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La settimana sulla stampa
a cura di Fr.I. - 25 ottobre 2009


Stelle
Jena su
La Stampa

berlu su fb

Il consenso di Berlusconi è alle stelle, solo dodicimila italiani lo vorrebbero uccidere.


Alle primarie il pugno del partito che non c´è
Eugenio Scalfari su
la Repubblica del 18 ottobre 2009

OGGI ci occuperemo del Partito democratico. Finora in questi articoli domenicali il tema è stato volutamente trascurato, ma ora è diventato di stringente attualità: domenica prossima, 25 ottobre, ci saranno le primarie che decideranno chi sarà il segretario nazionale del Pd, un evento importante non solo per quel partito ma per l´intera opposizione e anche per il sano funzionamento della democrazia italiana.
Il tema è complesso, perciò bisognerà esaminarlo nei suoi vari aspetti. Comincerò da Veltroni, insediato alla segreteria nell´autunno del 2007, pochi mesi prima delle elezioni che portarono alla vittoria di Berlusconi.
L´altro ieri in un «talk show» dell´emittente La7 qualcuno dei presenti in studio ha detto che Veltroni e D´Alema non soltanto sono politicamente irresponsabili, ma anche «due cretini». Proprio così: cretini.
C´è sempre una prima volta e questa è infatti la prima volta che un epiteto del genere è stato affibbiato ad un uomo politico. Non era mai stato usato. Se ne dicono tante sui politici, anche più sanguinose di questa, ma cretino non si era mai sentito in un salotto televisivo. Ma ormai gran parte dei salotti televisivi sono diventati dei «saloon» dove tutti i clienti portano le pistole nella fondina e il coltello nascosto nel risvolto degli stivali. Così va il mondo.
Nella campagna elettorale del 2008 il partito di Forza Italia arrivò al 37,5 per cento; il Pd guidato da Veltroni ottenne il 33,5 e tutti, fuori e dentro di esso, decretarono una solenne sconfitta. Invece non era stata una sconfitta: una formazione politica riformista con alle spalle pochi mesi di vita era arrivata a superare i risultati del Pci che, dalla segreteria di Natta in poi, non era mai riuscito ad andare oltre il 30 per cento. Senza dire che i riformisti italiani di ispirazione liberal-socialista in cent´anni di storia prima monarchica e poi repubblicana non sono mai usciti da un ruolo di pura testimonianza.
Non era dunque una sconfitta ma un punto di partenza più che rispettabile. Non fu vissuta così e questo è stato un grosso errore del quale non fu responsabile quel cretino di Veltroni.
Oggi i sondaggi sulle intenzioni di voto danno il Pd al 30 per cento. Non è molto ma è qualcosa se si pensa che un mese fa la più antica socialdemocrazia europea, l´Spd tedesca, ha ottenuto meno del 23 per cento; i socialisti francesi sono a pezzi; il Labour inglese è in piena tempesta e neanche Zapatero se la passa molto bene. Sembra un paradosso, ma un partito del quale tutti dicono che non esiste più o che è allo sbando, risulta quantitativamente il più forte della sinistra europea. Non è certo consolante per i rapporti di forza nel Parlamento di Strasburgo, ma è un dato di fatto dal quale dobbiamo partire.
* * *
Un altro dato di fatto ancora più significativo emerge dalla votazione di pochi giorni fa per il congresso del Pd. Sulla base dello statuto di quel partito hanno votato i soli iscritti che rivoteranno insieme agli elettori alle primarie del 25 ottobre. I votanti sono stati 450.000 pari al 60 per cento degli iscritti. Mi domando quali sono stati i congressi di grandi partiti in Italia negli ultimi dieci anni e quale di essi - se ce ne sono stati - è riuscito a mandare poco meno di mezzo milione di persone al voto. 
Un partito che non esiste? Un partito di sfiduciati, di ipercritici, di indifferenti, senza dibattito interno, senza passione, senza speranze, come viene descritto da giornaloni e da giornaletti? Lascio ai lettori la risposta.
È vero però che lo statuto è molto contraddittorio e inutilmente complicato. Chi l´ha redatto e chi lo ha approvato voleva evidentemente accontentare tutti con l´inevitabile conseguenza d´aver prodotto una procedura inadeguata e confusa. Alcuni volevano sottolineare che gli iscritti debbono contare decisamente di più dei simpatizzanti; di qui una prima fase riservata al voto degli iscritti. Una fase tuttavia puramente registrativa poiché la decisione è riservata alle primarie dove iscritti ed elettori voteranno insieme. Pierluigi Bersani è risultato in testa nel voto degli iscritti ma ora è di nuovo in gioco nel voto delle primarie. Che senso ha una procedura così sconclusionata? Credo che, una volta conclusasi questa partita, i nuovi organismi dirigenti che usciranno dal voto delle primarie dovranno rimetterci le mani e renderla più adeguata alle esigenze della chiarezza e della logica. 
Come se non bastasse, lo statuto ha anche stabilito che le primarie eleggeranno il segretario soltanto se uno dei tre candidati in lizza otterrà il 50 più uno dei voti espressi. Qualora ciò non avvenisse avrà luogo una terza fase dinanzi all´Assemblea nazionale eletta anch´essa il 25 ottobre. In questa terza fase i candidati rimasti in lizza saranno i primi due votati alle primarie. Il terzo sarà escluso dalla gara ma in realtà sarà il più forte dei tre perché i suoi rappresentanti nell´Assemblea, appoggiando uno dei due candidati in lizza, lo porteranno alla vittoria, naturalmente ponendo le loro condizioni di programma e di potere.
Le regole sono queste e vanno rispettate, ma sono a dir poco scriteriate perché di fatto danno il massimo potere al terzo arrivato. La conseguenza sarebbe quella di produrre un sentimento di frustrazione in tutti gli elettori delle primarie che vedrebbero capovolte le loro indicazioni.
Per evitare un cul di sacco così traumatico ho avanzato giorni fa una proposta. Io non sono un iscritto al Pd e mai mi iscriverò perché faccio un altro mestiere incompatibile con una tessera di partito. Ma parteciperò alle primarie perché sono un elettore e voterò per quel partito. Ho dunque proposto un accordo politico tra i tre candidati: si impegnino anticipatamente e pubblicamente, se nessuno di loro raggiungerà la maggioranza assoluta, a far affluire i propri voti in assemblea su quello dei candidati che ha ottenuto alle primarie la maggioranza relativa. In tal caso il voto delle primarie sarà rispettato, le regole dello statuto anche e - altro risultato non disprezzabile - il segretario nazionale sarà eletto dall´Assemblea all´unanimità. La mia proposta, forse proprio perché veniva da persona esterna al partito, ha avuto successo: l´impegno è stato preso sia da Bersani che da Franceschini. Esso darà maggior sicurezza e maggiore impulso a tutti quelli che si dispongono a votare il 25 ottobre. 
