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Il mio NO al referendum sulla riforma della Costituzione
Umberto De Pace

Sentimento e Ragione
Sentimento e Ragione

Caro Lorenzo,

è da non poco tempo che attendi una mia risposta alla tua domanda su quale sia il mio pensiero in merito al referendum sulla riforma della Costituzione. E' giunto il momento, nell'imminenza della scadenza della votazione, di spiegarti quali siano le motivazioni che mi hanno portato a maturare un consapevole, quanto fermo, NO al quesito referendario. Scelgo la forma della lettera a un amico perché penso che ciò mi permetta di essere il più trasparente e sincero possibile.

La questione, come ben sai, ha preso per alcuni (non pochi e fra essi, purtroppo, alte cariche politiche e istituzionali) una deriva penosa e di misero profilo e, ancor peggio, è fonte di lacerazioni e divisioni che francamente trovo ancora più dolorose e controproducenti dell'oggetto del contendere. Ma su questo ho già avuto modo di scrivere ( “Noi e il referendum sulla Costituzione” ) e quindi non mi dilungo. Come ben sai se avessi seguito il “sentimento” avrei da subito, senza riserve, preso una ferma posizione contro la riforma Renzi-Boschi-Napolitano. L'arroganza e supponenza del primo, accompagnata dall'inconsistenza della seconda, supportati entrambi dall'obsolescenza dell'ultimo (in senso politico ci tengo a precisare) sarebbero motivi più che sufficienti a motivare un sonoro NO. Così come se avessi voluto seguire da subito, con poca fatica, le ragioni e indicazioni di voto di persone delle quali ho da sempre massima stima, anche in questo caso la scelta sarebbe stata obbligata: NO. Mi riferisco a persone come Rodotà e Zagrebelsky, tanto per citarne alcuni.

Non che manchino sul fronte opposto persone che stimo, Cacciari ad esempio, ma guarda caso sono quelli maggiormente critici verso una riforma che riconoscono essere brutta e scritta male ma “meglio che niente” … a loro dire. Detto ciò, ne abbiamo già più volte discusso, non è possibile su un tema così importante prendere una decisione istintiva o per simpatia. La democrazia ci garantisce molti diritti ma richiede anche alcuni doveri fra i quali, spesso dimenticato, quello di ragionare con la propria testa, non prima di essersi adeguatamente informati e documentati. E' anche per questo che rifuggo le iniziative propagandistiche e di parte, concentrandomi, per quanto posso sulla sostanza e sui contenuti della riforma. E' uno sforzo non indifferente, messo a dura prova quotidianamente da un premier che nella sua visione e gestione del governo (forse sarebbe più corretto usare il termine “potere” per uno che mira a diventare il “capo” di una forza politica) fa di tutto per rendere il confronto uno scontro, portando solo divisione su una materia che è, e deve rimanere, la base fondamentale di condivisione della nostra comunità.

Ho cercato comunque di farlo e dopo aver letto diversi commenti sui vari fronti, nonché due interessanti libri specifici sulla materia (*), dopo aver ascoltato non pochi confronti e dibattiti, direttamente qui a Monza, in TV o su internet, ho maturato la mia decisione. Seguiamo il “truffaldino” quesito referendario, che già di per sé la dice lunga sui suoi proponenti. Superamento del bicameralismo perfetto: ritengo inaccettabile che una camera del parlamento, il Senato, non venga eletta direttamente dai cittadini e diventi un “dopolavoro” per consiglieri regionali e sindaci, i quali, se dovessero svolgere pienamente e correttamente il loro lavoro nelle sedi deputate, già oggi dovrebbero faticare a trovare il tempo per farlo. Inoltre è quanto meno azzardato, se non improbabile, sostenere che la riforma semplificherebbe l'iter parlamentare. Basti pensare all'art.70 del nuovo testo degno di un Azzecca-garbugli di manzoniana memoria. Riduzione del numero di parlamentari: perché no? Risposta ponderata e non banale a un quesito che vuol dire tutto e niente al contempo. Tutto perché frutto di quella deriva populista che rincorre l'antipolitica pensando, sbagliando, di poterla poi cavalcare. Niente perché se quella riduzione di parlamentari non fa parte di un assetto istituzionale che rafforzi e consolidi la democrazia, non riveste alcun significato. Contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni: vale quanto sopra. Aggiungo solo che il balletto di cifre propagandato dal governo e ridimensionato dagli organi di controllo è stata una cosa misera. Soppressione del Cnel: penso che non valga la pena spendere né una parola né tanto meno un referendum per un tema del genere, sarebbe un insulto al buon senso prima ancora che all'intelligenza di ognuno. Revisione del titolo V della parte II della Costituzione: premesso che come tutti sanno il titolo V ha già subito una riforma fatta di corsa e approvata per una manciata di voti nel 2001, mi risulta difficile credere, alla luce delle varie critiche alla presente riforma, che con essa si giunga a migliorare la situazione.

