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12 dicembre 2013

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Forconi: chi sono, cosa vogliono e chi sta cercando di 'cavalcarli'
Richieste confuse e contraddittorie, infiltrazioni dell'estrema destra, decine di sigle diverse, la strana reazione delle forze dell'ordine. E il tentativo di partiti e movimenti di mettere la bandierina sulla protesta. Radiografia della mobilitazione che sta bloccando il Paese
di Giovanni Manca su l'Espresso - 11 dicembre 2011
 
Un nugolo di sigle e di associazioni finite dietro l’etichetta “forconi”, infiltrazioni più o meno controllate di frange estreme all’interno degli assembramenti di piazza, obiettivi confusi e spesso contraddittori nelle motivazioni della protesta (si va dal diritto alla casa, alle accise sui carburanti, l’insofferenza alle larghe intese), pericolosi cascami del populismo politico alla ricerca dell’aggancio con i manifestanti per una improbabile ribalta elettorale.
Dietro la drammatica guerriglia urbana di Torino di lunedì scorso e la minaccia di arrivare alle porte di Montecitorio, la pancia del Paese ha finito per prendere la scena all’exploit democratico della partecipazione di massa alle primarie del Pd. Non sarà la scena finale del Caimano, immaginata da Nanni Moretti, ma le analogie non mancano.

E fa abbastanza effetto, prima ancora che Alfano dichiarasse che “l’intelligence ha gli occhi puntati sui violenti”, rileggere, con le lenti dell’attualità, quanto i servizi segreti avevano scritto nella loro relazione al Parlamento di neanche un anno fa: “L’attuale congiuntura economica viene considerata foriera di importanti trasformazioni sociali, potenzialmente favorevoli al progetto insurrezionale basato sul rapporto di ‘affinità’ e sul ricorso all’azione diretta. Emergono pertanto appelli per interventi conflittuali che siano coerenti con la prospettiva di sovvertimento del ‘sistema’”. O, in modo ancora più esplicito, “si sono evidenziati segnali di rilancio della campagna antimperialista/antimilitarista, anch’essa in grado di favorire convergenze in chiave antisistema tra le componenti antagoniste nonché di saldare la protesta con quella dei vari ‘comitati popolari’”.

Quello che è certo, anche a sentire le parole del sindaco di Torino, Piero Fassino, infuriato con i manifestanti, è che a fare le spese di una situazione ancora magmatica sono i cittadini e i servizi pubblici: “Tutto si può comprendere ma non lo sconvolgere una città, non la mia, ma quella dei miei cittadini," è sbottato, "delle madri che non possono portare i figli all’asilo, dei negozi che non possono essere riforniti perchè si bloccano i mercati generali”.



Forconi: almeno non chiamatela ‘marcia su Roma’
di Beppe Giulietti su Il Fatto Quotidiano - 11 dicembre 2011
 
Si può pensare quello che si vuole delle proteste innescate  dai “Forconi“, ma la strada più rischiosa è quella della semplificazione e della riduzione delle tensioni ad una pura questione di ordine pubblico. Non vi è dubbio che in quel movimento ci sia tutto e il contrario di tutto, e probabilmente c’è anche chi soffia sul fuoco, nella speranza di trarne un immediato vantaggio in termini di visibilità e di consenso elettorale. Gli apprendisti stregoni, qualsiasi sia il loro colore, rischiano di farsi male, perché le cause del disagio sociale sono profonde e chi protesta esige risposte e non balconi mediatici.

Per altro le ragioni di quelli che manifestano oggi non sono e non saranno analoghe a quelle di chi protesterà e scenderà in sciopero nelle prossime settimane; perché il disagio è comune, ma le richieste e le rivendicazioni non sono le stesse, tra chi è piccolo imprenditore, chi commerciante, chi operaio, chi studente, chi non garantito, chi immigrato. Sono mondi e movimenti diversi che i media dovrebbero provare ad interpretare, a rappresentare e a non strumentalizzare ad altri fini. Perché mai, per fare un solo esempio, le armate mediatiche di proprietà di Berlusconi hanno ora scoperto il disagio e la miseria e sono diventate il megafono di ogni forma di protesta contro lo Stato ed il governo?