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Fin qui abbiamo trattato questioni di procedura. Importanti, perché senza procedure corrette non si ottengono risultati corretti. Ma ora dobbiamo esaminare il merito, cioè le proposte dei vari candidati, quelle che li uniscono e quelle che li dividono. Chi voterà alle primarie lo farà sulle proposte e sulla loro credibilità.
A me non pare che ci siano differenze per quanto riguarda la struttura del partito. Per lungo tempo si è discusso tra un partito cosiddetto liquido, cioè affidato soltanto ai simpatizzanti e quindi alla pubblica opinione, oppure un partito strutturalmente insediato sul territorio.
Questa questione mi sembra ormai superata. L´accordo è generale sul fatto che il partito deve essere presente e vivace sul territorio con larghe autonomie della struttura locale, ma entro linee-guida valide per tutti ed elaborate dagli organi centrali. Del resto questa disputa è già stata superata dai fatti: i 450.000 iscritti che sono andati a votare e che ci torneranno per le primarie sono la più evidente dimostrazione che le strutture sul territorio ci sono già; potranno essere utilmente rafforzate e dotate di adeguate funzioni, ma esistono e operano. Non era facile metterle in piedi in così breve tempo. Questo piccolo miracolo è stato compiuto e va riconosciuto a tutti quelli che l´hanno reso possibile.
Sgombrato il campo da questa questione ne restano altre di grande importanza che sono le seguenti: il rapporto tra l´opposizione e la maggioranza berlusconiana e leghista; il rapporto con le altre opposizioni, cioè la politica delle alleanze; il tema della laicità dello Stato; il tema dell´immigrazione e dell´integrazione; la politica economica; la politica della giustizia; la politica della scuola. Infine - ma soprattutto - il tema della libertà di stampa e quello dei grandi valori dai quali nasce la visione del paese e della società che vedremo nel futuro dell´Italia e dell´Europa di cui siamo parte integrante.
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Si tratta d´una massa di problemi che dovranno essere risolti non solo dal Pd ma da un´elaborazione culturale cui debbono collaborare fondazioni, circoli, associazioni che condividano i valori e creino le condizioni culturali per farli crescere nella società. Un partito democratico deve aiutare questa evoluzione affinché il lavoro di semina e di raccolta sia ampio e proficuo. Veltroni - quel cretino a cui abbiamo già accennato - sostiene che è importante vincere ma ancor più importante è cambiare l´Italia risvegliandola dall´ipnosi in cui una parte del paese è caduta e ricondurla a riflettere e operare pensando al futuro e non accucciandosi su un presente precario e appiattito. Personalmente condivido.
Sulla politica economica mi sembra che l´accordo sia generale: nell´immediato occorre riversare le risorse disponibili sui lavoratori dipendenti e sulle piccole e piccolissime imprese e partite Iva. Sul medio periodo è necessaria una grande riforma fiscale e un allungamento dell´età di lavoro che tenga conto dell´allungamento della vita.
C´è accordo generale sul clima e sulle energie alternative e pulite. C´è accordo generale sulla riforma della giustizia, della sicurezza e dell´integrazione. La scuola è un campo da studiare. Esiste già un´ampia ricerca in materia ma ancora non è stata messa in discussione e bisognerà che si faccia al più presto.
Anche sulla laicità e sulle politiche della bioetica l´accordo sembra esserci almeno su un punto fondamentale: la Chiesa ha diritto di usare lo spazio pubblico per esporre le sue ragioni. Non ha invece diritto d´imporre il suo punto di vista nella politica, dove le prerogative dello Stato e del Parlamento sono esclusive e dato anche che i parlamentari cattolici hanno rivendicato la loro autonomia. Penso al cattolico adulto Romano Prodi e penso anche al documento che Franceschini diffuse anni fa raccogliendo su di esso sessanta firme di parlamentari cattolici che rivendicavano la loro autonomia rispetto alle gerarchie ecclesiastiche in materia di decisioni politiche e parlamentari.
C´è qualche dissenso sulla politica delle alleanze, ma francamente mi sembra più di parole che di sostanza. Se il Pd sarà forte le alleanze si faranno intorno a lui; se sarà debole non potrà svolgere la funzione di pilastro centrale delle opposizioni e non potrà raccogliere nuovi consensi sia a sinistra sia al centro. Penso che nessuno dei candidati preferisca un partito debole ad uno robusto e audace.
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Una parola conclusiva sui valori, che include anche il rapporto con il berlusconismo. 
I valori d´un partito democratico non possono che esser quelli della libertà, dell´eguaglianza e della solidarietà. L´esperienza storica di oltre due secoli ci ha ampiamente insegnato che la libertà senza eguaglianza è fonte di privilegi intollerabili; l´eguaglianza senza libertà è fonte di dittature e totalitarismi; la solidarietà senza gli altri due diventa assistenzialismo ed elemosina. La democrazia che scaturisce da questi valori è quella descritta e tradotta in norme e in giurisprudenza dalla nostra Costituzione.
La Costituzione può essere rivista e modernizzata, ma non può essere cambiata. Lo impediscono l´articolo 1, l´articolo 3, l´articolo 138 e l´articolo 139. Berlusconi non vuole rivedere la Costituzione, vuole cambiarla. Vuole sostituire la democrazia parlamentare e lo Stato di diritto con una democrazia autoritaria senza organi di controllo e di garanzia ma interamente basata su sistemi di voto plebiscitari. L´intimidazione dei "media" è un elemento indispensabile di questa strategia che ha come obiettivo finale un´immagine del paese riflessa da uno specchio taroccato al servizio del potere.
Si tratta di concezioni antitetiche a quelle d´un partito democratico e questo è un dato preliminare che non consente né mollezza né scorciatoie di furbizia compromissoria.
Da questo punto di vista noi ci auguriamo che alle primarie del 25 ottobre vada una massa di popolo consapevole del suo ruolo e della sua responsabilità. Non centinaia di migliaia ma milioni di elettori. Perfino quelli che non condividono le tesi riformiste del Pd ma non si rassegnano all´Italia così com´è: votino magari scheda bianca ma vadano. Quei seggi del 25 ottobre saranno anche una prova di forza di tutta l´opposizione e un buon principio per un paese risvegliato.


