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Coscienza
L'umanità al tempo del coronavirus
Umberto De Pace

Jean Delumeau (1923-2020) – storico e saggista francese – nella sua opera “La paura in Occidente. Storia della paura nell'età moderna” (Il saggiatore, Milano 1978-2018), nella “tipologia dei comportamenti collettivi in tempo di peste” tra il XIV e il XVIII secolo, evidenzia questa costante: “Quando compare il pericolo del contagio, si cerca dapprima di ignorarlo”. Nel secolo successivo lo scrittore tedesco Heinrich Heine (1797-1856) osserva che nel 1832 a Parigi, dopo l'annuncio ufficiale dell'epidemia di colera, “con sole e bel tempo i parigini passeggiavano con maggiore allegria nei viali” (da Le Monde diplomatique il manifesto aprile 2020, “Fino alla prossima fine del mondo” di R. Lambert e P. Rimbert).
Nel XX secolo le cose non cambiano se vogliamo dare credito alla sensibilità di saper esprimere le più recondite pieghe dell'animo umano di alcuni grandi scrittori.

Albert Camus
Albert Camus

Fra loro sicuramente Albert Camus (1913-1960) merita attenzione. Nel suo oramai famoso romanzo “La peste”, scritto all'indomani della tragedia della seconda guerra mondiale, Camus traccia i labili confini della forza e della fragilità dell'essere umano di fronte al male e all'orrore. La peste quale metafora del nazifascismo e più in generale quale rappresentazione simbolica del Male. Ebbene Albert Camus lo scrive all'inizio del suo libro: “Benché un flagello sia un accadimento frequente, tutti stentiamo a credere ai flagelli quando ci piombano addosso. Nel mondo ci sono state tante epidemie di peste quante guerre. Eppure la peste e la guerra colgono sempre tutti alla sprovvista.”


Nel romanzo “I promessi sposi”, nel capitolo XXXI dedicato alla peste in Milano (1629-1630), Alessandro Manzoni (1785-1873) ricostruisce la traccia, storica in questo caso, delle vicissitudini dell'epoca che sembrano rispecchiare, fin nei particolari, quelle dei nostri giorni. La superficialità degli esordi del contagio pur denunciata prontamente dal protofisico Lodovico Settala, memore della precedente pestilenza, che vede gli emissari del Tribunale della sanità persuasi “… o per ignoranza o per altro … da un vecchio et ignorante barbiero di Bellano, che quella sorte di mali non era la Peste;” ma, in alcuni luoghi, effetto consueto dell'emanazioni autunnali delle paludi, e negli altri, effetto de' disagi e degli strapazzi sofferti, nel passaggio degli alemanni. Una tale assicurazione fu riportata al tribunale, il quale pare che ne mettesse il cuore in pace.” Quando le morti sovrastarono gli increduli “… le prove si offrivano, senza che bisognasse andarne in cerca.” Ne seguì una catena di lettere, disposizioni, grida e raccomandazioni, accompagnate da ordini sommari alla bisogna e “… misure che parver loro migliori …” ai delegati sul campo. Nel frattempo “… emanò il governatore una grida, in cui ordinava pubbliche feste, per la nascita del principe Carlo, primogenito del re Filippo IV, senza sospettare o senza curare il pericolo d'un gran concordo, in tali circostanza: tutto come in tempi ordinari, come se non gli fosse stato parlato di nulla.”

Alessandro Manzoni
Ritratto di Alessandro Manzoni
di Francesco Hayez - Pinacoteca di Brera

Ma ciò che più colpisce l'autore “… è la condotta della popolazione medesima, di quella, voglio dire, che, non tocca ancora dal contagio, aveva tanta ragion di temerlo … Eppure, se in qualche cosa le memorie di quel tempo vanno d'accordo, è nell'attestare che non ne fece nulla.” non solo nel popolo “La medesima miscredenza, la medesima, per dir meglio, cecità e fissazione prevaleva nel senato, nel Consiglio de' decurioni, in ogni magistrato.” Non mancarono anche allora le persone più accorte, le menti più lucide, ricorda il Manzoni, come quella del cardinale Federico Borromeo, ma su tutto prevaleva la lentezza della burocrazia: “Quella grida per le bullette, risoluta il 30 d'ottobre, non fu stesa che il 23 del mese seguente, non fu pubblicata che il 29.” mentre la peste era già entrata in Milano. “In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l'idea s'ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste; vale a dire peste si, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto; ma già ci s'è attaccata un'altra idea, l'idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l'idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro.” Concludendo il capitolo, Alessandro Manzoni, suggerisce: “Si potrebbe però, tanto nelle piccole cose, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d'osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare. Ma parlar, questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell'altre messe insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po' da compatire.”
Da compatire o da correggere? Forse da curare? In psichiatria la coazione a ripetere è la tendenza inconscia a riprodurre situazioni dolorose o a ripetere esperienze negative del passato. Ciò che è certo è che scienza e conoscenza non riescono a colmare il vuoto che si crea quando manca la coscienza dei fatti e la lungimiranza del domani.

Umberto De Pace

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  10 maggio 2020