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Il Giorno del ricordo
Franco Isman

VERGAROLLA
Pola. Il cippo bilingue in ricordo della strage di Vergarolla e sullo sfondo la basilica con la scritta in italiano

Le foibe e l'esodo sono il tragico finale di una storia cominciata molto tempo prima.
Soltanto un cenno alle malefatte dello squadrismo fascista come l'incendio nel 1922 del Narodni Dom con l'assassinio del custode e della figlia; all'esodo di 150.000 sloveni e croati sostituiti con italiani provenienti in gran parte dal Sud; all'italianizzazione forzata del ventennio, con l'eliminazione di tutti i centri culturali sloveni e croati, la chiusura di tutte le scuole, addirittura il divieto di parlare slavo nelle scuole e nei locali pubblici, l'eliminazione di tutti i toponimi slavi, l'italianizzazione talvolta forzata dei cognomi, un “genocidio culturale” come fu definito da Boris Pahor.

Il 10 giugno 1940, dal balcone di piazza Venezia, Mussolini annunciava: “la dichiarazione di guerra è stata già consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia…”, in un tripudio enorme di Camicie nere. L'Italia era fascista? Nella maggior parte sì. E gli italiani di Trieste, dell'Istria e della Dalmazia, da sempre opposti al nazionalismo slavo, lo erano ancor di più.

Il 6 aprile 1941 La Germania nazista e l'Italia di Mussolini attaccarono proditoriamente ed invasero la Iugoslavia, senza neppure una dichiarazione formale di guerra.
L'11 aprile le truppe italiane entrarono in Lubiana e la Slovenia fu dichiarata provincia dell'italico regno.

Mussolini a Pola nel 1922 aveva affermato: “Di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone”... “Io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”.
Il 13 luglio 1942 dichiarava “Sono convinto che al terrore dei partigiani si deve rispondere col ferro e col fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre... è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto” e i suoi generali si adeguarono.

“Individuo malato=individuo che sta tranquillo...” scriveva il generale Gastone Gambara, mentre il suo superiore, il generale Mario Robotti, protestava con i subordinati che “si uccide troppo poco” ed il comandante in capo, il generale di corpo d'armata Mario Roatta scriveva “Il trattamento da fare ai partigiani non deve essere sintetizzato dalla formula: “dente per dente” ma bensì da quella “testa per dente”.
Cosė durante l'occupazione gli italiani, esercito e milizia fascista, per combattere la resistenza partigiana, commisero ogni sorta di atrocitā nei confronti della popolazione civile, specie delle campagne, con molte centinaia di villaggi rasi al suolo, migliaia di uomini fucilati e donne e bambini deportati; nel solo campo dell'isola di Arbe, alloggiati per tutto l'inverno 1941-42 sotto le tende, duemila prigionieri morirono di malattia e di stenti.
Crimini di guerra rimasti impuniti perché l'Italia si rifiutò di concedere le estradizioni richieste.
La prima foto che pubblichiamo, che documenta una di queste stragi, č tratta dal Museo militare di Belgrado e viene spesso spacciata come morti italiani recuperati dalle foibe, dei quali esistono pochissime fotografie.

Museo militare di Belgrado: "crimini degli italiani in Slovenia"
Il campo-tendopoli di Arbe (cliccare per un'altra foto di Arbe)

Poi venne l'otto settembre, con il disfacimento dell'esercito italiano, e in Istria scoppiarono le vendette e le sopraffazioni nei confronti degli apparati dello Stato ma anche dei proprietari terrieri e degli italiani in genere, e furono le terribili foibe in cui "sparirono" 500 italiani.
Qui si colloca il tragico episodio di Norma Cossetto, assurta a simbolo delle violenze dei partigiani slavi. Norma, studentessa universitaria a Padova, era figlia di Giuseppe Cossetto, segretario del fascio e podestā di Visinada, un paese dell'entroterra istriano, oltre che ricco proprietario terriero. Fu catturata dai partigiani, violentata e poi gettata, probabilmente ancora viva, in una foiba vicina.
Nel 1949, su proposta di Concetto Marchesi, già rettore dell'Università di Padova e deputato comunista, le fu conferita la laurea ad honorem e nel 2005 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la medaglia d'oro al valore civile.

Subito dopo l'Istria fu dichiarata parte dello “Adriatisches Küstenland” direttamente sotto il controllo tedesco. Per gli italiani terminò l'incubo: “per fortuna xe arivai quei bravi putei de la Decima”, ha detto ad una commemorazione un'anziana profuga…

Il primo maggio 1945, attraversata l'Istria, i partigiani di Tito del IX Corpus arrivarono a Trieste e vi restarono 40 giorni. “Liberarono” Trieste per la minoranza slovena in città, ma anche per i comunisti italiani. “Occuparono” Trieste per la gran maggioranza dei triestini che passarono dalla pesante occupazione tedesca alle razzie ed al terrore titino, con gli arresti e la “sparizione” non soltanto degli aguzzini fascisti ma anche degli appartenenti ai corpi armati dello Stato e addirittura dei membri del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). Ed anche di comuni cittadini, come un cugino della mamma di chi scrive, apolitico cassiere della Comit.
Sparirono letteralmente: moltissimi, forse 5.000, furono quelli che subirono l'atroce morte nelle foibe, altri furono deportati e di loro non si seppe mai più nulla.
“Trst je nas”, Trieste è nostra, urlavano e scrivevano sui muri i titini, e mentre le foibe istriane furono una specie di jacquerie, qui si vollero eliminare tutti quelli che avrebbero potuto opporsi all'annessione di Trieste, e di tutta la Venezia Giulia, alla Iugoslavia di Tito. Ma così fortunatamente non fu, ed abbiamo conservato le dolci vocali di Trieste.