Governo al bivio senza via d'uscita
Massimo Giannini su
la Repubblica

Silvio Berlusconi ha inventato una "tormenta di neve", per giustificare il suo mancato rientro da Mosca ed evitare la resa dei conti con il suo ministro dell'Economia. Giulio Tremonti ha evocato una "coltre di nebbia", per descrivere la condizione di confusione politica in cui versa il suo presidente del Consiglio. Che sia neve, o che sia nebbia, questo governo naviga a vista. Ed è una tragedia per il Paese, solo un anno e mezzo dopo il trionfo elettorale del 13 aprile 2008. 

Il nuovo "caso Tremonti" riprecipita l'Italia nello stesso psicodramma del 2004. Secondo governo Berlusconi. Anche allora, di fronte a una crisi assai meno grave, c'era una parte di centrodestra che reclamava "una gestione collegiale della politica economica", e soprattutto "una significativa inversione di rotta dell'azione dell'esecutivo". Anche allora, di fronte alle grida uguali e contrarie dei ceti deboli e delle categorie produttive, c'era un pezzo di maggioranza che invocava allo stesso tempo "tagli all'Irpef per le famiglie" e "sgravi Irap per le imprese". Cinque anni fa a stringere nella tenaglia il ministro dell'Economia (e a picconare l'asse di ferro Berlusconi-Bossi) erano gli alleati minori del cosiddetto "sub-governo", Fini e Follini. La fine della storia è nota: dopo tre mesi di un'estenuante lotta di potere, Tremonti gettò la spugna e si dimise, lasciando la poltrona a Domenico Siniscalco. 

Oggi sono cambiati alcuni protagonisti, ma il senso degli avvenimenti è lo stesso. C'è un governo che, a parte i rifiuti a Napoli e l'avvio della ricostruzione a L'Aquila, giace inerte di fronte alla più grave recessione del dopoguerra. Un governo che non ha fatto nulla per le famiglie, e quasi nulla per le imprese. In questi venti mesi di galleggiamento, ci ha raccontato un alibi e una favola. Il primo: non possiamo far molto, il rigore dei conti pubblici ci impedisce grandi manovre. La seconda: reagiamo meglio alla crisi, e ne usciremo più forti di altri. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Non abbiamo risanato i conti (il deficit viaggia a quota 5%, il debito oltre quota 115% del Pil). Il nostro tasso di crescita è sotto zero, di gran lunga uno dei peggiori d'Europa. 

