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sulla stampa
a cura di P.C. - 4 dicembre 2003


“Intervenga l'antitrust”
Intervista a Guido Rossi
Federico Rampini su
la Repubblica

"La legge Gasparri può essere disapplicata immediatamente dall'autorità antitrust italiana, o dal giudice ordinario. Basta che un concorrente impugni un contratto pubblicitario di Mediaset o della Rai, e il giudice è tenuto a disapplicare la Gasparri. Quel contratto costituisce infatti un abuso di posizione dominante. Il diritto europeo è chiaro su questo punto, e il diritto europeo in questa materia prevale sulle leggi nazionali: i tribunali italiani non hanno altra scelta se non quella di applicarlo".
Il giurista Guido Rossi, padre della Consob e della legge antitrust, consulente della Commissione europea per la riforma del diritto societario, è tassativo. Non solo vede nella riforma Gasparri una minaccia per il pluralismo dell'informazione e quindi per la democrazia italiana. Ma quel che più conta ai fini della sua applicabilità è il conflitto con il diritto europeo sulla concorrenza, che prevale sulla legislazione di ogni singolo paese. Il riordino dell'assetto televisivo approvato martedì al Senato stravolge il concetto di "mercato rilevante" ? quello su cui si misurano i tetti antitrust ? in aperto contrasto con le normative dell'Unione europea. Rossi è sorpreso che questo ostacolo sia stato poco dibattuto in Italia. In realtà potrebbe essere proprio questa l'arma decisiva contro la Gasparri.
Professor Rossi, non è la prima volta che ci si affida all'Europa per risolvere quel conflitto d'interessi che l'Italia non ha saputo sciogliere. Ma finora le speranze riposte in un intervento europeo sono andate deluse.
"Lasciamo stare il conflitto d'interessi. In una situazione in cui la democrazia stessa è in pericolo, quel termine mi sembra ormai riduttivo e il dibattito sui rimedi finisce inevitabilmente per assumere una piega molto provinciale. Io voglio attirare l'attenzione su un'altra questione. Tutte le direttive comunitarie, e in particolare quelle del 2002, affermano senza margini di ambiguità che il pluralismo dell'informazione va garantito attraverso la concorrenza sul mercato televisivo. Quindi la legislazione comunitaria ha trasferito i suoi principi e le sue metodologie antitrust nell'ambito della regolamentazione dell'informazione".
Il principio è condiviso dall'antitrust italiano. La nostra autorità nazionale garante della concorrenza si è già espressa contro la legge Gasparri.
"Lo ha fatto per ben due volte, il 20 dicembre 2002 e il 10 settembre 2003. Ricordo le sue conclusioni, testualmente: "dal punto di vista istituzionale la legge incrina la validità generale di consolidati principi comunitari e nazionali in un settore, quello televisivo, vitale per la vita democratica del paese". In effetti il duopolio collusivo ostacola il diritto democratico all'informazione ma viola anche i principi fondamentali delle legislazioni antitrust italiana ed europea".
Anche la Corte costituzionale ha detto più volte che bisognava intervenire sul duopolio, e ha posto anche il termine del 31 dicembre per legiferare. Di qui è nata appunto la legge Gasparri, che almeno formalmente va incontro all'esigenza della Corte costituzionale. Salvo che in conseguenza di questa riforma il duopolio viene addirittura rafforzato, allargando il concetto di mercato della comunicazione.
"Proprio qui sta il punto debole della Gasparri. Diventa essenziale per questa legge l'esatta definizione dei cosiddetti mercati rilevanti, perché ci sono dei limiti precisi nella legislazione antitrust europea che impediscono la costituzione di posizioni dominanti. Perciò il legislatore italiano è stato costretto a ridurre dal 30% al 20% il tetto alla raccolta di fatturato pubblicitario: per non sfondare il limite ed entrare nella zona vietata della posizione dominante. Piegandosi formalmente al vincolo europeo, in realtà la legge Gasparri ha creduto di poterlo aggirare e beffare: allargando il paniere cioè, il concetto di mercato rilevante. È stata escogitata la nuova definizione del Sic, il sistema integrato delle comunicazioni".