Sino a qualche mese fa i medesimi negavano addirittura che la crisi esistesse, tanto per non disturbare le “cene eleganti” del padrone. Perché mai, invece, altri Tg, anche del servizio pubblico, hanno indossato la mimetica e dietro ogni forcone già vedono camice nere, mafia, camorra, ed ogni tipo di nefandezza? Non sarà invece il caso di raccontare gli eventi, di dare voce al disagio, e non solo a quello di queste ore, di raccontare le diverse forme di lotta in atto e che non sono certo riducibili ai soli posti di blocco? Naturalmente dando spazio anche a chi non condivide modi, forme e linguaggi di queste proteste.
Se fosse possibile sarebbe, infine, il caso di evitare tutti di usare ogni riferimento alla “Marcia su Roma“. In queste ore abbiamo ascoltato e letto espressioni quali: “Pronta la Marcia su Roma”, “Rinviatala Marcia su Roma”, “Serve la Marcia su Roma”, per onestà bisogna aggiungere che questi riferimenti sono più dovuto alla malizia dei commentatori, che non alla comunicazione di chi promuove le proteste.

Sia come sia, sarà il caso di cancellare questa oscenità dal nostro linguaggio, perché, in questo paese, la marcia su Roma ha un significato preciso, un miserabile pregresso, una squallida coreografia, pessimi interpreti; tutta robaccia da non evocare, neppure per il gusto della provocazione, neppure per esigenze di sintesi giornalistica.



Chi sono i Forconi, tra online e offline
Un movimento-puzzle, con tre leader al vertice ma senza twitstar, che preferisce l’essenzialità di Facebook alla complessità di Twitter. E che attrae un universo di microrappresentanze locali
Simone Cosimi su Wired - 11 dicembre 2011

Se li chiami Forconi s’incazzano. Preferiscono piuttosto raccogliersi dietro la neonata sigla Coordinamento 9 dicembre 2013. Il sito, che dichiara quasi sei milioni di accessi, è l’unica fonte ufficiale attraverso la quale passano le dichiarazioni e le variegate posizioni di questa protesta che sta bloccando il Paese. O almeno, per ora, lo sta mettendo in seria difficoltà (qui il nostro Storify). Il coordinamento nazionale è composto da otto persone. Tre sembrano spiccare al vertice: Lucio Chiavegato, Danilo Calvani e Mariano Ferro, leader storico dei forconi siculi. Il primo è il presidente di Life, una delle tante sigle che aderiscono alla mobilitazione: Liberi imprenditori federalisti europei. Il secondo, Calvani, fa parte dei Comitati riuniti agricoli dell’Agro Pontino e oggi scende in piazza a Genova per “organizzare la marcia su Roma”. Il terzo, Ferro, è appunto il capo siciliano dei forconi (ma occhio, il movimento vanta già almeno un paio di spin-off), già candidato con l’omonima lista alle ultime regionali siciliane: 1,2% dei voti. Un altro dei leader, l’ex imprenditore ittico di Marsala Martino Morsello, accettò di buon grado l’ospitalità per la tornata elettorale parlamentare nelle liste di Forza Nuova al Senato. Il riferimento per il Centro-Sud sembra invece Augusto Zaccardelli, segretario nazionale del Movimento autonomo degli autotrasportatori. Il cuore della protesta è costituito anche da Cobas-latte, Cos.pa., Azione rurale Veneto, Associazione autotrasportatori liberi e Associazione italiana trasportatori. Ma chi sono i forconi?

La forza, però, sta in una sorta di casereccio ma efficace franchising: ovunque salti fuori un presidio (qui l’elenco completo con referenti e pagine Facebook) il movimento sembra vantare il magnetismo necessario per risucchiare, o almeno agganciarsi, alle rivendicazioni locali. Non è difficile, d’altronde, sulla base di uno schema di ragioni essenziali e onnicomprensive. Nei volantini che girano per le piazze (per il momento le zone calde sono Torino, Liguria, Triveneto, in parte Milano, Emilia-Romagna e al Sud Puglia, Sicilia e Campania) è infatti abbozzato il programma del Comitato 9 dicembre 2013, che su Facebook si muove fondamentalmente grazie a una mastodontica pagina evento. Si va, stando in particolare al volantino rosso diffuso nelle prime ore, “contro il far west della globalizzazione che ha sterminato il lavoro degli italiani”, “contro questo modello di Europa”, “per riprenderci la sovranità popolare e monetaria”, “per riappropriarci della democrazia”, “per il rispetto della Costituzione contro un governo di nominati”, “per difendere la nostra dignità”.