Tremonti, per ragioni di equilibrio contabile ma anche politico, si è limitato al "surplace". Ai colleghi di governo non ha concesso quasi nulla, fermando l'assalto alla diligenza dei ministri di spesa. Ma non ha concesso quasi nulla ai cittadini contribuenti, riducendo al minimo il sostegno all'economia. Spiccioli ai poveri (social card). Mancette ai disoccupati (cassa integrazione in deroga). Così non si va lontano. L'economia reale agonizza. Il consenso sociale si vaporizza. L'ha capito Berlusconi, e l'ha capito anche il resto della coalizione. Serve una svolta. Il premier, sempre più ammaccato sul piano personale e delegittimato sul piano internazionale, sa che solo così questo governo può sopravvivere a se stesso. Ha di fronte a lui una doppia opportunità. Ci sono le elezioni regionali di primavera, che nelle condizioni date valgono come elezioni politiche per il Paese, e come referendum ad personam per il Cavaliere. C'è un nuovo "tesoretto" da spartire, che arriverà sotto forma di introiti dello scudo fiscale: 5 miliardi, forse di più. 

L'assedio a Tremonti nasce da qui. Per quanto riguarda il palazzo, da qui nascono i documenti della Pdl, autentici o apocrifi che siano, in cui si parla di "scelte fin qui fatte insufficienti" e si invoca (come nel 2004) un abbattimento delle aliquote Irpef e della tassazione sulle imprese. Da qui nasce la contro-manovra dell'economista ex An Mario Baldassarri, che giudica quella tremontiana "una politica inerziale", che produce una "ripresa lenta", un recupero di crescita del Pil solo nel 2016 e un ritorno ai consumi del 2007 solo nel 2012. Per quanto riguarda il Paese, da qui nascono le pressioni di Confindustria, il malessere del Profondo Nord, la Vandea delle "partite Iva senza rappresentanza", la riemersione carsica della "Questione Settentrionale" che, per essere risolta, chiede non solo di essere riconosciuta come tale, ma anche di essere "risarcita" sul fronte fiscale. 
Istanze giuste. Richieste legittime. Ma qui si annida, oggi, il pericolo più grande. Berlusconi e i nemici di Tremonti dentro il governo fanno due più due: ci sono le elezioni, c'è un tesoretto. Quale occasione migliore per un po' di "panem et circenes"? E dunque, via con le sparate demagogiche. Aboliamo l'Irap. Torniamo a due aliquote secche di Irpef. La prima ipotesi costa 37 miliardi. La seconda ne costa 85. Il ministro dell'Economia sarà pure troppo avaro, ma questi ordini di grandezza sarebbero proibitivi anche per le finanze pubbliche di Barack Obama. Figuriamoci per quelle della povera Italia. Tremonti resiste, per questo. Ma non solo per questo. 

C'è un palese risvolto politico, in questa faida interna al centrodestra. Il ministro dell'Economia ragiona ormai su uno scenario post-berlusconiano, e si tiene pronto per una partita di potere che, dall'oggi al domani, potrebbe riaprirsi a un pezzo di Pdl dissidente, al Pd, all'Udc. Solo così si spiega la sua metamorfosi iper-statalista e il suo radicalismo neo-marxista. Ma in questa traversata in mare aperto si è bruciato tanti, forse troppi vascelli alle spalle. In molti, oggi, chiedono la sua testa (come nel 2004). Nel governo non ha più sponde. Persino Fini ha preso le distanze. Ma gli resta la Lega: "Noi lo difendiamo", annuncia Bossi. Questo conta: il Senatur conserva tuttora la "golden share" di questa maggioranza. Ecco perché Tremonti, un giorno si e l'altro pure, può difendersi minacciando sistematicamente le dimissioni. Ma quanto può durare, questo tira e molla? E un governo come questo può permettersi il lusso di perdere il superministro dell'Economia, senza perdere se stesso in Italia e senza perdere la faccia in Europa? 



La polizia italiana indaga su un naufragio “tossico”
Guy Dinmore ed Eleonora de Sabata su
Financial Times del 21 ottobre

la documentazione del Financial Times
la documentazione del Financial Times

Martedì ha avuto inizio una spedizione al largo delle coste italiane per indagare su quanto gli investigatori anti-mafia sospettano da tempo e cioè un complotto fra criminalità organizzata, industriali e agenzie governative per scaricare materiali di scarto nucleari e altri rifiuti tossici nel Mediterraneo e al largo dell'Africa.

Una nave italiana per il sondaggio marino, sotto la protezione della polizia, ha iniziato i test 12 miglia al largo della costa della Calabria, sul relitto di una nave da carico, 500 metri sotto. 

Secondo Francesco Fonti, un pentito di mafia, la nave, che trasportava 120 barili di rifiuti tossici  - in gran parte radioattivi, è stata affondata nel 1992. La nave, individuata da Fonti come la Cunski, è una delle tre  che trasportavano carichi tossici, Fonti sostiene che si trattava di un servizio offerto dalla 'ndrangheta, la mafia calabrese.

Da oltre due decenni, i pubblici ministeri italiani hanno indagato su più di 30 naufragi sospetti in acque profonde. Essi sospettano che industriali italiani e stranieri abbiano agito in combutta con la mafia, e forse anche con agenzie governative, per usare il Mediterraneo come una discarica. Navi che portavano merci sospette affondate con tempo buono, senza che venisse inviata alcuna richiesta di soccorso oppure equipaggi svaniti nel nulla. Fino ad ora nessuno era stato localizzato. 
Pescatori e leader politici in Calabria, allarmati per il possibile disastro ambientale, stanno protestando. Sindaci della zona avranno un incontro a Roma il prossimo martedì per sollecitare il governo ad agire rapidamente. Anche Bruxelles ha fatto sentire la sua voce. Una lettera inviata il mese scorso da Stavros Dimas, commissario europeo all'ambiente, chiedendo chiarimenti dall'Italia, è rimasta finora senza risposta.

