Inferno
ai confini dell'Europa
Umberto De Pace
A settecento anni dalla sua morte ci apprestiamo a celebrare Dante Alighieri, il Sommo Poeta, con particolare attenzione al suo lungo, periglioso quanto straordinario cammino. Dante scrisse la Divina Commedia durante il suo esilio dalla patria Firenze, e i riferimenti storici, politici, religiosi e culturali, contenuti nel suo poema, sono quelli a lui contemporanei, oltre agli intramontabili richiami alla mitologia antica e alla cultura classica. Nel mezzo del cammin di nostra vita Dante ci accompagna per mano, sorretto dal maestro Virgilio, nel profondo delle viscere e dell'animo umano, scoprendone le più basse e turpi nefandezze così come le più alte e nobili virtù che da sempre accompagnano l'umanità intera. Perché è dell'umanità che parla. per me si va ne l'eterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina potestate, la somma sapïenza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterna duro. Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate. (Inf. III, 1-9)
risonavan per l'aere sanza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. (Inf. III, 22-30)
dicer del sangue e de le piaghe a pieno ch'i' ora vidi, per narrar più volte? Ogne lingua per certo verrìa meno per lo nostro sermone e per la mente c' hanno a tanto comprender poco seno. (Inf. XXVIII, 1-9)
Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, e vidi cosa ch'io avrei paura, sanza più prova, di contarla solo; se non che coscïenza m'assicura, la buona compagnia che l'uom francheggia sotto l'asbergo del sentirsi pura. (Inf. XVIII, 112-117)
avean le luci mie sì inebrïate, che de lo stare a piangere eran vaghe; (Inf. XXIX, 1-3)
come si converrebbe al tristo buco sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce, io premerei di mio concetto il suco più pienamente; ma perch'io non l'abbo, non sanza tema a dicer mi conduco; ché non è impresa da pigliare a gabbo discriver fondo a tutto l'universo, né da lingua che chiami mamma o babbo: (Inf. XXXII, 1-9)
Quanto oggi sta accadendo ai confini dell'Europa rispecchia quanto descritto nei gironi dell'Inferno attraversato dal Poeta, senza infingimenti o licenze poetiche, con l'imperdonabile differenza che nei cerchi e nelle bolge della Bosnia, della Grecia, della Libia, sono ammassate e straziate, sotto i nostri occhi, i corpi e le anime di innocenti, in esilio dalle loro terre. Qual è e quale vogliamo che sia il nostro posto: fra gli ignavi, gli avari, gli accidiosi, i violenti, gli ipocriti? Quale il nostro posto nei confronti delle popolazioni alle quali scarichiamo il lavoro sporco di gestione dell'impatto delle masse di profughi e migranti, alle volte profughe anch'esse, ancor oggi, come in Bosnia? Come ci poniamo nei confronti delle violenze che vengono perpetrate dalle forze di sicurezza o da infami ebbri della propria ideologia xenofoba e razzista? Quale considerazione abbiamo di chi invece sta cercando di alleviare le sofferenze a queste persone? Dante, con le parole di Marco Lombardo, ci rammenta che la libertà soggiace al nostro libero arbitrio: liberi soggiacete; e quella cria la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura. (Purg. XVI, 79-81)
ci ammonisce attraverso le parole di Ulisse: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza". (Inf. XXVI, 118-120)
Dante seppe guardare ben oltre il suo tempo, caratterizzato dalle piccole patrie delle signorie locali o dei potentati secolari e temporali degli Stati regionali, contribuendo a far germogliare i semi linguistici e culturali di un paese che non c'era, l'Italia, ma che da quei germogli avrebbe tratto la sua linfa nei secoli a venire. Oggi tocca a noi guardare oltre ciò che ci è dato, contribuendo a costruire un'Europa dei doveri e dei diritti. Innanzitutto il dovere di garantire universalmente la dignità umana e i diritti fondamentali dell'uomo fra i quali l'inalienabile libertà di movimento. Solo allora saremo degni di pronunciare le immortali parole del Poeta: salimmo sù, ei primo e io secondo, tanto ch'i' vidi de le cose belle che porta 'l ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder le stelle. (Inf. XXXIV, 136-139) Umberto De Pace Condividi su Facebook Segnala su Twitter EVENTUALI COMMENTI lettere@arengario.net Commenti anonimi non saranno pubblicati 13 settembre 2020 |