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«Ve l'avevo detto»
Giuseppe Pizzi


In una recente occasione (la nozione di prossimità temporale è una variabile dell'età, se da ragazzo ritenevo recente un fatto accaduto al più un paio di mesi addietro da vecchio lo è ancora dopo qualche anno) il mio ottimo amico Alberto Colombo mi ha impartito una lezione di buone maniere ricordandomi che non sta bene dire «Ve l'avevo detto». È un precetto che, faticosamente lo ammetto, riesco a osservare a meno che si tratti di politica e soprattutto che si parli di un politico "cinico e baro". 
Non ho tenuto il conto ma sui fatti e misfatti (questi in prevalenza) di Matteo Renzi penso di aver mandato ad arengario.net almeno una dozzina di interventi critici, una insistenza dettata dall'evidenza. E adesso che il tradimento è consumato come si fa a tacere che «Ve l'avevo detto» già da quel dì?

Il fatto è che “PD sta a Renzi come UE a Inghilterra”. Sia in Brexit che in Rexit c'è il senso dell'allontanamento da una compagnia che non ha mai veramente scaldato il cuore e del ritorno a casa, via dalla babele degli estranei per un luogo dove tutti parlano la stessa lingua e, soprattutto, possono ignorare quella degli altri: gli inglesi alla loro beneamata isola, i renziani alla Leopolda di Firenze.
L'adunata della Leopolda, alla quale Renzi non ha rinunciato neanche da segretario politico PD, mi è sempre sembrata una scandalosa anomalia, a chi ne dubitasse propongo un paio di brani da un mio «Ve l'avevo detto» di quattro anni fa.

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Che altro è la Leopolda se non un paradossale smarcamento dal PD a opera del suo stesso segretario politico? Da questa bella stazione ferroviaria che Firenze ha convertito in Casa della Città (in grande quel che a Monza è il Binario 7) è partita la marcia di Renzi verso la direzione del partito e del governo. Comprensibile che per lui sia un “luogo del cuore ma, da quando è alla testa del PD, il luogo in cui celebrare i suoi successi e progettare il futuro del partito dovrebbe essere il Congresso, con le insegne del PD esposte in tribuna e le bandiere del PD sventolate in platea, non gli anonimi, quasi clandestini Stati Generali del renzismo.
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Viene da chiedersi perché un politico spregiudicato ma non sprovveduto come Renzi si lasci scippare” le insegne del partito di cui è titolare. Una ragione c'è, stravagante fino al limite dell'assurdo ma c'è: il PD si è messo in mano a uno che col PD dei fondatori ha poco o nulla da spartire, uno che, travestendola da svecchiamento/rottamazione persegue la mutazione genetica del PD nel suo contrario. Lo so che è una contraddizione terminologica, come dire che il Papa non è cattolico, ma affermare che “l'attuale capo del PD non è del PD” è l'unica opzione politicamente praticabile per non dover concludere che il PD è nato da un equivoco e da un abbaglio.
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Proprio così, il Papa del PD era tutt'altro che cattolico. Nel PD Renzi rappresentava un'eresia di tale gravità da rendere lo scisma, oltre che inevitabile, auspicabile. Era solo questione di attendere il momento più opportuno per proclamarlo 
Il momento arriva quando Salvini, reduce dai bagordi del Papeete, si illude che basti provocare la crisi di governo per sciogliere le camere, mandare tutti a casa e andare alle elezioni. Come prospettare il Natale a capponi e capitoni, non c'è membro di parlamento al mondo che da quell'orecchio ci senta bene e il senatore PD Renzi, cui le ipotetiche urne lascerebbero ben poco del suo attuale seguito parlamentare, non fa eccezione anzi, svegliandosi dal suo (apparente) letargo, rende noto di che pasta sia fatto a chi ancora non lo immaginasse.

Dopo aver tanto strillato e strepitato «Mai coi cinquestelle», accampando motivazioni pretestuose ancorché credibili (manovra, spread, occhi UE puntati sull'Italia), si fa promotore di una proposta sconcertante: rimpiazzare la Lega con il PD e dar vita a un governo M5S-PD. 
Il PD commette il fatale errore di abboccare e voilà, la crisi non c'è più. Applausi al misconosciuto statista.
Ma diamo tempo al tempo, lo statista non farà scoppiare la bomba del tradimento prima di nominare ministri e sottosegretari – una manciata dei quali renziani di ferro – e intestarsi il neonato governo come creatura sua. Gli lascia giusto il tempo di prendere possesso dei rispettivi uffici e Renzi se ne va dal PD portandosi appresso una quarantina di pecore parlamentarie.
Nasce Italia Viva, spudoratamente battezzata con siffatta giustificazione: «Non potevo più stare insieme ai miei carnefici». Senti senti, l'inventore della rottamazione che parla da rottamato! Tutto sommato, meglio il triumvirato della diarchia senonché un paio di triumviri non vogliono saperne di soggiacere alla regola del due contro uno.

Renzi è il triumviro che più si distingue nel perseguire i suoi obiettivi politici e personali: politici, ereditare l'elettorato di Berlusconi che – sarà l'età sarà la monogamia – ha perso un po' di smalto (significativo anche il nome del partito, Forza Italia ? Viva l'Italia ? Italia Viva); personali, ripresentare il film di successo già visto con Letta ossia denigrare e ostacolare l'azione del governo per dimostrare l'inadeguatezza del suo presidente Conte e accreditarsi come possibile alternativa.
Berlusconi e Conte, ossi duri capaci di azzoppare fior di rivali (Fini Alfano Verdini Casini il primo, Salvini il secondo) ma il grave difetto di Renzi è di credersi il meglio fico del bigoncio e, Alberto mi scuserà, anche questo «Ve l'avevo detto».

Giuseppe Pizzi


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  18 novembre 2019