La scoperta di rifiuti nucleari sul Cunski o su altre navi sarebbe uno sgradevole episodio per il governo di centro-destra di Silvio Berlusconi che sta rilanciando l'industria italiana dell'energia atomica, dopo una moratoria di 22 anni.

Attualmente la nave di monitoraggio marino Mare Oceano farà una mappatura della esatta posizione della nave con i suoi sonar e misurerà il grado di radioattività prima di tentare di recuperare i barili. Un altro battello della Guardia costiera italiana è alla ricerca di un'altra nave naufragata che Fonti afferma esser stata affondata con rifiuti tossici a bordo davanti al porto di Livorno.

Il coinvolgimento della Mafia nello smaltimento a terra di rifiuti tossici per conto di industrie ed enti locali è ben documentato.
I pentiti di mafia situano al 2005 lo sviluppo dello smaltimento in mare ma il progresso nel contrasto del fenomeno è stato lento. Soltanto lo scorso mese una spedizione ha localizzato, secondo le indicazioni di Fonti, quello che sembra essere il relitto del Cunski.

Nel corso degli anni, i magistrati sono stati agevolati dalle liste di affondamenti sospetti fornite dai Lloyd's di Londra, in connessione con i crediti di assicurazione sospette, nonché dalle persistenti e approfondite denunce delle associazioni ambientaliste. 

Francesco Neri, un procuratore calabrese, che iniziò a indagare sul mistero delle “navi del veleno" negli anni '90 afferma che Fonti ha semplicemente confermato i suoi sospetti.
“E' come indagare su un omicidio senza avere il cadavere”, afferma, riferendosi al fallimento nell'individuare le navi disperse, a cominciare dal Rigel che un tribunale ha sancito che fu affondato nel 1987. Neri ricorda gli anni di scavi, le minacce, la mancanza di finanziamenti e la strana morte del suo investigatore principale - uno dei numerosi decessi, ha detto, da collegare alla vicenda.
Nel dicembre 1995 l'investigatore Natale De Grazia, un giovane capitano di vascello della Guardia costiera, morì improvvisamente durante una missione nel porto di La Spezia. Attacco di cuore fu la causa ufficiale del decesso ma i colleghi sospettano che sia stato avvelenato.

A seguito dell'apparente ritrovamento del Cunski, una nuova inchiesta è stata avviata dalla sezione calabrese della direzione antimafia. (La esatta identità della nave non è del tutto chiara – qualche contestata fotografia mostra una nave di nome Cunski, demolita anni dopo.)
L'attenzione è stata focalizzata anche sul caso della nave Rosso che si è arenata vicino Amantea in Calabria nel 1990, dopo quello che, secondo gli inquirenti, è stato un maldestro tentativo di affondamento. Il suo carico è stato poi rimosso e smaltito a terra. Anni dopo, i medici hanno riscontrato nella zona un'alta incidenza di tumori .
Sostanze tossiche e tracce di cesio 137 radioattivo furono trovate in una cava utilizzata come discarica abusiva. I magistrati inquirenti sospettano un collegamento con la nave Rosso.

Massimo Scalia, professore di fisica all'università di Roma La Sapienza, consulente di una commissione parlamentare sugli scarichi illegali negli anni '90, pensa che gli oceani siano una naturale estensione per la mafia.
“Sono sicuro che l'affondamento di queste navi è servito per lo smaltimento di rifiuti tossici e radioattivi” ha detto "ma finora non è che una teoria - una teoria in cui credo fermamente, ma di cui non posso trovare la prova. In tutti questi anni ho chiesto: cerchiamo di trovare una nave e vedere che cosa contiene."
La commissione e gli inquirenti hanno richiesto ripetutamente ulteriori fondi governativi, ma le precedenti inchieste furono fermate.

Le affermazioni di Fonti sul coinvolgimento di servizi italiani e stranieri e di agenti governativi nel traffico di sostanze tossiche e radioattive hanno alimentato il sospetto che qualche istituzione possa non volere che si faccia luce su cosa giaccia in fondo al mare.
Investigatori e parlamentari hanno sollevato questioni preoccupanti circa la fonte del materiale nucleare e e su chi abbia ne ordinato lo smaltimento. 

Nel 2005 Fonti ha raccontato a L'Espresso che la Cunski trasportava rifiuti radioattivi provenienti dalla Norvegia. Altre navi, ha detto, sono state anche affondate al largo di Kenya, Somalia e Africa occidentale. Egli ha anche parlato dello smaltimento dei rifiuti per conto di aziende chimiche e farmaceutiche italiane, tedesche, svizzere e russe. 
Autorità italiane hanno smentito la sua affermazione di avere smaltito di 40 camion carichi di materiale a lui consegnati presso l'impianto di Rotondella gestito dall'Enea, l'autorità nucleare in Italia.

