prima pagina pagina precedente indice



La settimana sulla stampa
a cura di Fr.I.

La conversione americana
Vittorio Zucconi su
la Repubblica

Olmert Bush e Mahmud Abbas
Olmert, Bush e Mahmud Abbas (foto dal Corriere della Sera)
«Questo è il momento della speranza nel conflitto arabo-israeliano, questa è l´occasione che dobbiamo saper cogliere». Così parlava George W. Bush, ma non ieri ad Annapolis, cinque anni or sono, nel 2002, otto mesi appena dopo l´aggressione terroristica del 9/11 e nulla è cambiato da allora. Sono frasi identiche nella sostanza a quelle che ha ripetuto alla fine della ennesima conferenza diplomatica che ci promette, come settant´anni or sono un primo ministro britannico rientrando da Monaco, «pace nel nostro tempo» per il conflitto che nessuno ha mai saputo pacificare.
E che tutti i presidenti americani, da Truman dopo la guerra del 1948, a «W» Bush che ieri ha ottenuto la promessa di negoziati subito e accordo nel 2008, si sono passati di mano in mano, come la cambiale che nessuno di loro vuole e nessuno riesce mai a saldare.
Annapolis non è stata la conversione improvvisa del governo Olmert e dei palestinesi «buoni» al negoziato. È stata la conversione di una presidenza americana che era partita con l´ottusa intenzione di chiamarsi fuori dal ginepraio palestinese, che era stata sedotta poi dalle sirene della guerra per esportare la pace e la democrazia da Bagdad a Gerusalemme e ora finisce inesorabilmente con quegli odiati «tavoloni» multilaterali dei colloqui nei saloni della Accademia Navale di Annapolis, il cui motto storico, quanto mai rilevante, è «Non abbandonate mai la nave». …
Non c´è stato presidente americano che, recalcitrante come Nixon o entusiasta come Clinton, appassionato come Carter o neghittoso come Bush, non si sia ritrovato con la cambiale in mano e non potrebbe essere diversamente. Dal 1948, quando la magnifica resistenza dei volontari ebrei accorsi dall´Europa rintuzzò, senza grandi sostegni esterni, il tentativo di ributtarli a mare, Washington è stata parte integrante della «questione mediorientale», dunque condannata a essere, nel classico assioma, «o parte della soluzione o parte del problema». Senza le spallate americane, non ci sarebbero state la pace con l´Egitto, che eliminò ogni possibilità di guerra generale e la sopravvivenza di una nazione che, nonostante il coraggio e l´intelligenza del proprio popolo, dipende dall´America per resistere al proprio isolamento politico e umano nel sempre più ostile oceano arabo ora agitato dal fallimento del nazionalismo e dalla tempesta del fondamentalismo.
Questa è stata, e rimane, la realtà, alla quale George Bush ha dovuto, lodevolmente seppur tardivamente, rassegnarsi.
L´antica legge, enunciata già da Henry Kissinger, secondo la quale «non sono i presidenti americani a cambiare il mondo, ma è il mondo a cambiare i presidenti americani» è scattata anche questa volta.

Nella ossessione di fare tutto il contrario di quello che aveva fatto Clinton, spasmodicamente impegnato nella mediazione che distrusse il governo di Ehud Barak e segnò l´inizio della fine per Yasser Arafat, l´amministrazione Bush respinse il mantello dell´«onesto mediatore», poi tentò l´aggiramento di forza con l´invasione dell´Iraq e la copertura armata della sicurezza nazionale israeliana, poi ancora proclamò, per prima nella storia, il diritto a «due stati indipendenti» nel giugno del 2002.
E ora accetta la responsabilità della cambiale israelo-palestinese per salvare la propria eredità politica e farlo ricordare nella storia come un uomo di pace, e non di guerra.