Un "fatto minimo" può bastare, secondo lei. Quindi è sufficiente che un piccolo concorrente, per esempio una televisione locale, impugni di fronte a un giudice ordinario un qualsiasi contratto pubblicitario della Rai o di Mediaset, e il tribunale è tenuto ad applicare il diritto europeo dichiarando nulla la Gasparri?
"È così. Io credo che per i giuristi italiani non dovrebbe essere difficile non fare applicare questa legge".
Anche se Ciampi dovesse firmarla, per lei quindi c'è ancora una speranza?
"È più che una speranza. Come si dice, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. A questa pentola manca un coperchio europeo e nel campo dell'antitrust questa mancanza può essere fatale. Sono convinto che la soluzione per la democrazia italiana verrà dall'Europa. Ma questa non è certo una possibile scappatoia per il presidente della Repubblica, poiché la legge, fosse solo per questi profili, è palesemente incostituzionale".


In piazza ma rivolti al Colle
Andrea Gagliardi su
il Manifesto

La parola più citata era "regime". Lo slogan più ripetuto: "la partita non finisce qui. Andremo avanti con la protesta, in tutte le sedi istituzionali possibili". Lo sguardo, su Ciampi. Nessuno lo voleva tirare per la giacca, anche se c'era chi, come Lidia Ravera a quella giacca avrebbe voluto addirittura "appendersi". Ma era condivisa la speranza che il capo dello stato rinvierà la Gasparri alle camere. Si respirava rabbia e ostinazione ieri a piazza del Pantheon, dove il comitato per la libertà e il diritto all'informazione (cartello di più di 60 associazioni e sindacati) ha portato in piazza un migliaio di persone. L'ennesima manifestazione, nella quale è confluito il presidio svolto davanti palazzo san Macuto, in occasione dell'audizione del cda Rai sul caso Raiot in commissione di vigilanza. Sabina Guzzanti, presente al primo appuntamento, al Pantheon ha mandato un messaggio di ringraziamento.
Sul palco si sono alternati politici, sindacalisti, esponenti delle associazioni. In piazza c'erano invece tanti comuni cittadini indignati. Un vecchio signore faceva fatica a tenere a freno la rabbia. Lucida l'analisi: "Almeno Mussoli non era proprietario di mezza Italia. Qui è peggio che nel fascismo. Ci vuole una spallata, uno sciopero generale a oltranza".
Ha parlato di "regime" Giovanna Melandri (Ds), che è intervenuta nella polemica sulla svolta di Fini, dichiarando: "Al di là delle revisioni sul ventennio fascista, la Gasparri è una legge di regime, grazie alla quale la censura diventa sistema".

Tra gli ultimi ad intervenire, Nando Dalla Chiesa (Margherita). Ha annunciato un'altra forma di protesta. Una antiSanremo da tenere a Mantova dal 2 al 6 marzo in contemporanea con il festival ufficiale. "Se il festival di Sanremo - ha spiegato Dalla Chiesa - è il luogo in cui Berlusconi ha compiutamente espresso la sua concezione padronale, piazzando l'amico Tony Renis, frequentatore di famiglie mafiose, a fare il conduttore artistico, è tempo di realizzare un antifestival". I musicisti, i cantautori, gli attori, sono già stati in gran parte contattati. La messa in onda sarà affidata ad un network di televisioni regionali.
Al Pantheon la manifestazione si è chiusa (non erano ancora le otto di sera) con una proposta di Gianfranco Mascia. Un girotondo simbolico attorno alla fontana della piazza. Dopo qualche fatica iniziale a convincere qualche refrattario, i manifestanti hanno creato tre catene umane. E poi tutti a casa, non prima di aver cantato "Bella Ciao" e invocato "libertà".