E qui avremmo finito se ci dovessimo basare sul quesito, ma sappiamo entrambi che non è cosi. Rimangono i temi, quanto meno discussi e/o discutibili, dell'accentramento dei poteri in mano al governo e alla sua maggioranza, il ruolo e la tutela delle opposizioni, la formazione della Corte Costituzionale, gli strumenti di democrazia diretta, l'elezione del Presidente della Repubblica. Tutti temi importanti e nemmeno citati dal quesito referendario … “truffaldino” appunto. Se permetti però, almeno per quanto mi riguarda, su questi temi mi rifaccio alle analisi, critiche e proposte di chi è più esperto di me in materia e di cui ho fiducia quindi, anche in questo caso, il mio voto sarà un NO. Vorrei spendere solo due parole sull'elezione del Presidente della Repubblica, tema poco trattato ma a mio avviso ben più importante di altri. La riforma prevede un sostanziale cambiamento conseguente all'alterazione dell'assetto numerico dovuto alla modifica del Senato e al collegamento implicito con la nuova legge elettorale Italicum. Il nuovo art. 83 prevede, dal settimo scrutinio, la maggioranza dei tre quinti dei votanti, a fronte del vecchio articolo che dal terzo scrutinio richiede la maggioranza assoluta dell'assemblea. A meno che non si voglia introdurre l'uso del condizionale nell'ambito della Costituzione, come indirettamente suggeriscono i sostenitori del SI nell'affrontare tale tema, rimane il fatto che con la riforma non si può escludere che la maggioranza possa eleggersi il presidente della Repubblica da sola. Cosa che, converrai con me , è inaccettabile. Su tutto, già citata, l'ombra funesta di una legge elettorale, il cosiddetto Italicum, la quale non ho dubbi che vada cancellata più che emendata.

Vorrei però concludere con quello che in realtà è il tema che mi sta più a cuore e che conferma il mio giudizio, ancor prima che nel merito dei singoli aspetti di questa riforma, nella sua stessa ragione di esistere. Una riforma della Costituzione non può nascere quale elemento di divisione, e se non è in grado di essere elemento di condivisione vuol dire che non ha dignità di esistere. L'incapacità della politica ad essere elemento di unione, non può tradursi in forzature da parte di minoranze del paese, rappresentate da maggioranze politiche surrogate. Tutto ciò non rappresenta altro che una sconfitta per tutti e una vittoria di Pirro per alcuni. Se c'è un tema importantissimo e non più eludibile oggi è quello del rafforzamento della democrazia, messa in discussione in molte parti del mondo democratico dall'avanzamento dei populismi, della xenofobia, della paura e del terrorismo. La Brexit, l'elezione di Trump negli Stati Uniti, l'avanzare dei populismi e delle destre xenofobe in Europa non sono, come troppi pensano, frutti marci della democrazia. Al contrario, sono il frutto di una democrazia sempre più arida e impoverita, la quale ha permesso che il potere passasse dalle mani dei legittimi rappresentanti del popolo a quelle illegittime del potere finanziario ed economico.
Come ho già avuto modo di scrivere, continuare ad ignorare il malessere e il disagio, provocato dalla mancanza di politiche che sappiano porre al centro i propri cittadini, perseguire scorciatoie referendarie su temi così importanti (non a caso il referendum nella nostra Costituzione nasce come strumento “oppositivo” e non “confermativo”) rischia di agevolare, al di là dei propri propositi, derive autoritarie o quanto meno post-democratiche.

Caro Lorenzo, avrai capito del perché del mio ritardo nella risposta. Vedere come questa penosa vicenda sia stata condotta in modo superficiale e, lasciamelo dire, irresponsabile; vedere come sia stata, è e sarà motivo di divisione; ascoltare insulti e accuse infamanti tra chi ha condiviso o dovrebbe condividere lo stesso pane; sentire e vivere questa lacerazione fra amici, famigliari e conoscenti, dove la differenza non è data dal bene e dal male, dal giusto o dall'ingiusto, ma dal condiviso e il non condiviso, da proposte e argomentazioni differenti che di certo non è con un quesito referendario che si possano dirimere. Ma oggi tutti noi, nostro malgrado, siamo chiamati a rispondere a quel quesito, una terza possibilità non ci è data, quindi il mio voto sarà: NO.
Un abbraccio e a presto
Umberto

Umberto De Pace

(*) Gustavo Zagrebelsky con Francesco Pallante, Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali, Editori Laterza, giugno 2016
Guido Crainz, Carlo Fusaro, Aggiornare la Costituzione. Storia e ragioni di una riforma, Donzelli Editore, giugno 2016

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  15 novembre 2016