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sulla stampa
a cura di Fr.I. - 19 giugno 2013


Stalinisti al pesto
Dal
blog di Riccardo Liguori su la Repubblica

Delegittimare, isolare, liquidare il nemico. La tecnica mafiosa per eccellenza, secondo Giovanni Falcone. Ma non solo mafiosa, anzi. Una tecnica adottata da molti dittatori, l'esempio classico è quello delle purghe staliniane.

Delegittimare, isolare, liquidare.
E' lo stesso schema utilizzato dai gruppi parlamentari grillini contro due “dissidenti” e che apre la strada a una epurazione più ampia. Così finalmente Grillo e Casaleggio avranno i loro “guerrieri” in Parlamento.

FB grillini

La foto che vedete riproduce un post apparso sulla pagina Facebook ufficiale del M5S della Camera. Un post rivolto contro una loro deputata, la cagliaritana Paola Pinna. Una cosa degna di Vyšinskij o di una mente mafiosa.
Prima la delegittimano, quasi negano di averla mai vista, lasciano intendere che è una che pensa solo ai soldi. Poi la isoleranno (anzi, hanno già cominciato: “Paola Pinna chi?”) e infine lasceranno alla rete il compito di liquidarla, decretandone l'espulsione.
Così hanno fatto con la senatrice Adele Gambaro, insultata per giorni su Internet senza che il suo gruppo parlamentare sentisse l'esigenza di difenderla ufficialmente (lo hanno fatto alcuni suoi colleghi, ma è una cosa diversa).

Colpisce anche il linguaggio utilizzato. Contro la senatrice emiliana si è scagliato Grillo in persona, modificando il suo “uno vale uno” in un eloquente e offensivo “vali niente”.
Contro la Pinna ci ha pensato invece il suo collega Manlio Di Stefano, che fatto proprio copiato e incollato su Facebook un commento del radiodrammaturgo Diego Cugia:
“Ma risparmiatemi questa Cosetta dei Miserabili dell'onorevole grillina Paola Pinna (laureata disoccupata che viveva con i genitori a Quartucciu, Cagliari, e con cento voti cento è diventata deputata al Parlamento) che invece di spargere petali di rosa dove Grillo cammina, sorge in difesa di una certa Gambaro, un'altra miracolata che si crede Che Guevara”.
Parole dalle quali trasuda un disprezzo antropologico e quasi di classe: da una parte il giovane ingegnere palermitano trapiantato a Milano che ha salito la scala sociale; dall'altra la disoccupata di Quartucciu che vive con i genitori.
Andrebbe forse aperta una parentesi sul fatto che Di Stefano non è minimamente sfiorato dal sospetto di essere anche lui un miracolato dal Porcellum, ma lasciamo perdere per carità di patria.

Colpisce, infine, il fatto che questo trattamento venga riservato a due donne. Che non sono certo le uniche due “dissidenti” tra i parlamentari Cinquestelle ma vengono colpite con particolare durezza. Un tratto di sessismo che ricorda quello con cui Beppe Grillo si scagliò contro la dissidente ante litteram Federica Salsi: “La tv è il vostro punto G”.***
Il suo deve essere lo stalinismo. In salsa genovese. Al pesto.

*** "E' il punto G, quello che ti dà l'orgasmo nei salotti dei talk show. L'atteso quarto d'ora di celebrità di Andy Warhol. A casa gli amici, i parenti applaudono commossi nel condividere l'emozione di un'effimera celebrità, sorridenti, beati della tua giusta e finalmente raggiunta visibilità".



Il caso Gambaro e il suicidio dei grullini
di Marco Travaglio, da il Fatto quotidiano, 19 giugno 2013
su la Repubblica - Micromega


Fino a due mesi fa, all'indomani della candidatura di Rodotà al Quirinale e del conseguente suicidio del Pd che si riconsegnò nelle mani del suo peggior nemico (Napolitano) e del sottostante governo-inciucio Letta-Berlusconi, tutti i partiti lavoravano indefessamente per il Movimento 5Stelle.

Dopo averlo creato dal nulla, ignorando tutte le battaglie di Grillo e dei suoi ragazzi e rinchiudendosi nel sarcofago in attesa che passasse 'a nuttata, l'avevano pasciuto e ingrassato demonizzandolo e facendolo linciare da tv e giornali al seguito. E con le presidenziali e il governo-vergogna l'avevano trasformato nel punto di riferimento della base del Pd in dissenso coi vertici che avevano resuscitato un'altra volta un Caimano morto e sepolto.