Nel frattempo gli italiani dell'Istria e della Dalmazia si trovarono a dipendere da un'amministrazione straniera e nemica che, senza arrivare ad una pulizia etnica, voleva sbarazzarsi di una popolazione ostile sia per ragioni etniche che politiche.
Domenica 18 agosto 1946 a Vergarolla, la spiaggia di Pola, affollatissima anche per alcune manifestazioni sportive in programma, furono fatte saltare parecchie mine navali, abbandonate sul bordo della spiaggia ma certamente disinnescate e quindi non in grado di esplodere da sole. 85 morti accertati, fra cui molti bambini, ma in realtà molti di più perché parecchi corpi furono letteralmente polverizzati. Terribile il racconto di alcuni sopravissuti, dei gabbiani impazziti che mangiavano i brandelli dei poveri corpi sparsi per terra e sugli alberi.
Quasi certa l'attribuzione della strage all'OZNA, la polizia segreta del maresciallo Tito, come si evince da documenti inglesi recentemente desecretati.
E gran parte degli italiani partirono, forse 300mila.

PROFUGHI PROFUGHI

Dover abbandonare la casa dove si è nati, dove spesso erano nati i propri antenati, dover abbandonare i propri morti, è un dolore immenso e purtroppo č una tragica conseguenza di quasi tutte le guerre, basti citare gli otto milioni di profughi tedeschi dei territori aldilā della linea dei fiumi Oder e Neisse, oggi Polonia, dieci milioni contando anche quelli di altri Paesi dell'Est, ma anche i 500 mila profughi palestinesi dopo la guerra del 1948, ancor oggi senza una Patria.

I profughi istriani e dalmati che, abbiamo già detto, e non è una vergogna, erano in massima parte di sentimenti fascisti, furono male accolti in una Italia che si era appena liberata dal giogo nazi-fascista con una cruenta guerra di liberazione. In questo clima si ebbe, ad esempio, il brutto episodio della stazione di Bologna dove i sindacalisti della CGIL impedirono che i profughi su un convoglio venissero rifocillati.
Lo Stato da parte sua aveva l'interesse a non guastare i rapporti con il maresciallo Tito, in rotta di collisione con Mosca, e nello stesso tempo a nascondere i crimini di guerra di cui si erano macchiati i generali italiani, e non soltanto loro: meno si parlava dei confini orientali e meglio era.

Il 30 marzo 2004 è stata approvata la legge n.92 che istituisce il “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
E' certamente giusto, anzi doveroso, ricordare le vittime delle foibe e quelle di Vergarolla. Come ricordiamo e commemoriamo le Fosse Ardeatine, S.Anna di Stazzema, Marzabotto, Cefalonia. 
Ma l'istituzione di un “Giorno del ricordo”, analogo e temporalmente vicino al 27 gennaio “Giorno della memoria”, mostra l'intenzione di voler porre sullo stesso piano due avvenimenti, tragici entrambi, ma certamente non comparabili: lo sterminio programmato e voluto nella nazione più avanzata d'Europa di sei milioni di ebrei (oltre ad altrettanti fra Rom, Sinti, omosessuali, minorati, oppositori politici e prigionieri) ed il calvario dei 300.000 profughi istriani e dalmati.

A settantacinque anni da questi tragici avvenimenti sarebbe necessario arrivare ad una memoria condivisa, in primo luogo fra tutti gli italiani, ma anche con sloveni e croati. Proprio per questo era stata costituita fin dall'ottobre 1993 dai ministeri degli Esteri di Italia e Slovenia la commissione italo-slovena di storici per l'esame dei rapporti tra le due nazioni dal 1880 agli accordi del 1962. La commissione concluse i suoi lavori all'unanimità nel luglio 2000 ma ad essi venne data molto poca pubblicità.
La celebrazione del Ricordo è rimasta appannaggio di associazioni di destra o addirittura fasciste che parlano dell'Istria romana, ma sono state romane anche la Gallia e l'Inghilterra, e della Repubblica di Venezia, per poi passare direttamente agli orrori delle foibe, ignorando del tutto i vent'anni di oppressione fascista delle popolazioni slovene e croate, l'aggressione alla Iugoslavia e le atrocità commesse.
Di ieri (il 9 febbraio 2019) la trasmissione, in prima serata su RAI 1, dell'orribile fiction "Rosso Istria", regolarmente ritrasmessa ogni anno, che ha il solo scopo di fomentare l'odio.
Sull'altro versante si dà voce ai cosiddetti storici revisionisti che raccontano ampiamente i misfatti fascisti ma minimizzano quelli commessi da sloveni e croati e si allestiscono mostre con la stessa impostazione.

Si deve cambiare.
Ricordiamo dunque, e diamo tutta la nostra solidarietà ed il nostro affetto a chi ha subito questo grave torto, ma non dimentichiamo che la causa prima è stata la guerra, scatenata e barbaramente condotta dal fascismo di Mussolini.
La Storia non si fa con i “se” e con i “ma”, purtuttavia sembra evidente che, se l'Italia non avesse aggredito ed invaso la Iugoslavia, Istria e Dalmazia sarebbero ancora italiane.

Franco Isman


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  10 febbraio 2019 - agg. 10 febbraio 2023

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