Quattro anni fa, Nicola Maria Pace, un pubblico ministero, ha riferito ai parlamentari di tre incidenti che avevano interessato i rifiuti nucleari immagazzinati a Rotondella, l'ultimo nel 1994. Ha parlato di “sottomissione totale” dell'Italia al controllo degli Stati Uniti sui materiali nucleari a Rotondella dal 1954 agli anni '70, e come a Rotondella erano stati addestrati scienziati iracheni ad utilizzare i reattori ìtaliani Cirene, che l'Iraq aveva cercato di acquistare negli anni '80.
Nel 2007, otto ex alti funzionari Enea sono stati messi sotto inchiesta relativamente alla movimentazione di materiale nucleare. I media italiani hanno riferito che il caso è stato recentemente archiviato. 

Più in generale, è difficile valutare la misura in cui è coinvolta una mano straniera. Diverse sessioni della Commissione parlamentare per i rifiuti si sono svolte a porte chiuse, per motivi di segretezza. Le sue conclusioni pubbliche hanno preso atto di "interferenze e minacce" contro gli investigatori, e sono state critiche sulla gestione di Enea delle scorie nucleari.

NDR
Immediatamente dopo la pubblicazione di questo articolo su Financial Times (l'intera pagina 8 con “strillo” in prima) al collaboratore di giustizia Francesco Fonti è stato imposto dalla Commissione vigilanza del tribunale di Mantova, dove vive, Il divieto di qualsiasi contatto anche con il suo legale. Il Tribunale ha autorizzato solo i colloqui con i familiari e con i medici. Anche l'audizione davanti alla Commissione bicamerale dovra' ricevere il via libera dai giudici.


Navi dei veleni la Calabria reagisce
Andrea Palladino su
il Manifesto

Amantea

È un punto di svolta la manifestazione di ieri ad Amantea. Un segno evidente, fisico della rottura che sta avvenendo tra la popolazione e chi ha mantenuto il silenzio velenoso per diciotto anni. La questione, in fondo, è semplice: chi ha intossicato le terre e il mare della Calabria oggi non può più garantire la protezione economica, l'ombrello di salvataggio che solo il silenzio riusciva a lasciare aperto. I pescatori di Cetraro stanno pagando in prima persona uno per uno tutti i bidoni pieni di scorie tossiche e radioattive abbandonati sul fondo del mare, davanti agli stabilimenti balneari che qui sono la vera ricchezza e il pane quotidiano per migliaia di persone.
Sono dunque sfilati in tanti ieri ad Amantea. Erano oltre trentacinquemila le persone che hanno percorso circa un chilometro e mezzo, dal lungo mare fino alla piazza centrale. Calabresi arrivati anche dall'interno, dove l'agricoltura deve combattere con le cosche criminali che ancora oggi sversano tonnellate di rifiuti, nascosti nelle grotte o gettati nel fiume. «La Calabria deve liberarsi dalla cultura degli amici degli amici - spiega con forza l'assessore regionale all'ambiente Silvio Greco - un sistema che ci ha lasciato oggi una terra con 480 discariche». E il senso della manifestazione appare ancora più chiaro, quando davanti al mare, grigio e agitato, i sindaci si stringono intorno alla vedova di Natale De Grazia. Era un capitano di vascello, in servizio presso la Capitaneria di porto di Reggio Calabria ed aveva un fiuto investigativo straordinario. Tra il 1994 e il 1995 si era messo alla caccia dei vascelli usati per il traffico di rifiuti tossici, studiano il dossier delle tante navi affondate in circostanze mai chiarite nel Mediterraneo. Ieri il via alla manifestazione che chiede a distanza di anni verità e giustizia per la Calabria è venuto dalla cerimonia di intitolazione del lungomare di Amantea al suo nome. È quasi un momento intimo, dove i ragazzi del comitato De Grazia di Amantea - che in soli venti giorni hanno organizzato la manifestazione - hanno letteralmente circondato la vedova del capitano di vascello, mentre veniva scoperta la sua foto in uniforme. «Ricordo che tra il 1991 e il 1992 - racconta la vedova De Grazia - mio marito aveva insistito per venire in Calabria, per fare qualcosa per la sua terra». Ora di lui rimane il ricordo vivissimo sulla costa della Calabria, e un'indagine mai portata a termine. Ed è proprio dalla rabbia per la sua morte che riparte la ricerca della verità.
Mentre la testa del corteo - differente da quelli romani, con i politici di fatto invisibili - inizia a percorrere il corso Regina Margherita, gli autobus partiti dalle altre città calabresi si allineano sulla strada statale che porta verso Lamezia Terme. Sono scuole, associazioni, gruppi di amici, professori universitari, circoli ambientalisti. Parlano delle navi trovate, ma anche del patrimonio culturale e archeologico, di piccole chiese sconosciute e dei resti della cultura della Magna Grecia. C'è la forza travolgente dei liceali, quelle stesse facce che sfilarono contro la 'ndrangheta e che diedero vita al movimento "Ammazzateci tutti". Sono qui per dare coraggio, per far capire alla città di Amantea che non si troverà sola. Se il governo dopo quarantatre giorni ancora non dice con chiarezza quello che farà per mettere in sicurezza il mare di Cetraro, gli abitanti hanno già scelto, hanno già fatto sapere che, in ogni caso, hanno tutta l'intenzione di andare fino in fondo.
«A gennaio, quando inizieranno a non arrivare più le prenotazioni per gli alberghi tutti capiranno quello che è successo», commenta un ragazzo nato qui e, come tanti, emigrato verso il Nord. «Se non verranno segnali chiari e forti - continua - e se il governo non presenterà una soluzione definitiva per il relitto, qui sarà il tracollo dell'intera economia». Le persone guardano dunque il corteo sapendo che la loro speranza verrà da quel piccolo comitato di Amantea, che dal 2003 chiede la verità sull'intera vicenda della navi dei veleni. Il vero problema è quella cappa di silenzio che dal 14 dicembre 1990 - quando si spiaggiò la Jolly Rosso - ha garantito l'assoluta impunità per chi nascose quel materiale radioattivo, oggi ritrovato dalla Procura di Paola lungo il corso del fiume Oliva. «Diciamolo chiaramente - spiega il giovane di Amantea - per poter nascondere nelle zone del fiume i rifiuti tossici hanno avuto bisogno dell'appoggio dei gruppi criminali locali. Chi poteva, altrimenti, garantire che nessuno parlasse per così tanto tempo?».
Il Pdl il giorno prima della manifestazione si è prima dissociato, per poi passare direttamente all'attacco. Il ministro Prestigiacomo - che il sette ottobre in parlamento aveva annunciato la partenza di una nave poi sparita nel nulla - ha accusato i manifestanti di «irresponsabile speculazione». La colpa del crollo dell'economia sulla costa tirrenica della Calabria - per il ministro - non dipende dalle organizzazioni criminali che hanno per decenni gettato ogni tipo di rifiuto, ma da chi oggi sta denunciando e chiedendo subito un intervento per mettere in sicurezza le zone contaminate. La risposta del governo, d'altra parte, parla da sola. Prima hanno mandato una nave, l'Astrea, senza le strumentazioni idonee. Poi hanno annunciato l'intervento fantasma di altre navi, senza fornire nessun dettaglio. Mentre saliva il pressing della stampa e di parte del parlamento, hanno inviato di nuovo l'Astrea, che è rimasta ferma a Maratea «in attesa di istruzioni». Quando poi la situazione è divenuta insostenibile, il ministero dell'ambiente ha fatto intervenire la "Oceano Mare", senza, però, rendere noto il protocollo di intervento. Una nave che ha chiuso poi le porte ai giornalisti - su disposizione della Dda - e che darà i risultati solo al Ministero e alla Procura. 
«Per il sito sul fiume Oliva - ha spiegato ieri l'assessore Greco - la Procura di Paola ha predisposto un programma d'intervento chiaro e trasparente, chiedendo che sui campioni prelevati vengano realizzate analisi in laboratori della Procura, del Ministero dell'Ambiente e della Regione Calabria. Perché non viene fatto lo stesso sul lato mare?». Una delle tante domande che giravano ieri, soprattutto tra chi di mare vive. E mai come ora la sopravvivenza di una regione dipende dalla verità e della giustizia.