"Me ne vado, sconfitta sul pluralismo"
Annunziata prepara le valigie
Alberto Guarnieri su
Il Messaggero

ROMA - Presidente, l'addio alla Rai sembra vicino. C'è qualche buon ricordo "Sì - risponde Lucia Annunziata - il risanamento dei conti, fatto anche coi risparmi che ho voluto sul digitale terrestre, e la rimonta negli ascolti sono un fiore all'occhiello di questa gestione". E le dolenti note? "Tutte le volte che c'è stato da discutere su pluralismo e libertà sono stata messa in minoranza". Senza di lei, e magari Rumi, tre membri in prorogatio avrebbero le mani più libere. Se le chiedessero di restare? "Difficile a prescindere, comunque nessuno me lo ha chiesto".
Anche ieri Annunziata, solitaria, si è spesa per difendere Raiot. Ogni decisione sul programma di Sabina Guzzanti è stata rinviata (come la riunione della Commissione di vigilanza che ha invitato il Cda Rai a riferire sull'argomento) a martedì prossimo. Ma l'aria che tira non è certo delle migliori. E il rifiuto della società di produzione dell'attrice a qualsiasi mediazione non aiuta certo.
Sarà sicuramente questo Cda a mettere o meno la parola fine a Raiot. Ma dopo? "Chiederò ai colleghi di dimettersi in blocco all'indomani della firma della legge Gasparri da parte del Capo dello Stato" dichiara Marcello Veneziani. "Le dimissioni di tutto il Cda - spiega - hanno un senso diverso dalle dimissioni ”di strascico” che potrebbero far seguito a quelle del presidente Annunziata e che potrebbero essere lette come un dissenso politico sulla legge Gasparri. Significherebbero invece che, nel momento in cui abbiamo una scadenza anticipata dell'incarico al 28 febbraio, più che vivere in una situazione da ”semestre bianco” che seguirebbe mesi di incertezza, è meglio affrettare il passaggio ai nuovi vertici Rai".
Un'idea che piace naturalmente ad Annunziata e a Giorgio Rumi, cioè ai due membri del Cda già intenzionati a dimettersi una volta che la legge sui mass media venga promulgata. Ma subito arriva uno stop da parte di Francesco Alberoni. "Non ho intenzione di dimettermi in blocco insieme al resto del Cda. Ho ricevuto un incarico dai presidenti di Camera e Senato e ho intenzione di proseguire per tutto il tempo necessario" dice il sociologo. "Solo quando ci sarà un nuovo Consiglio mi ritirerò - aggiunge - fino a quel giorno ho il dovere di andare avanti anche perchè la Commissione di vigilanza potrebbe metterci una settimana ma anche un mese per fare un nuovo Cda e la Rai deve restare in funzione, non può restare troppo tempo senza governo".
Non ottiene miglior fortuna un'altra proposta di mediazione di Veneziani. Appreso dal direttore generale che la Guzzanti si rende disponibile a consegnare una puntata finita solo la domenica mattina, il consigliere suggerisce di vagliarla per trasmetterla sette giorni dopo. Ma la società di produzione di Raiot boccia la proposta.
"Ci sono tutte le ragioni perchè la trasmissione satirica di Sabina Guzzanti, torni in onda", ribasce Annunziata. Che ricorda il precedente di ”Satyricon” di Luttazzi. "Anche in quel caso - ricorda la presidente - la trasmissione venne sospesa per le polemiche suscitate dall'intervista a Marco Travaglio, ma dopo una settimana il programma tornò in onda".
Per il senatore di Forza Italia Vittorio Pessina, invece, "non c'è stata alcuna censura, perché nel programma non c'era satira". Più possibilista il presidente Claudio Petruccioli, protagonista di un simpatico duetto con il consigliere Enzo Carra su ruoli e compiti della Commissione, attesa in futuro alla nomina del prossimo Cda.