Che sarà davvero di queste ultime promesse di «pace in Palestina» addirittura prima del suo sfratto dalla Casa Bianca nel gennaio del 2009 non possiamo dire, ma possiamo dire che di questi comunicati, annunci, promesse, piani, strette di mano, «primi passi» che non diventano mai il secondo ne abbiamo visti troppi perché si possa davvero essere ottimisti. La vera novità, e forse la vera buona notizia, che viene dalla piccola Onu di Annapolis (dove i Sauditi, grandi amici di casa Bush, hanno continuato a rifiutare la mano degli odiati «sionisti») è che la Casa Bianca non è caduta nella tentazione di farne una grancassa per montare la propaganda bellicosa anti Iran e che anche il più indifferente dei presidenti americani recenti ha ammesso di fatto che nulla è possibile, nulla è negoziabile, nulla si muove, senza garanzie e senza pressioni degli Stati Uniti, come Condi Rice sosteneva da tempo. Chi erediterà nel 2009 la cambiale in perenne protesto, troverà almeno una nuova apertura di credito all´America, dopo gli anni di sperperi di prestigio americano e di discredito.


La sfida di Berlino
Il 20% di energia sarà rinnovabile
Piano per ridurre le emissioni del 40% entro il 2020. La corsa al risparmio diventa business
Danilo Taino sul
Corriere della Sera

energia eolica 1 energia eolica 2
energia eolica

BERLINO — A modo loro, i vignaioli tedeschi si sono adattati al surriscaldamento del clima. Un vino da dessert, l'Eiswein, realizzato con grappoli raccolti in inverno quando la temperatura è sotto zero di almeno sette gradi, è ormai difficilissimo da produrre: la stagione scorsa, la vendemmia è stata possibile solo il mattino del 27 dicembre e del 26 gennaio. Così, molti produttori hanno rovesciato il loro mondo e sono passati al Trockenbeerenauslese, estratto da grappoli essiccati sulla vite. Succede che, allo stesso modo, l'effetto serra, in Germania, sta rovesciando il modo di vivere e di lavorare di tutti. Un po' per forza, molto perché la cancelliera Angela Merkel e il suo governo di Grande Coalizione hanno deciso di fare della lotta al cambiamento del clima la «priorità più alta» del loro programma. E hanno deciso di puntare, tra le altre cose, sulle energie rinnovabili: scelta coraggiosa perché non tutti, nel mondo, pensano che questa sia la strada più facile per combattere l'effetto serra.
La settimana prossima, dunque, alla conferenza sul clima indetta a Bali dalle Nazioni Unite, la Germania vorrebbe giocare un ruolo di punta. Per convinzione. Ma anche perché Frau Merkel e il suo ministro dell'Ambiente Sigmar Gabriel sostengono che questa sia anche un'occasione per proiettare l'economia tedesca nel Ventunesimo Secolo, se è vero che quello legato all'ambiente, e in particolare quello delle energie alternative ai combustibili fossili, sarà uno dei business a maggiore crescita. La scommessa è alta. Il Programma Integrato per l'Energia e il Clima è la cornice entro la quale la signora Merkel fa rientrare i suoi obiettivi. In essenza, la cancelliera ha un piano per ridurre le emissioni tedesche di anidride carbonica del 40% (rispetto al livello del 1990) entro il 2020.
E vuole che in quell'anno le energie rinnovabili arrivino a coprire il 20% di tutte le fonti, dall'8% o 12% attuale (a seconda di chi fa i calcoli). Se riuscisse in questo secondo obiettivo, la Germania diventerebbe il modello globale di lotta al «pianeta caldo ». E conquisterebbe un vantaggio competitivo in fatto di tecnologie del vento, del solare, delle biomasse sugli altri Paesi. Il piano — che dovrebbe essere perfezionato nelle prossime settimane — consiste in regole per l'installazione di sistemi nuovi di riscaldamento, in ulteriori collegamenti per lo sfruttamento dell'energia eolica, nella produzione di automobili a bassa emissione o elettriche oppure a idrogeno. Le nuove costruzioni dovranno poi essere a basso consumo di energia e almeno in parte alimentate da celle solari, biogas e pompe di calore. Ovviamente, il piano va anche oltre le energie alternative: ma è in questo campo dove la scommessa è probabilmente più forte. La portata delle misure è ampia.

Molti hanno fissato obiettivi di riduzione delle loro emissioni. Altri hanno trasformato le energie rinnovabili in un settore d'affari. Il gruppo Thyssen ha una società controllata che è la numero uno al mondo in tecnologie per l'energia dal vento. La Bosch spende il 40% della sua ricerca per sviluppare prodotti legati al risparmio di energia e alle tecnologie che non usano combustibili fossili. La settimana scorsa, la Solar di Berlino ha vinto un contratto per costruire sei impianti di produzione dell'energia solare in Puglia. E casi del genere di imprese tedesche che vincono contratti nelle energie rinnovabili sono sempre più frequenti in tutto il mondo.