Regole condivise per affrontare i talebani 
Dopo le accuse del «Times» 
Lorenzo Cremonesi sul
Corriere della Sera del 16 ottobre 2009

Taliban

Le rivelazioni del Times di Londra, riportare ieri dal Corriere della Sera , secondo le quali il governo italiano avrebbe pagato i talebani, sono diventate un caso internazionale. 
Secondo quelle rivelazioni, il governo italiano avrebbe pagato i talebani per evitare perdite al proprio contingente senza avvertire i francesi al momento dell'avvicendamento nelle vallate di Sarobi. Il ministro La Russa ha definito la notizia «spazzatura» e il governo ha querelato la testata britannica. Smentite sono giunte anche da fonti francesi. Tuttavia la possibilità che i servizi segreti italiani abbiano trattato e trattino con i comandanti talebani per proteggere i nostri soldati rientra nelle dinamiche afghane. E va notato che le grandi scelte che guidano la presenza italiana nella regione precedono l'attuale governo. Nel caso afghano, sia in quello iracheno, Roma ha ripetutamente indicato a Washington e agli altri alleati della Nato che avrebbe fatto di tutto per limitare le proprie vittime e sarebbe stata anche pronta a pagare i riscatti per liberare i connazionali eventualmente presi in ostaggio. In caso contrario, la crescita di un'opinione pubblica critica verso le missioni militari all'estero avrebbe potuto condurre al rischio di ritiro.

Bisogna notare che — con l'eccezione de gli americani e di pochi altri tra i 42 Paesi che compongono le forze Nato-Isaf — è quasi normale da parte dei comandi locali dei diversi contingenti cercare accordi separati con gli insorgenti. Il prezzo da pagare può essere di natura diversa: somme di denaro versate in modo regolare oppure ad hoc per risolvere problemi particolari; donazioni umanitarie consegnate a canali privilegiati; la costruzione di una strada o un ospedale; intese segrete per non effettuare perquisizioni in una determinata zona; una linea morbi da nella politica della distruzione delle piantagioni di oppio; la liberazione (o la non cattura) di prigionieri. Nel settembre 2006 i generali americani andarono su tutte le furie quando scoprirono che persino i fedeli alleati britannici avevano concluso un accordo segreto con i più bellicosi tra i leader talebani nell'enclave di Musa Qala, nel nord della provincia di Hellmand. L'intesa minava clamorosamente la parola d'ordine Usa della guerra ad oltranza ai bad guys : per quasi un anno Musa Qala divenne una mini repubblica indipendente talebana, con tanto di bandiere nei villaggi, blocco delle scuole femminili e milizie per le strade. In cambio, l'esercito inglese vide calare temporaneamente le proprie perdite.

