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L'utopia nella realtà
Umberto De Pace


"Utopiae insulae tabula", Ambrosius Holbein (1494-1519)

Prendo spunto da un vecchio articolo di Franco Isman riproposto di recente, “Buonismo, Politica, Utopia”, liquidando innanzitutto la parola “buonismo”, sostantivo per lo più usato in modo dispregiativo, coniato e legato a un'epoca volgare che fatichiamo, anche lessicalmente, a lasciarci alle spalle. Con le dovute differenze un istruttivo riferimento storico può essere fatto risalire all'epoca fascista con la distorsione e strumentalizzazione di una virtù, la pietà, in un vizio e una debolezza quale il “pietismo” filosemitico. Pur non disdegnando i lodevoli tentativi di chi si riconosce e rivendica l'etichetta di “buonista”, come fece a suo tempo lo scrittore Giacomo Papi personalmente ritengo che tale termine faccia parte di quella schiera di -ismi che non permettono di comprendere o capire i fatti ma vengono utilizzati per gettare discredito nei confronti dell'“altro” o quali “manganelli mediatici” al fine della propria visibilità.
Un discorso diverso va fatto invece per “politica” e “utopia”, parole che ci permettono di comprendere, interpretare, capire i fatti e la realtà. Due termini strettamente legati fin dagli albori del pensiero umano in un perenne instabile equilibrio tra il presente e il futuro, tra il sogno e la realtà, tra il desiderio e ciò che è dato. Utopia quindi quale concezione, idea, progetto, aspirazione che indirizzi, stimoli e dia senso e significato all'azione politica che non può essere una mera gestione del presente, pena il suo decadimento tecno-burocratico. Certo la parola “utopia” può esprimere anche un qualcosa di irrealizzabile, fantastico, impossibile o, ancor peggio, può essere accostata a eventi funesti come la storia ci insegna, basti pensare ai totalitarismi del secolo passato; così come la parola “politica” può assumere un significato più scaltro, di astuzia o furberia nell'agire e nelle parole, se non addirittura essere sinonimo di “corruzione” o “sporcizia” come spesso accade nel linguaggio comune.
Utilizziamo qui entrambi i termini nel loro significato più nobile, anzi nei loro significati in quanto trattasi di concetti che possono assumere definizioni e soprattutto pratiche diverse. Sia le utopie che le antiutopie, così come le politiche e le antipolitiche rappresentano e vanno lette alla luce del loro tempo, in quanto testimoni delle aspettative, delle speranze, dei malesseri, dei disagi, dei sogni o degli incubi di un'epoca o di una o più generazioni. La crisi della democrazia oggi si misura attraverso l'incapacità della politica nel governare i cambiamenti sociali, culturali e ambientali della nostra epoca. Pur sollecitata dalle utopie che anche in questi anni di crisi hanno sempre mantenuta viva e presente la necessità, la speranza, il desiderio per un mondo diverso, più giusto, più solidale, più eguale. Ed è in tale contesto che quelle utopie sono parte della realtà in cui viviamo e sono profondamente realistiche, perché portano con sé e in sé le aspettative di settori molto più ampi e articolati delle società democratiche e non solo. Ed è da quelle richieste, da quelle idee-guida, da quei programmi utopici che la politica deve trarre spunto non per promettere la “luna” ai propri elettori, ma per saperla guardare distogliendo lo sguardo dal proprio dito che ne offusca la vista, dando così ai cittadini nuova fiducia nel proprio operato. Di fronte al vuoto lasciato dalla politica e all'impossibilità delle utopie di trovare una risposta alle proprie aspettative, occorre non dimenticare il passato nel quale “apprendisti stregoni” hanno piegato ai propri interessi o deliri di onnipotenza quegli immaginari sociali e quelle aspettative, manipolandole e violentandole. Oggi ciò è ancor più possibile grazie alle moderne tecnologie dell'informazione e comunicazione. Fare in modo che ciò non accada vuol dire comprendere che, almeno in parte, quelle utopie sono oggi più che mai realizzabili. La libertà di movimento, il fenomeno dell'immigrazione, il mondo del lavoro, l'ambiente, la natura, le guerre e la pace, impongono che a quelle utopie di rispetto della dignità, della bellezza, della bontà, dei diritti e dei doveri dell'uomo-ambiente-natura, vengano date prospettive politiche di cambiamento.

Costituzione della Repubblica Italiana
Approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947

ART. 4.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le
condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la
propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
ART. 11.
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

In fondo non dobbiamo far altro che impegnarci a realizzare quanto da noi stessi sancito nelle carte costituzionali, nei trattati internazionali, nelle dichiarazioni universali a seguito, non dimentichiamolo, di enormi sacrifici e sofferenze. Non si tratta quindi di sogni o utopie quanto di coerenza e realismo. E' una questione di giustizia. I sogni e le utopie sono fondamentali, senza essi il solo “realismo” si oscura e inaridisce, ci indicano la strada, ci spronano a trovare il modo per realizzare ciò che è nostro dovere realizzare per mantenere fede a quanto promesso. Questa è l'utopia nella realtà.


Assemblea Generale delle Nazioni Unite Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
10 dicembre 1948

Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Articolo 13
Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

Umberto De Pace


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  29 marzo 2021