentemente basso. Occorre infine non dimenticare, l'utilizzo di vere e proprie falsità utilizzate in modo sfacciato a sostegno di quest'ultima scelta. Da una parte quindi la fiducia e l'apertura, dall'altra la disillusione e la chiusura? Giovani vs vecchi?

In realtà non è così semplice la lettura del voto, così come con un SI e un NO non si riesce ad esprimere, né a rappresentare, la complessità di un giudizio e di una questione: “ … l'esperienza del referendum inglese dimostra che la scorciatoia della scelta tra un si e un no si presta ad ogni sorta di stravolgimento demagogico ed emotivo” - persino l'ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, se ne rende conto (peccato che se ne sia dimenticato nei confronti della nostra Costituzione). Un po' come la malaugurata scelta del primo ministro Cameron, promotore del referendum nel 2013, e oggi dimissionario di fronte all'esito a lui avverso. Memoria corta quella di non pochi politici europei, fautori di iniziative azzardate e pericolose, tese più che altro a tamponare o cercare scorciatoie a una crisi epocale. E' illusorio, e fuorviante, tentare di risolverla con un referendum. Pensare di tornare a ricreare e rafforzare i propri confini nazionali - come tenta di fare la destra europea, nonché gli innumerevoli populismi dilaganti - rappresenta un tentativo anacronistico quanto pericoloso.

Continuare ad ignorare il malessere e il disagio, provocato dalla mancanza di politiche che sappiano porre al centro i propri cittadini, è l'altra faccia della medaglia che spinge milioni di persone a individuare nella Comunità Europea un ostacolo ai propri bisogni e non una risorsa. Non tutte le colpe si possono addossare ad un unico soggetto, in questo caso l'Europa, nei confronti della quale si è sempre pronti a scagliare la prima pietra, mentre a fatica se ne riconoscono i pregi e le opportunità. E' ovvio. Ma indubbiamente grandi permangono le responsabilità delle sue istituzioni e della sua guida politica.

L'Europa, quella di domani, ha bisogno di politiche impostate a uno sviluppo sostenibile che sappiano coniugare crescita e rispetto dell'ambiente, ma sopra tutto che sappiano invertire la tendenza, oramai insopportabile, della sempre più marcata diseguaglianza economica e sociale fra i suoi cittadini. L'Europa deve smetterla di accanirsi contro le conquiste sociali e sindacali; la strada, da molti intrapresa, che mira alla disgregazione dei corpi intermedi e a una presunta democrazia diretta è altamente pericolosa. Occorre che venga abbandonato il dogma del capitalismo finanziario e di un libero mercato, dove la libertà sta nell'accaparrarsi i profitti, scaricando i “rifiuti tossici”, accumulati lungo il percorso d'arricchimento, sulla comunità. Necessitano regole, controlli e garanzie, lasciandosi alle spalle il devastante modello neoliberista, dando nuova dignità e possibilità di sviluppo al lavoro e all'impresa.

L'Europa deve uscire dalle politiche emergenziali sull'immigrazione, governando il fenomeno e dando un nuovo assetto alla libertà di movimento delle genti. Togliendo di mano, in questo modo, alle destre xenofobe e nazionaliste, un potente strumento di manipolazione dell'opinione pubblica. Ciò che occorre è più Europa. In tal senso va accelerata la sua unione, sui fronti fiscale, delle politiche del lavoro, di quelle sulla sicurezza. Per fare ciò occorre maggiore democrazia, maggiore rappresentanza dei propri cittadini, riportando al proprio ruolo tecnico le attuali istanze burocratiche, istituzionali nonché economiche. Occorre che la politica svolga il suo compito, che è quello di ideare e programmare progetti lungimiranti e di ampio respiro.

Non si può più attendere. Le recenti elezioni in Austria, il referendum in Gran Bretagna, le politiche xenofobe diffuse nei paesi dell'Est Europa, e quelle che avanzano in Francia, Belgio e non ultima l'Italia, impongono al vecchio continente cambiamenti forti e incisivi. Occorre coraggio e determinazione, traducendo quei principi di solidarietà, eguaglianza e libertà - che rappresentano l'unicum europeo - in lavoro, case, istruzione, sanità, trasporti e, se non proprio in felicità, quanto meno in serenità e fiducia nel futuro. Per i propri cittadini, vecchi o nuovi che siano.

Umberto De Pace

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  28 giugno 2016