A questo punto è importante sottolineare come oggi, anche alla luce delle crescenti ipoteche sulle strategie della guerra frontale, la «via italiana» per la ricerca della coesistenza con i talebani non appaia poi così provocatoria. Un «Reconciliation Report» presentato dall'ambasciata dell'Ue a Kabul e discusso alla fine di maggio tra Javier Solana e i vertici Ue insisteva proprio sulla natura non monolitica dell'universo talebano, nel quale i capi tribali pashtun sono più disponibili di quanto si creda a cambiare di campo secondo i propri interessi particolari.

Attenzione però. La gravità delle notizie divulgate ieri dal Times , che comunque da tempo circolavano nei corridoi dei comandi Nato-Isaf, sta piuttosto nella presunta mancanza di coordinamento al momento della rotazione tra contingenti italiano e francese a Sarobi agli inizi dell'estate 2008. Un incidente che evidenzierebbe le lacune immense nelle comunicazioni tra i membri Nato. Questa crisi tra alleati è diventata ancora più grave con il disorientamento ai vertici del corpo di spedizione internazionale, che vedono con preoccupazione da una parte la delegittimazione del processo democratico in Afghanistan e dall'altra l'impasse Usa sui piani di rilancio prospettati dal generale Stan ley McChrystal. Se confermato, sarebbe grave che gli italiani non abbiano informato i colleghi francesi sui rapporti stabiliti con gli insorti. Parigi non si sarebbe illusa di muoversi in una zona relativamente tranquilla e avrebbe operato in modo molto più prudente. Un episodio tragico del 2007 e le polemiche di queste ore potrebbero servire da avvertimento per gli alleati: non è più tempo di procrastinare l'annoso dibattito sulla necessità di uniformare i vecchi caveat nazionali. Servono subito regole trasparenti e condivise. 


Addio «Subway», arrivano gli inglesi 
New York ingaggia i tecnici del metrò di Londra fra rivalità e polemiche
Paolo Valentino sul
Corriere della Sera

subway

WASHINGTON — Sono le due metropolitane più grandi del mondo. Insieme servono ogni giorno quasi 9 milioni di passeggeri. Icone delle rispettive città, rese immortali in decine di film e pezzi musicali. La loro è rivalità antica, duellanti a distanza a colpi di nuove linee, nuove stazioni e nuovi treni. Ma ora, una delle due sta alzando le braccia in segno di resa. Ed è la più giovane, più grande e più frequentata a inchinarsi alla modernità della vecchia signora, cercandone i consigli e la ricetta del successo.

La Metropolitan Transportation Authority, l'agenzia pubblica che gestisce la metropolitana di New York, ha negoziato un contratto biennale da 500 mila dollari con Transport for London, il suo equivalente nella capitale britannica, in base al quale tecnici e manager dell'Underground londinese verranno fatti arrivare negli Usa per lavorare come consulenti alla modernizzazione del la rete newyorkese.

Gongolano i giornali inglesi, perfino il serioso Guardian parla di «palese ammissione d'inferiorità». Mentre storcono un po' il naso da questa parte dell'Atlantico: «I pendolari della metropolitana la chiameranno The Tube?», titola un po' piccato il New York Times , riferendosi al nome usato dai londinesi per il loro sistema di trasporti sotterraneo.

Ad aggiungere un'ulteriore e gustosa torsione polemica, è che il piano dei consulenti «made in England» è idea di Jay Walder, da un mese capo della Transportation Authority, che lo ha assunto con un contratto da 350 mila dollari l'anno, più benefits. Ma Walder fino al 2006 lavorava diciamo così per la concorrenza, cioè Transport for London. E come se non bastasse, ha preteso e ottenuto di portare con sé dall'Inghilterra il suo ex direttore delle operazioni, il fidato Charles Monheim, affidandogli la stessa mansione. Di fatto Walder e Monheim vogliono affrontare l'obsolescenza della rete di New York, introducendo le stesse innovazioni, che fecero il loro successo sul, o meglio sotto il Tamigi. Fra queste la Oyster Card, la carta magnetica ricaricabile che permette il pagamento automatico, le tariffe agevolate per chi usa la metropolitana fuori dalle ore di punta, i pannelli elettronici che informano i passeggeri su quanti minuti ci vogliano all'arrivo dei prossimi treni.

Eccellente misura antistress, quest'ultima: studi scientifici dimostrano che le persone sono 3 volte meno ansiose, se sanno quanto dovranno ancora aspettare.

Non sembra consolare molto i newyorkesi, il fatto che per Walder si tratti di un ritorno a casa. E' americano infatti, per di più newyorkese, nato nel quartiere di Queens. Da giovane era utente abituale delle metropolitana e prima di trasferirsi in Gran Bretagna nel 2000, aveva anche insegnato a Harvard. Detto altrimenti, l'argomento del campanile potrebbe essere rovesciato: c'è voluto un americano per sistemare la metropolitana di Londra e dopo averla portata al successo, torna a casa vincitore.



  25 ottobre 2009