Energia rinnovabile pulita:
Google investe milioni di dollari per una alternativa al carbone
Pierluigi Emmulo su
WebMasterPoint

energia pulita
energia pulita

Che Google fosse abbastanza sensibile alle problematiche legate al rispetto dell'ambiente si è sempre saputo. Ora Google annuncia una manovra di approvvigionamento energetico che potrebbe costituire un inizio esemplare all'impiego di fonti di energia pulite anche per moltissime altre grandi aziende.

L'obiettivo espresso è quello di realizzare 1 gigawatt di capacità di energia rinnovabile – peraltro meno costosa di quella generata dal carbone – facendo uso di fonti ecologiche, di tipo termo-solari, eoliche e geotermiche. Una svolta ecologica di grande significato.

Attualmente Google ha già in corso una collaborazione con due società californiane, una che produce energia termo-solare e l'altra attiva nel campo dell'energia eolica.

In prospettiva Google intende aprire rapporti con nuove aziende, centri di ricerca e sviluppo e università con l'idea di avanzare investimenti strategici milionari nel settore delle energie rinnovabili. Verranno dati finanziamenti cospicui al progetto “RE<C” (“Renewable Energy Cheaper than Coal”).

Il piano di lavoro dell'azienda di Mountain View è quello di concludere entro il 2008 l'assunzione di ingegneri ed esperti nel campo energetico per realizzare sistemi geotermici avanzati.

Larry Page, Presidente di Google, ha affermato che Google è interessata a «sviluppare nuove tecnologie competitive a livello di costi e rispettose dell'ambiente». E ha proseguito osservando: «Pur essendo consapevoli dell'esistenza di alcune tecnologie molto promettenti, crediamo che ce ne siano molte altre da scoprire e realizzare». Naturalmente, ha concluso, «ci aspettiamo anche che questo progetto porti a buone possibilità di business per noi».

Vedi anche:
Corriere della Sera
La Stampa


Catania, il Rembrandt sparito dal museo (13 anni fa)
Il caso L'assessore-scrittrice Silvana Grasso scova una denuncia dimenticata: non si trovano altre 50 opere
Felice Cavallaro sul
Corriere della Sera

Castello Ursino
Castello Ursino

CATANIA — La leggenda metropolitana aleggiava da tempo sui quadri di Rembrandt, Guido Reni o Giuseppe Sciuti mai visti dai catanesi perché il Comune impediva di varcare i bastioni medievali di Castello Ursino. « Si' futteru? L'arrubbaru?». Fregati? Rubati? Chiacchiere e dubbi legittimi.
Perché adesso che Silvana Grasso, l'estroversa scrittrice insediatasi da quattro mesi come nuovo assessore alla Cultura, spalanca i portoni della fortezza legata ad un pezzo di storia siciliana si scopre la mancanza di 150 opere di gran valore. Cento «prestate» a tempo indeterminato a enti, aziende, uffici. E 51 svanite nel nulla. Sparite. Compreso un Rembrandt del quale resta solo un foglietto sbiadito con una imprecisa descrizione del soggetto: «Monaco che tiene in mano una...». E forse c'è scritto «mazza». Ma la maldestra scrittura di questo inventario ingiallito imporrebbe l'intervento di un grafologo perché nemmeno con la lente di ingrandimento riesce a decodificare la Grasso, ieri mattina faccia a faccia con il questore per parlare del «furto del secolo » e decisa a telefonare stasera a Chi l'ha visto?.
«Questo è uno stupro alla cultura della città. Una razzia», tuona l'autrice di Disìo e altri romanzi di successo, premio Grinzane-Cavour, apprezzata come filologo classico, fiera di avere riaperto dopo 70 anni di oblio nel palazzo dei Viceré la Sala del Parlamento, un pezzo di storia siciliana.

