La Knesset, il Parlamento israeliano, ha approvato il 6 febbraio, con 60 voti favorevoli e 52 contrari, una legge sugli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria, legalizzando retroattivamente l'occupazione da parte di circa 4mila coloni di terre di proprietà dei palestinesi. Dove Giudea e Samaria sono gli antichissimi nomi ebraici di quella che adesso è la Cisgiordania.

Stiamo parlando di insediamenti e cioè di quegli avamposti o villaggi, espansioni spontanee di alcune colonie, fin qui considerati illegali dallo stesso governo israeliano, anche se questo non ha quasi mai fatto nulla per smantellarli.
Le colonie sono un'altra cosa.
Le colonie, che ormai hanno invaso gran parte della zona C della Cisgiordania, quella che, secondo gli accordi di Oslo del 1993, appartiene di diritto alla Cisgiordania ma è amministrata da Israele, sono illegali per l'ONU, che ha costantemente condannato la loro costruzione, ma sono perfettamente legali per il governo di Israele e protette dal suo esercito.
I coloni sono oggi circa 600.000.

Una approvazione preliminare di questa legge era stata contestata dall'ex segretario di Stato americano John Kerry ed aveva poi provocato una risoluzione di condanna da parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU dove, per la prima volta, gli Stati Uniti non avevano esercitato il diritto di veto e si erano astenuti.
La risoluzione invitava Israele a non consentire ulteriori insediamenti che rendevano sempre più difficile una soluzione del problema.

Ma Israele, galvanizzato dall'elezione di Trump, che ha dichiarato che non intende imporre una soluzione e che gli insediamenti in Cisgiordania non sono un ostacolo per la pace (!), ha deciso di forzare ulteriormente i tempi della totale acquisizione della zona C, così separando le une dalle altre le parti che rimangono sotto il parziale o totale controllo dell'Autorità palestinese, come isolotti in un mare interamente israeliano (vedi l'articolo).

Franco Isman


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  9 febbraio 2017