Non isoliamoci dall'Europa
Piero Ostellino sul
Corriere della Sera

La preoccupazione dei cattolici, che attraversa i due schieramenti, per le implicazioni morali e sociali della legge sulla fecondazione assistita in discussione al Senato, è moralmente comprensibile e socialmente legittima. Che una materia tanto delicata debba essere regolamentata è fuor di dubbio. Ma è anche politicamente poco condivisibile che se ne voglia fare la legge più restrittiva in Europa. La preoccupazione, sotto il profilo morale, è comprensibile per l'ovvia ragione che la Chiesa cattolica riconosce solo un tipo di fecondazione, quella "naturale", e perché, di conseguenza, a un credente non resta che adeguarsi. È legittima, sotto il profilo sociale, per un elementare senso di responsabilità, al quale il legislatore non può certo sottrarsi in nome di un astratto principio di libertà, di fronte alle implicazioni "civili" della questione: la possibilità, ancorché remota, di incesto fra nati grazie alla fecondazione di donne diverse con lo stesso tipo di seme "esterno" alla coppia; la necessità di tutelare il minore; il pericolo di "commercio" di semi e ovuli in una condizione di mercato selvaggio. È invece improponibile, sotto il profilo politico, condizionare la libertà di scelta dei cittadini più di quanto già non facciano le legislazioni degli altri Paesi europei per almeno due ragioni. La prima: perché si ridurrebbe l'Italia a una sorta di "isola proibizionista" in un panorama di "permissività responsabile". La seconda: perché, quel che è peggio, penalizzerebbe solo chi, per difficoltà economiche, non fosse in grado di recarsi in uno dei Paesi più tolleranti e aggirare la legge.
Tradurre i principi morali della religione - che dovrebbero riguardare solo la coscienza individuale - in diritto pubblico è sempre pericoloso per la salute della democrazia liberale, sia perché riduce la libertà di scelta del non credente; sia perché mortifica persino il pieno esercizio del libero arbitrio da parte del credente.
Non si tratta, come si vede, di riesumare l'anacronistica contrapposizione fra laici e clericali. Ma solo di riflettere sulla natura di uno Stato che voglia dirsi liberale. Da un lato, quello cattolico, si tratta di comprendere l'umanissimo desiderio di maternità (o di paternità) da parte di chi non può procreare per ragioni naturali e, quindi, di non mortificarne il soddisfacimento. Dall'altro lato, quello laico, si tratta di comprendere che l'opposizione (cattolica e no) all'estensione della fecondazione assistita ai "singoli" o alle coppie omosessuali è certamente, sotto il profilo teorico, una limitazione alla libertà individuale, ma non è neppure del tutto irragionevole. Un po' di buonsenso e un più forte spirito pragmatico, da entrambe le parti, forse, non guasterebbero.


Il fronte oscurantista
Miriam Mafai su
la Repubblica

Qualcuno ha scritto una volta che noi italiani sappiamo benissimo come dovremmo essere, ma non come siamo. Secondo alcuni, noi siamo ancora divisi in modo furibondo tra guelfi e ghibellini sempre pronti a una guerra di religione. Secondo altri, sarebbe tipica del nostro carattere nazionale la tendenza all'accomodamento, al compromesso. Mi è venuta in mente questa citazione leggendo la lettera con cui Piero Fassino rispondeva ieri ai radicali che gli avevano chiesto un serio impegno per la modifica della legge sulla fecondazione assistita in via di approvazione al Senato.
Una lettera nella quale il segretario del Ds ricorda, appunto, "decenni di contrapposizione tra guelfi e ghibellini sui temi etici che riguardano la vita e la morte, la famiglia e la sessualità" e l'impegno attuale della sinistra "di ricercare soluzioni largamente condivise, rispettose del pluralismo etico che contraddistingue positivamente la società italiana".
Niente da obiettare, naturalmente. Ma non si può dimenticare che a suo tempo, in quei decenni che Fassino descrive di feroce contrapposizione tra guelfi e ghibellini, i laici riuscirono a far approvare dal Parlamento italiano la legge sul divorzio, e poi quella sull'aborto successivamente confermate da referendum. Segno, per le meno, che già trent'anni fa il nostro paese era più laico, più moderno di quanto molti allora pensassero. E oggi, com'è il nostro paese? Secondo l'anagrafe, i cattolici sfiorano in Italia il 98%, ma, secondo un recente sondaggio quelli impegnati, che ci tengono a comportarsi come tali, non superano l'8%. Oggi solo il 12% dichiara di confessarsi almeno una volta al mese, la maggioranza dichiara con bella disinvoltura di non credere all'esistenza dell'inferno e del paradiso, e che dopotutto "c'è qualcosa di vero in tutte le religioni; l'una vale l'altra".
E, allora, diciamo la verità, quando i laici, e in primo luogo i Ds, esprimono la preoccupazione di non "offendere" con le loro posizioni i cattolici, non è tanto ai cattolici della porta accanto che pensano, ma alle gerarchie che, dopo la fine della Democrazia Cristiana, hanno cercato e trovato una sponda disponibile in tutti i partiti presenti sulla scena politica, e in virtù di questa trasversalità intendono (e spesso riescono) a far prevalere le loro posizioni.