Nel nuovo giallo che oggi sarà formalizzato con una denuncia alla magistratura spicca infatti un documento trovato dalla Grasso, una denuncia di appena 12 righe presentata ai carabinieri l'8 febbraio del 1995 dall'architetto Vittorio Francalanza «nella qualità di dirigente del secondo servizio Anagrafe beni mobili...». Appena 12 righe per svelare che 9 mesi prima, il 23 maggio 1994, due suoi funzionari avevano notato l'assenza di 51 opere e che egli stesso li aveva incaricati di «effettuare indagini presso tutte le sedi dove avrebbero potuto trovarsi in affidamento». Quindi, per nove mesi senza lanciare l'allarme, senza avvertire le autorità di polizia. Come poi accadde: «Poiché dette indagini hanno dato esito negativo, si denuncia la mancanza dei beni mobili».
Ma nemmeno quel verbale con l'allegata precaria descrizione delle opere suscitò attenzione.
E questo alimenta il furore dell'assessore dai capelli rosso fuoco: «Siamo davanti alla scelleratezza di una burocrazia e di una politica che hanno taciuto ».



Artisti della cronaca e della storia
A Palazzo Reale dal 22 novembre al 3 febbraio una mostra dedicata alle "Domeniche del Corriere" con tutti i colori e i racconti del Novecento         
Franco Tettamanti sul
Corriere della Sera

la Domenica del Corriere
la Domenica del Corriere - 12 luglio 1902 - il crollo del campanile di San Marco

MILANO - La straordinaria avventura comincia nel 1899. L'8 gennaio esce il primo numero: trentamila copie di tiratura, dodici pagine, al prezzo di dieci centesimi. Nel disegno di copertina, firmato da Achille Beltrame, una terribile bufera di neve che ha messo in ginocchio il Montenegro. È la prima volta della «Domenica del Corriere ». La prima uscita nelle edicole e per le strade di un periodico che si trasformerà presto in album di famiglia e abitudine e che entrerà nelle case e nel cuore degli italiani.

Il Novecento è appena dietro l'angolo. A Torino Giovanni Agnelli fonda la Fiat (nel primo stabilimento gli operai saranno trentacinque), a Milano, in una fiaschetteria in via Berchet, nasce il Milan, il chimico tedesco Dreser s'inventa l'aspirina, il mondo della pittura e dell'arte piange per la scomparsa di Giovanni Segantini, la Milano-Monza è la prima ferrovia elettrica e Giosuè Carducci è alle prese con le sue «Rime e ritmi ». A raccontare la storia, le storie, i personaggi, le scoperte della scienza, le guerre, le curiosità, le catastrofi del secolo nuovo ci penserà il giornale illustrato del «Corriere della Sera». Le mitiche imprese sportive, i trionfi e le tragedie delle famiglie reali, i poveri Cristi, i poveri Cristi in divisa e in trincea a guadagnarsi sangue, paura e medaglie, i divi e le divine dello spettacolo.

Un settimanale illustrato, voluto con tutte le forze da Eugenio Torelli Viollier, fondatore e direttore del «Corriere della Sera» e da un giovanotto, Luigi Albertini, segretario di redazione e organizzatore, di formazione anglosassone, con dentro la voglia di fare, di rinnovare e di modernizzare. La "Domenica del Corriere" è nelle copertine celebri, nelle tavole di artisti veri, nelle fotografie e nelle parole che accompagnano un secolo che ancora stenta ad uscire di scena. I fatti raccontati al grande pubblico con un disegno, una didascalia, il gusto di narrare. Il Novecento è lì nelle migliaia di pagine, nelle illustrazioni, negli articoli dei Maestri del giornalismo (basta citare Dino Buzzati?).

Ma «La Domenica del Corriere» è da subito un'altra cosa. E non si fermerà. Nel 1949 la tiratura sarà di 850.000 copie, nel 1956 si supera il milione e si arriva a quota 1.178.000. Un successo. Questione di cuore, forse. Così per decenni, prima dello strapotere della televisione, alla gente bastava dire «l'ho visto sulla Domenica del Corriere» ed era già sufficiente. Una certezza. Una garanzia. Una storia comune. Una storia a colori, posata sul divano di casa o sul comodino.


taliban
Le loro bande contendono alla Nato e all´esercito afgano tutto il sud del Paese
Una regione complicata dove non ci sono soluzioni miracolose
Guido Rampoldi su
la Repubblica