Poi, proprio mentre l'inciucio confermava platealmente dieci anni di campagne grillesche contro “Pdl e Pdmenoelle”, il nastro s'è riavvolto a ritroso. Complice, certo, la disinformazione e la memoria corta degl'italiani. Ma soprattutto colpa del M5S che, da lepre inafferrabile, s'è trasformato in inseguitore trafelato. E ha preso a lavorare indefessamente per i partiti, facendo dimenticare tutte le magagne della politica politicante che a febbraio avevano spinto 9 milioni di italiani a mandarla al diavolo. Un suicidio di massa coronato dalla geniale operazione Gambaro.

Intendiamoci: cacciare, o far cacciare dalla “rete”, una senatrice che ha parlato male di Grillo, manco fosse la Madonna o Garibaldi, è demenziale, illiberale e antidemocratico in sé. E non solo perché serve su un piatto d'argento agli eterni Gattopardi e ai loro camerieri a mezzo stampa la miglior prova di tutte le calunnie che hanno sempre spacciato per dogmi di fede.

Non è nemmeno il caso di esaminare l'oggetto del contendere, cioè le frasi testuali pronunciate dalla senatrice nell'intervista incriminata a Sky, perché il reato di lesa maestà contro il Capo è roba da Romania di Ceausescu. Certo, affermare che il guaio del movimento fondato e portato al successo da Grillo è Grillo, è una fesseria. Certo, lo stillicidio di interviste in dissenso (le sole che interessino ai media italiani) per oscurare quanto di buono fanno i 5Stelle in Parlamento e di pessimo fanno i partiti, è fastidioso e altamente sospetto. Certo, senza Grillo e i suoi forsennati tour per l'Italia i 5Stelle non avrebbero preso un voto e le Gambaro non sarebbero state votate nemmeno dai parenti stretti. Ma il reato di cazzata non esiste e non deve esistere in un movimento che si dice democratico, anzi iperdemocratico.

Grillo aveva tutto il diritto di incazzarsi e di farlo sapere, ma la cosa doveva finire lì. Il cerino sarebbe rimasto nelle mani della Gambaro e dei 10-20 furbetti che trescano con i partiti dopo aver intascato i voti e i posti grazie a un movimento anti-partiti (tutti). E che se la sarebbero vista con i loro elettori. O, se davvero hanno dietro qualche progetto ribaltonista, sarebbero usciti prima o poi allo scoperto. Lunedì bastava una dichiarazione, firmata da chi voleva, per ribadire gl'impegni assunti con l'elettorato. Mettere ai voti le fesserie di una senatrice (che, diversamente da Salsi e Mastrangeli non ha violato alcuna regola interna) invitandola al pubblico autodafé, è una versione da Asilo Mariuccia del socialismo reale.

Dopo aver trascorso i primi quattro mesi di vita parlamentare a guardarsi dalle presunte trappole dei partiti (che, così come sono ridotti, sono capaci al massimo di intrappolare se stessi), i “cittadini” hanno piazzato l'autotrappola perfetta. E ci sono cascati con tutte le scarpe. D'ora in poi i dissenzienti senz'arte né parte, magari pilotati dai soliti compratori di parlamentari, hanno di fronte un'autostrada: gli basterà rilasciare un'intervista critica al giorno per finire tutti dinanzi al tribunale del popolo, o della rete, e guadagnarsi l'insperata fama di nuovi Solgenitsin, con piedistallo e aureola di martiri. Al confronto, la partitocrazia più inetta, corrotta e antidemocratica dell'universo profumerà di Chanel numero 5. Un capolavoro.

NDR seguono numerosi commenti, riportiamo il primo che ci sembra particolarmente significativo
Angelo Scotto
Mah, in pratica pur condannando le scelte di Grillo e dei suoi fedelissimi Travaglio appoggia in toto la vulgata promossa dal M5s, e cioè che le parole della Gambaro siano una cazzata (ma se Grillo è il capo politico del Movimento e il responsabile del suo successo di febbraio, perché non dovrebbe assumersi anche la responsabilità della sconfitta delle amministrative? E perché sarebbe sbagliato dirlo?), che i parlamentari critici siano tutti furbetti che trescano con gli altri partiti, che chi critica deve ricordarsi che senza Grillo non sarebbe mai stato eletto (ma la responsabilità degli eletti deve essere verso gli elettori o il leader?). Insomma, condannando i metodi al momento applicati nel M5s riafferma l'impossibilità di un dibattito aperto al suo interno, perché le critiche vengono sempre sminuite o ricondotte a motivazioni inconfessabili invece che al loro contenuto.


  19 giugno 2013