Una legge oscurantista, pericolosa, offensiva della dignità della donna e della sua libertà, ma che risponde alle richieste delle autorità cattoliche, del cardinal Sodano, del cardinal Ruini e della Conferenza episcopale italiana. Una legge che, se approvata in questi termini, rappresenterà un serio vulnus alla laicità del nostro Stato, perché, lo Stato laico non è soltanto quello che riconosce ai suoi cittadini "piena libertà di coscienza e di culto" ma quello che è in grado di legiferare in modo autonomo, non secondo il dettato della Chiesa e delle sue gerarchie, ma secondo il principio che vuole tutti i suoi cittadini liberi di scegliere ed adottare comportamenti e modi di vita che ritengano giusti, purché non ledano, come ovvio, i diritti di altri. "Contribuire a far sì che le leggi dello Stato siano ispirate ai propri convincimenti di cattolici", ricordava il cattolico Pietro Scoppola "è legittimo e doveroso, ma non è la stessa cosa che esigere, come condizione di legittimità morale della legge una piena identità". E infatti possono darsi, e si danno quotidianamente, comportamenti individuali che la Chiesa considera "peccato", ma che per la legge non sono "reato". Oggi, con questa legge avviene il contrario: ciò che la Chiesa considera "peccato" (sia nel caso della fecondazione eterologa, sia nel caso della selezione degli embrioni) diventa, per il nostro Stato, "reato". Nemmeno la cattolicissima Spagna è giunta a tanto.



“Cari signori, firmate i contratti”
Intervista a Pierluigi Bersani
Laura Matteucci su
l'Unità

MILANO "Da due anni il settore trasporti è in un vicolo cieco. Il combinato disposto della chiusura dei trasferimenti statali agli enti locali, dell'assenza di politiche di incentivo, e del totale disamore di questo governo per i tavoli di discussione, creano una situazione non accettabile". Pierluigi Bersani, responsabile economico dei ds, non concede nulla a nessuna delle parti in causa, dopo la protesta che a Milano ha esondato dagli argini degli accordi. Da una parte ci sono "le regole da rispettare", al di là di ogni ragionevole esasperazione, e dall'altra parte c'è la "vergogna per il fatto non si sia tenuto vivo il tavolo di rinnovo contrattuale".
In mezzo, un elemento sostanziale: in tutta Italia lo sciopero è riuscito, con medie di adesione di oltre il 90%, "il che rende evidente che questi lavoratori non ne possono più". Dovrebbe evidenziarne anche un altro, di fatto: la necessità da parte di governo e aziende di chiudere il rinnovo con un'offerta più realistica dei 12 euro di cui invece si parla, massimo sforzo dopo due anni di trattative.
Bersani, partiamo da un dato incontrovertibile: lo sciopero degli autoferrotranvieri è riuscito in tutta Italia.
"Assolutamente. È un risultato di portata storica, un successo enorme. Ha aderito il 90% dei lavoratori, segno evidente che non ne possono più. Io l'altro giorno ero a Roma, e lì tutti hanno potuto vedere che di autobus non ne passava nemmeno uno. Lo stesso è accaduto dappertutto in Italia".
Sottinteso: non c'era bisogno di dare ulteriore clamore alla protesta, come è accaduto a Milano?
"A Milano i lavoratori hanno fatto e si sono fatti un danno incalcolabile, rischiando di oscurare le proprie ragioni con questa specie di illegalità di massa a carico dei cittadini. Non è così che si cambiano i rapporti di forza. Esistono delle regole, determinate anche con il concorso dei sindacati, cui tutti devono attenersi. L'idea di regolare gli scioperi nel settore pubblico appartiene alla storia del sindacato, trasgredire significa danneggiarsi e danneggiare il sindacato".
Il sindacato, soprattutto.
"Sì, soprattutto il sindacato. È improprio che venga messo nel mirino il sindacato per quanto è successo. Quello di Milano è stato uno strappo che bisogna cercare di ricucire".
La spia di uno strappo che potrebbe allargarsi?
"Non lo vedo un fenomeno generalizzato. Il sindacato è in grado di rappresentare i lavoratori. Il problema è un altro, non sindacale: quello che manca è l'attitudine a fare tavoli di confronto, in tutti i campi. La tenuta dei salari e del potere d'acquisto sono quelli che tutti conoscono, i problemi stanno iniziando a marcire. Se ci fosse una maggiore attenzione i rischi che si verificassero fenomeni come quelli di lunedì a Milano sarebbero minori".