Trattare, combattere, scappare? Raddoppiare i soldati della Forza multinazionale? Puntare su una strategia politica? E innanzitutto, qual è il volto del nemico? Insomma, chi sono i taliban?
Al tempo in cui si presero l´Afghanistan, aiutati dai soldi del petrolio e soprattutto dai consiglieri militari pakistani, i taliban erano un movimento religioso costruito nelle madrasse del Pakistan. Praticavano un puritanesimo arcigno, stimato dalla popolazione come il necessario antidoto alla rapacità delle bande di mujahiddin che tiranneggiavano le città. Almeno i taliban non rubavano, non stupravano, non chiedevano pedaggi.

Nel novembre del 2006, quando presero Kabul, trovai quelle truppe allo zoo, intorno alle gabbie dove resistevano un leone semicieco e un paio di scimmie, gli unici animali sopravvissuti all´assedio. Trascorrevano i pomeriggi lì davanti, esilarati dallo spettacolo di quelle bestie inusitate che non cessavano mai di stupirli.
Dopo sei giorni di gite alle zoo i taliban tirarono fuori gli scudisci e li abbatterono sui bottegai che non abbassavano le serrande nell´ora della preghiera. Poi l´emiro emise un editto che raggelò Kabul. Infliggeva alle donne una somma di proibizioni rigidissime. Non solo lavorare, ma perfino andare a scuola diventava un crimine. Le ragazze sparirono dal panorama della capitale, ogni forma autentica di istruzione fu abrogata, e migliaia di vedove, non più in grado di sostenersi, furono costrette ad abbandonare i figli e spesso alla morte per inedia.
L´applicazione del nuovo codice era affidata ad una polizia coranica che assolveva anche compiti di polizia segreta. Quando visitai il suo quartier generale, a Kandahar, scoprii che il deposito "corpi di reato" era pieno di strumenti musicali: anche la musica era proibita.
Si sarebbe detto che quei mullah detestassero i canti, i balli, l´amore, i libri, non perché fossero proibiti dalle Scritture, ma perché trovavano intollerabile che altri provassero l´allegria e la felicità di cui essi erano stati privati – per sempre e nei modi più crudeli. In genere nessuno di loro era sopravvissuto intero alla guerra santa contro i russi. E chi non aveva perso una mano, un piede, un occhio, comunque piangeva un fratello, un figlio, un padre, un´intera famiglia. Non potendo infliggere agli afgani le sofferenze che avevano ustionato e torto le loro esistenze, i mullah avevano bandito il piacere per mezzo della moralità coatta di cui erano i lugubri custodi. Non esitavano ad ammazzare una donna a colpi di durah, le verghe sacre su cui erano incisi le parole del Corano. A flagellare per giorni un accusato con catene da bicicletta finché quello non firmasse il consenso ad essere ammazzato. A lapidare un´adultera interrata fino al collo, a schiacciarne la testa con pietre aguzze, come fosse un topo. Però mai, mai una volta, chi era sopravvissuto alle loro torture li aveva accusati del compiacimento sadico comune a tanti seviziatori. Semplicemente, erano incapaci di provare godimento. I boia più spassionati dell´Asia.
L´atteggiamento dei taliban verso gli occidentali all´inizio fu amichevole ma cominciò a virare intorno al 1998, quando ai mullah fu chiaro che malgrado le insistenze dei petrolieri Washington non avrebbero mai riconosciuto l´emirato. Allora il mullah Omar, l´emiro, cominciò a cedere alle lusinghe di un suo ospite, Osama bin Laden. Il saudita gli costruì una reggia fantasmagorica a Kandahar, ai piedi di una grande gobba di roccia nera. E gli mise a disposizione alcune migliaia di guerrieri, pellacce che si erano formate chi nel terrorismo arabo chi nella guerra di Bosnia.

