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Matteo Renzi e l'Arabia Saudita
Umberto De Pace


La figura politica e quindi pubblica di Matteo Renzi si presenta quale “caso” specifico per uno studio dell'homo politicus contemporaneo, sotto molti aspetti quali ad esempio: l'improntitudine e spregiudicatezza, l'accentuato protagonismo, la tendenza alla reiterazione, l'eloquente retorica e altro ancora. Il tutto nella cornice di quei personaggi politici per i quali l'affermazione personale prevale sulla causa dell'interesse pubblico o comunque, al di là delle intenzioni del soggetto, tende a prevalere sul resto. Lasciando agli esperti tale studio ciò che qui interessa è affrontare il “caso” Matteo Renzi e i suoi rapporti con l'Arabia Saudita. I fatti sono noti: un senatore della Repubblica Italiana, nel pieno delle sue funzioni istituzionali (lasciando da parte il particolare della crisi di governo in corso, dallo stesso provocata) partecipa il 28 gennaio scorso, quale invitato, a una conferenza in Arabia Saudita, senza percepire compensi e con spese pagate. La conferenza del Future investment initiative, la cosiddetta “Davos del deserto” è un'iniziativa promossa a partire dal 2017 dal Pubblic investment fund, il principale fondo della monarchia saudita, organismo controllato dalla famiglia reale. Secondo il quotidiano “Domani” ripreso dalla rivista “InternazionaleRenzi ricopre un incarico nel comitato consultivo dell'istituto per cui percepisce uno stipendio annuale che può arrivare a circa 80mila dollari a seconda della sua partecipazione a riunioni ed eventi”. 

Fotogrammi dell'incontro (fonte: ilfatto.it)

A margine della conferenza Matteo Renzi intrattiene un colloquio pubblico televisivo con il principe ereditario Mohammed Bin Salman (Mbs). I toni sono amichevoli, l'atteggiamento compiaciuto, sorridente e ironico. Toni e atteggiamenti che, sia pur evidentemente inadeguati e inopportuni per il senatore Matteo Renzi, come lo furono in tante altre occasioni nelle sue vesti di primo ministro, sono parte indissolubile del soggetto e di quella eloquenza nei fatti volgare ma certamente di moda e tendenza nell'odierno varietà politico.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi (agosto 2014 fonte: ilfatto.it)

My friend”, così si rivolge il nostro senatore al suo interlocutore, dando per scontata la sua odierna padronanza della lingua inglese non possiamo nutrire dubbi sul suo rapporto di stima e vicinanza con l'erede al trono saudita. Ma i fatti non finiscono qui e ci dicono ben altro sull'Arabia Saudita, sul suo rispetto dei diritti umani , sul trattamento delle donne, sullo sfruttamento dei lavoratori stranieri, sulla repressione del dissenso interno ed esterno, sulla guerra in Yemen e sulle stragi di civili. Tutte informazioni che siamo certi sono a disposizione del senatore ed ex presidente del consiglio Matteo Renzi; insieme a quelle che conosce sicuramente meglio relative al piano di riforme Vision 2030, il programma di sviluppo lanciato dalla monarchia saudita nel 2016, del quale è grande estimatore a fronte di non pochi critici, interni ed esterni al paese, che valutano tali riforme quali strumenti e paraventi per l'affermazione del potere assoluto a cui mira Mbs. A tutto ciò oggi va aggiunto il rapporto Khashoggi emesso negli Stati Uniti, che attribuisce la brutale uccisione del giornalista saudita Jamal Khashoggi, avvenuta nel 2018, a Mbs erede al trono di Riyad.

La crisi di governo nel nostro paese si è risolta con la formazione di un nuovo governo, la pandemia di covid-19 non rallenta la sua morsa e la realtà dei fatti impone di concentrarsi, ognuno per la sua parte, sull'emergenza sanitaria, economica e sociale che attanaglia il paese. Ciò non toglie che il “caso” in oggetto vada affrontato. Lasciando da parte per un attimo il soggetto in sé, occorre domandarsi se da un punto di vista politico e istituzionale, sia ammissibile che un senatore della Repubblica democratica italiana abbia fra i suoi “amici” uno fra i più autorevoli rappresentanti di un regime antidemocratico, non ultimo accusato da più parti di essere il mandante di un omicidio brutale e infame? E' accettabile che un senatore della Repubblica percepisca degli emolumenti da un organismo legato direttamente a un regime antidemocratico? E' opportuno che un senatore della Repubblica partecipi a incontri, conferenze, interviste con personaggi implicati o anche solo sfiorati dall'accusa di aver contribuito a crimini contro singoli, se non addirittura intere popolazioni?

La risposta viene da sé ma, visti i tempi, sarebbe già un traguardo che si riuscisse a parlarne pubblicamente giungendo a una o più risposte, anche se non condivise come è facile prevedere. Matteo Renzi si era impegnato a parlare della questione con i giornalisti in conferenza stampa la settimana dopo la crisi di governo. Al di là delle sue promesse, che sappiamo essere spesso “promesse da marinaio”, va aggiunto che la gravità dei fatti in oggetto richiede ben altro che una conferenza stampa e tanto meno la sua improbabile autointervista dell'altro giorno. In gioco vi è la salvaguardia della democrazia e delle istituzioni del nostro paese ed è quindi all'interno di quelle istituzioni che va affrontato e discusso il problema. Perché l'unica cosa peggiore di quanto non sia già stato fatto fino ad ora sarebbe quella di far cadere nell'oblio anche questa nefandezza lasciando una macchia indelebile sulle istituzioni del nostro paese. Non sarebbe l'unica ma ciò non giustificherebbe nulla e nessuno.

Umberto De Pace


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  28 febbraio 2021