Tasse, Tremonti blocca i rimborsi
14 miliardi di euro blindati
Bianca Di Giovanni su
l'Unità

Il Fisco deve alle famiglie italiane 14 miliardi di euro. A tanto ammontano i "debiti" che le Finanze hanno accumulato negli anni con i contribuenti (onesti) e che ancora non sono stati restituiti. A sentirla così la somma fa paura: 28mila miliardi di vecchie lire. Equivale ad una finanziaria. Ma a preoccupare ancora di più non è tanto l'entità dei crediti vantati dai cittadini, quanto l'intenzione del governo di arrivare ad una sorta di prescrizione e liberarsi di questi oneri con una semplice letterina. Come dire: chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto. Finiscono nel dimenticatoio le belle promesse elargite dal centro-destra in campagna elettorale, mentre continua la beffa per i cittadini onesti. La cifra è "saltata fuori" in Parlamento proprio nel giorno in cui il sottosegretario Giuseppe Vegas annuncia l'intenzione del governo di presentare l'estensione del condono fiscale ai redditi del 2002 in un emendamento alla Finanziaria (in arrivo già oggi), e non nel decreto annunciato per domani. Ancora favori agli evasori e crediti prescritti per chi ha rispettato le regole. "Una cosa così non si era mai vista prima nel Paese - commenta Giorgio Benvenuto, capogruppo ds in Commissione Finanze - Tra condoni e prescrizioni siamo di fronte ad un museo degli orrori fiscali".

Stanotte ci dovrebbe essere il sì finale. Sempre che le tensioni nella maggioranza si stemperino. Ieri è stata la Lega ad alzare la voce. Il presidente della Bilancio Giancarlo Giorgetti ha ammonito il governo che se il decreto annunciato per domani modificherà i saldi di bilancio la Finanziaria dovrà essere riscritta. Nel frattempo il capogruppo del Carroccio Alessandro Cè ha detto senza mezzi termini di essere deluso da Tremonti con i suoi condoni a maglie larghissime. Solo cinque ore più tardi Vegas ha evitato il peggio annunciando l'emendamento in Finanziaria, ma i malumori sono sempre in agguato, tanto più che resta "il caos, l'assoluta mancanza di dati certi sull'effettiva situazione dei conti pubblici", commenta il capogruppo ds Michele Ventura. Tra gli emendamenti approvati, lo stanziamento di 250 milioni di euro per i Comuni, così distribuiti: 20 milioni a favore delle unioni di comuni, 90 per tutti i comuni, altrettanti per i comuni "sottodotati", e 50 per i piccoli centri, ovvero quelli con meno di 3.000 abitanti. An e Udc parlano di vittoria, ma per gli enti locali resta un taglio del 5% rispetto all'anno scorso. Ok anche alla tassa sul volo per finanziare la sicurezza negli aeroporti.