Dopo la vittoria americana la fazione anti-araba ha deposto le armi e Karzai ha tentato più volte di coinvolgerla in un negoziato. Ma finora la risposta è sempre stata: soltanto se ci autorizza l´emiro.
L´emiro ha soggiornato a lungo in Pakistan, dove probabilmente si trova ancora. Sfruttando i vantaggi della retrovia pakistana – finanziamenti, ospedali, sistemazioni per le famiglie, rapporti con segmenti dei servizi segreti, uno smisurato serbatoio di guerrieri e di kamikaze da scaraventare oltreconfine – i taliban sono risorti. Oggi le loro bande contendono alla Nato e all´esercito afgano tutto il sud. Rispetto al passato sono un´altra cosa. Quello che era un movimento controllato dal Pakistan adesso appare una somma di bande che combattono con metodi diversi, per le ragioni più varie e probabilmente per vari committenti esteri. Però il grosso di quest´area guerriera oggi si considera parte della "jihad globale" lanciata da Al Qaeda. Da Al Qaeda ha mutuato anche una ferocia che ha prodotto l´assassinio sistematico di un centinaio tra presidi, maestre e scolaretti, ammazzati perché le scuole sarebbero strumento di penetrazione occidentale. Si può legittimare con un negoziato chi scanna bambini? E soprattutto, ci si può attendere dalla trattativa un qualche risultato?
Dunque cosa può fare un´Europa saggia? Poco. Come propone Prodi, può immaginare una strategia più politica: ma quella potrà essere tentata concretamente soltanto quando la situazione della regione sarà meno incerta.
Può evitare che la sommarietà dell´aviazione americana spinga la popolazione pashtun nelle braccia dei taliban: ma il Pentagono ha già cominciato a correggersi, come richiesto esplicitamente da Parisi e in seguito da comandanti britannici.
E se non vuole mandare in Afghanistan altri soldati, come suggerisce uno studio del Senlis, almeno può cominciare a dirsi la verità. Non ci sono soluzioni miracolose. Non ci sono scorciatoie. E non c´è alcuna possibilità di sottrarsi all´alternativa: o la Nato o i taliban.



170.000 posti per gli immigrati
La nostra guida al decreto flussi
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il documento. Via alle domande, ma solo via internet.
Vladimiro Polchi su
la Repubblica

badante

Parte il conto alla rovescia. Per chi vuole assumere un lavoratore extracomunitario scatta finalmente la corsa alle quote. Il decreto flussi 2007 è stato pubblicato oggi in Gazzetta ufficiale: 170mila gli immigrati ammessi in Italia, più di un terzo colf e badanti. Cosa fare ora? Nessuna fila alle poste: tutta la procedura è via computer.

Le cinque tappe della procedura on-line:
1) Registrazione: il datore di lavoro può registrarsi a partire dal 1° dicembre sul sito www.interno.it. Basta un indirizzo di posta elettronica valido e funzionante (Cinque i dati da fornire: cognome, nome, indirizzo mail, data di nascita e password di accesso).
2) Richiesta del modulo: il sistema provvede (sulla base della richiesta effettuata) a scaricare il modello elettronico da compilare.
3) Installazione del software: il datore di lavoro deve installare l'apposito software sullo stesso computer da cui invierà la domanda.
4) Compilazione: le domande d'assunzione vanno compilate con tutti i dati personali richiesti.
5) Invio dei moduli: le domande d'assunzione saranno inoltrate cliccando su INVIO al server del ministero; una mail di risposta costituirà la ricevuta.

Tre le date chiave per partecipare alla "lotteria" delle assunzioni: 15, 18 e 21 dicembre prossimi. Sono i cosiddetti "clic day".

A partire dalle 8 di mattina del 15 dicembre potranno essere inviate le domande d'assunzione relative ai lavoratori delle nazioni, che hanno sottoscritto specifici accordi di cooperazione in materia migratoria (Albania, Algeria, Bangladesh, Egitto, Filippine, Ghana, Marocco, Moldavia, Nigeria, Pakistan, Senegal, Somalia, Sri Lanka, Tunisia).

A partire dalle 8 di mattina del 18 dicembre potranno essere inoltrate le domande relative ai lavoratori domestici e di assistenza alla persona (colf e badanti), di tutte le altre nazionalità.

A partire dalle 8 di mattina del 21 dicembre scatta il turno per le domande relative a tutti i restanti lavoratori.

Qualche consiglio
Lo stesso datore di lavoro può inviare un massimo di 5 domande (per altrettanti lavoratori che vuole assumere). Deve installare il programma sul computer da cui poi invierà la domanda d'assunzione. Per avere assistenza si può affidare alle associazioni e patronati (elenco completo su www.interno.it), che hanno firmato il relativo protocollo d'intesa col ministero.

Attenzione però a quegli internet point, che promettono corsie agevolate e a pagamento. Tutta la procedura è infatti gratuita. E ancora: alla fine sarà meglio spedire la domanda in proprio. Vince infatti chi arriva primo e per formare la graduatoria finale conteranno minuti e secondi della spedizione delle pratiche. Meglio dunque affidarsi al proprio computer.


Benzina, banche, polizze e professioni
così le liberalizzazioni si sono arenate
Ma le riforme hanno funzionato su farmaci e commercio. Le tre lenzuolate di Bersani hanno toccato oltre 20 settori economici. Mutui, nella manovra ribadita la gratuità del passaggio dei contratti.
Luca Iezzi su
la Repubblica

sciopero dei taxi 1 sciopero dei taxi 2

ROMA - «Le liberalizzazioni sono come una bicicletta, sta in piedi solo se continui a pedalare tutti i giorni. Solo così riesci a parare i contraccolpi che trovi lungo la strada e soprattutto a combattere, la convinzione, sempre vincente nella testa degli italiani, che per quanto si dica che si vuol cambiare non si cambia niente» lo dice Pierluigi Bersani, autore di tre "lenzuolate" di liberalizzazioni, di cui due approvate e una terza presto all´ultima prova del Senato.
Il ministro per lo Sviluppo Economico, con la metafora della bicicletta ha ricordato come continua è anche la fatica. Ben sintetizzata anche dal fatto che mentre lui riceveva gli applausi in un convegno organizzato dall´Unione consumatori, a poche centinaia di metri i tassisti paralizzavano il centro di Roma. Segno che più che una questione di leggi o di economia è una questione culturale. Le tre lenzuolate hanno toccato oltre 20 settori economici, coinvolgendo sia i piccoli dettaglianti come panifici, parrucchieri e tassisti, sia le grandi multinazionali del credito, delle assicurazioni e delle tlc.
Le tre ondate hanno avuto effetti diversi nel tentativo di "erodere" lo scoglio delle lobbies: intuizioni azzeccate come la vendita dei farmaci da banco o l´abolizione dei costi fissi per il credito telefonico dei cellulare. Effetti misurabili da un giorno all´altro sia dal cittadino comune, sia a livello macroeconomico. L´effetto discontinuità è stato netto: l´indice dei prezzi nelle tlc è sceso del 14% rispetto all´anno scorso, i farmaci da banco, quelli che non necessitano di ricetta, sono comparsi in 1150 negozi in più di cui l´80% parafarmacie e il 20% nella grande distribuzione.

Non ovunque c´è stato l´atteso terremoto: sono aumentati parrucchieri e panettieri (+5mila nel corso del 2007), ma su benzina, banche e assicurazione gli effetti sono modesti. Le leggi sulla liberalizzazione della vendita dei carburanti c´erano già da anni e avrebbero dovuto realizzate i seguenti effetti: meno distributori, con aree di servizio più grandi e orari più ampi, vendita di prodotti "non oil" a sostenere le entrate e soprattutto reti di vendita alternative quelle dei società petrolifere. Poco di tutto questo si è avverato e l´ultima liberalizzazione, contenuta nella terza lenzuolata potrebbe lasciare alle regioni il potere regolatorio decisivo. Così nel tentativo di contenere i prezzi del carburante ha pesato più la "moral suasion" del ministero verso l´Eni e le altre compagnie che non il meccanismo di mercato.
Un vero percorso ad ostacoli è stato il rapporto con le banche e il miglior segnale di "resistenza" ai cambiamenti lo offrono i bilanci degli istituti che hanno disatteso le previsioni fosche di calo degli utili a causa del crollo di molte commissioni, come quella sul massimo scoperto o sulla chiusura conto. La "portabilità" dei mutui, cioè la possibilità di rinegoziare a tassi migliori con un altro istituto, è ancora inapplicabile. Abi, associazioni dei consumatori e Antitrust stanno definendo le procedure, ma nel frattempo i tassi e le rate salgono.



LA FOTO NAVIGABILE
Nasa, nascita di una stella
le immagini del telescopio Spitzer
su
la Repubblica


   2 dicembre 2007