Le ceneri di Kyoto
Piero Greco su
l'Unità

"La Russia non ratifica il protocollo di Kyoto, perché non può compromettere il suo sviluppo". La dichiarazione con cui martedì scorso da Mosca il consigliere economico di Putin, Andrei Illarianov, ha gelato la nona Conferenza delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti del clima, in corso a Milano, somiglia troppo a quella con cui George Bush padre gelò la Conferenza di Rio de Janeiro nel 1992 - gli Stati Uniti non sono disponibile a negoziare il livello di vita dei suoi cittadini per salvare il Paese - per non destare una seria preoccupazione. Perché, sarà pur vero che Andrei Illarianov non è nuovo a dichiarazioni categoriche in materia. Ma è anche vero che le reiterate dichiarazioni del consigliere economico sono state smussate ma mai smentite da Putin. Né formalmente, né coi la forza dei fatti.
La verità è che, con le dichiarazioni di Illarianov, il Protocollo firmato otto anni fa a Kyoto è virtualmente morto.
Se, infatti, Illarianov ha anticipato una prossima decisione ufficiale di Mosca, allora il Protocollo è tecnicamente morto. In quanto, dopo il ritiro degli Stati Uniti e, da ieri, dell'Australia, senza la Russia l'insieme dei paesi industrializzati che hanno ratificato il Protocollo non può superare quella soglia del 55% delle emissioni oltre la quale gli impegni diventano legalmente vincolanti per i paesi che lo hanno sottoscritto.
Se, come vuole l'interpretazione minimalista - e, forse, più vicina alla realtà - la dichiarazione di Illarianov annuncia semplicemente che la Russia intende alzare la posta in gioco di una partita meramente mercantile e inserire la ratifica del Protocollo in un più generale negoziato con l'Unione europea che comprenda la vendita di risorse energetiche e l'ingresso nel Wto, allora è lo spirito di Kyoto a essere morto. E, con esso, gran parte delle possibilità di fare della ratifica di quello strumento legale internazionale non il traguardo finale, ma il primo passo di un lungo cammino che abbia come obiettivo la reale possibilità di contrastare il previsto aumento della temperatura media planetaria.

Come si può pensare che la Cina, l'India, il Brasile accettino di mettere in discussione il livello di vita ancora modesto dei loro cittadini se una parte dei paesi industrializzati, responsabili storici del cambiamento del clima globale, non intende mettere neppure in discussione l'opulento livello di vita dei propri cittadini e l'altra parte ne fa oggetto di un negoziato che qualcuno ha definito un mero "mercato delle vacche"?
È per questo motivo che, dopo le nette dichiarazioni di Illarianov e quelle più ambigue di Putin, il Protocollo di Kyoto può essere dichiarato virtualmente morto. Tanto più che molti paesi europei (in primo luogo l'Italia di Berlusconi) riescono a stento a contenere la voglia di ufficializzarla, una volta per tutte, quella dichiarazione di morte.
Il guaio è che in agonia in queste ore non è solo il documento firmato otto anni fa nell'antica capitale del Giappone. Ma l'idea stessa - nata a Rio de Janeiro nel 1992 nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo - che i problemi globali ambientali possano essere affrontati con il metodo degli accordi multilaterali e facendo leva sullo spirito di solidarietà intra e internazionale, intra e intergenerazionale.
Una ferita mortale a questo metodo fu arrecata dagli Stati Uniti lo scorso anno prima e durante la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile tenuta a Johannesburg. Oggi la Russia non fa che maramaldeggiare su un processo già gravemente ferito.
Non ci resta, dunque, che assistere impotenti alla fine dell'approccio multilaterale e solidale ai problemi ambientali globali? Non ci resta che sperare nella improbabile via mercantile per affrontare le emergenze planetarie? No, forse c'è ancora una carta da giocare. Occorre che l'Unione Europea, i movimenti "new global", gli uomini di scienza e gli intellettuali tutti riescano a parlare direttamente ai popoli. A dimostrare ai cinesi, agli indiani, ai brasiliani, oltre che ai russi, agli americani e agli stessi europei, che quello proposto per contrastare i cambiamenti climatici e i problemi ambientali globali non è un processo che nega lo sviluppo e ridimensiona il livello di vita medio dei cittadini. Ma è processo per un nuovo tipo sviluppo, non solo ecologicamente ma anche socialmente più sostenibile. È un processo che non nega il progresso. Ma mobilita le forze migliori della società per una reinterpretazione forte del concetto di progresso.
Solo se questo progetto culturale e sociale diventa senso comune dell'umanità in ogni angolo del mondo - nei paesi sviluppati, in quelli emergenti e in quelli ancora in via di sviluppo - e riconquista la priorità nell'agenda politica, il Protocollo di Kyoto e il governo democratico dei problemi ambientali globali risusciteranno dalle ceneri cui sono stati ridotti in pochi mesi di politiche e di atti unilaterali.


Assegnato il Premio “Stai zitto 2003”
Donald Rumsfeld è il vincitore
su il
Corriere della Sera

LONDRA - "Trovo sempre interessanti le notizie di cose che non sono avvenute perché, come sappiamo, vi sono fatti noti conosciuti. Ci sono cose che sappiamo di sapere. Ma sappiamo anche che ci sono fatti noti sconosciuti. Inoltre sappiamo che ci sono cose che non sappiamo. Ma ci sono anche fatti ignoti sconosciuti - che sono le cose che non sappiamo di non sapere".
Chiaro, no? Per questa dichiarazione rilasciata durante una conferenza stampa al Pentagono e riferita alla situazione in Iraq, il segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld ha trionfato al Premio Stai zitto 2003 (libera traduzione di "Foot in Mouth Award" assegnato per l'affermazione in lingua inglese più sconcertante e incomprensibile dell'anno.
In tono anche la motivazione dell'organizzazione che assegna il premio, l'"Associazione per l'inglese semplice": "Crediamo di sapere che cosa significhi, ma non sappiamo se lo sappiamo veramente".
DIFESA DELLA LINGUA E DEL LETTORE - L'Associazione non profit che ha assegnato il premio, si occupa di tenere sotto controllo la comunicazione pubblica nel Regno Unito, e arriva ad attribuire a siti web e enti pubblici un bollino di qualità. Sul sito Internet molti esempi interessanti - in lungua inglese purtroppo. Interessanti le traduzioni dal burocratese al "plain english" (inglese semplice). Eccone una, da noi tradotta: "Ambienti di apprendimento di alta qualità sono una precondizione necessaria per la facilitazione e l'amplificazione dei processi di apprendimento in corso". Secondo l'associazione si può dire semplicemente così: "I bambini hanno bisogno di buone scuole per imparare come si deve".
RICHARD GERE - L'anno scorso il premio andò all'attore americano Richard Gere che disse: "So chi sono. Nessun altro sa chi sono. Se fossi una giraffa e qualcuno mi dicesse "Sei un serpente", penserei "No, sono davvero una giraffa"".4 dicembre 2003.


Il maresciallo Salomone
Massimo Gramellini su
La Stampa

Ricordate Salomone, il re biblico paradigma di giustizia, che in presenza di due donne che reclamavano lo stesso bambino suggerì di tagliarlo in due, riconoscendo la madre vera in quella che aveva rifiutato la proposta? Adesso fa il maresciallo a Tivoli. Davanti a lui sfilano due signore e un passeggino azzurro, di cui entrambe si dichiarano proprietarie. La prima donna, Catiuscia, giura che le è stato rubato pochi giorni prima: acclude la ricevuta del negozio e varie foto del pupo a bordo.
La seconda sostiene che si tratta del regalo di un amico di suo marito. Chi si stupisce di tanto accanimento intorno a un passeggino, ignora l'evoluzione compiuta da questi oggetti, che ricordano sempre di più i moduli usati dagli astronauti sulla Luna: nella forma come nel prezzo. Catiuscia non molla e con astuzia da sceneggiatrice scova un laccetto impigliato al manubrio: sarebbero i resti di un palloncino esploso fra le mani di suo figlio. La famosa prova del palloncino.
Il marito della seconda donna conferma la storia del regalo, ma il maresciallo non lo ascolta già più. Osserva il corpo del reato con ammirazione mista a timore. E' un neopapà, sa di cosa parla. "Chiudetelo!", ordina. Catiuscia esegue con un semplice scatto. L'altra si aggroviglia inesorabilmente, cede, confessa. La vincitrice se ne va con la sua preda, la rivale con una denuncia per ricettazione. Giustizia è fatta. E il prossimo che dice ancora che i carabinieri sono ottusi, gli faccio riaprire il passeggino.


   4 dicembre 2003