Ora, a parte alcuni errori evidenti, come il “governo dei nominati” (semmai è il Parlamento), è facile capire come dentro queste maglie larghissime stia precipitando di tutto. Da Beppe Grillo che si lecca i baffi cavalcando i focolai (senza capire che là in mezzo ci sono anche i grillini delusi) a parti dei movimenti No Tav/No Muos, ai comitati contro Equitalia passando per l’onnipresente neofascismo e il leghismo più elementare fino a complottisti, meridionalisti assortiti, piccolissimi imprenditori senza più sponde, immigrati, studenti, disoccupati e cassintegrati, quel che resta dei No Global e movimenti per la casa. Al netto della parte produttiva, cioè artigiani, allevatori, agricoltori e autotrasportatori che ne costituiscono il nucleo, sembra quasi riproporsi il puzzle visto nella Capitale qualche settimana fa per Occupy Porta Pia. I sindacati tradizionali, presi ormai in contropiede da anni, sono tagliati fuori. Non hanno voce in capitolo. Anche se, a onor del vero, almeno sotto il profilo ufficiale il Coordinamento tiene a segnare completa equidistanza da movimenti o parti politiche: “Siate fermi e decisi – si legge sul sito ufficiale in un comunicato rivolto ai manifestanti – il nostro imperativo è non mollare la presa, collaborare con le Forze dell’ordine, allontanare i facinorosi che vogliono creare disordini, mettere da parte personalismi evitando di esporre simboli, bandiere o quant’altro promuova un proprio partito o movimento”.

La composizione ricorda in parte quel movimento capitolino anche per l’uso dei social network e per una certa preponderanza della vita reale su quella squisitamente virtuale. In altre parole, c’è davvero poco Twitter, nei Forconi, e zero star cinguettanti a pontificare teoremi forconiani. La dinamica è diversa, si va dritti all’essenziale: bloccare il traffico, occupare piazze e sfilare coordinandosi grazie ai molti eventi e pagine Facebook, fra cui quella ufficiale, forte di 69mila fan in continua crescita. Ci sono siti ufficiali, come quello di Ferro o di Chiavegato, e profili personali (ancora Chiavegato, che sembra il più smaliziato) certo, e su Twitter dei #forconi (#9dicembre, #Torino e tutte le altre città coinvolte) se ne parla tanto. Ma l’impressione è che il vero networking si faccia altrove. Anche perché la platea coinvolta è troppo diversa per eleggere un canale comunque settoriale come quello dei social media a mezzo unico di organizzazione. Meglio parlarsi sul campo, per telefono, al massimo su Facebook, dalla grammatica più elementare. Lo confermano anche loro: “Il Coordinamento nazionale 9 dicembre 2013 dichiara ufficialmente che la natura tutta della mobilitazione ha origine da incontri e condivisioni di molti movimenti e cittadini italiani”. Insomma, siamo nati fuori e della Rete prendiamo solo il minimo indispensabile per muoverci.

Lo vanno ripetendo nelle interviste in questi giorni, i presunti leader o portavoce: “Non siamo abituati a queste cose”. Non a caso il profilo Twitter del movimento I Forconi è morto da luglio, Calvani ha 17 follower, gli altri non sono presenti sulla piattaforma. Se è vero, insomma, che su Twitter circolano le idee e Facebook fa più da braccio armato, mezzi e strumenti del movimento sono presto delineati.



Forconi, una protesta che non stiamo capendo?
di Paolo Hutter su Il Fatto Quotidiano - 11 dicembre 2011

Ipotesi  sui moti del 9 e 10 dicembre  a Torino (e altrove). Mi sembra che queste giornate  siano storiche, anche se è  difficile capire se lo siano perché  eccezionali e uniche o perché indicano un nuovo modo di essere e di protestare nella società italiana. Mi sembra anche che Torino sia un po’ epicentro, se non capitale, di questo nuovo e “confuso”  movimento. E altre volte  nella  storia  italiana  dei secoli precedenti Torino è stata epicentro, o capitale, o anticipatrice di qualcosa. Qui soprattutto lunedì 9  e in parte  martedì 10 c’ è stato il più forte sciopero del commercio che si ricordi da decenni, certamente il primo tutto esterno alle tradizionale sigle associative. E sotto Natale! Basterebbe questo, a segnare l’eccezionalità. Ho partecipato via Facebook  e nell’assemblea di lunedì sera alla Mensa occupata, alla discussione tra gente di sinistra (area Sel e dintorni, ma anche in parte pd e  5 stelle) sulla fisionomia di questi moti e vorrei cautamente avanzare alcune  ipotesi.

Escluderei solo le interpretazioni più estreme e schematiche. Non è l’inizio di una rivoluzione né sociale né politica perché non ha nessun “obiettivo intermedio” da ottenere né un tiranno o anche solo un Presidente da mandar via a furor  di popolo. (A meno che non si scopra che è un movimento per le elezioni anticipate! Ma non credo, tanto più che al momento c’è il proporzionale.) Non è neanche solo un abile moto fascista – addirittura, secondo alcuni, alimentato dalla sospetta tolleranza della polizia – perché non è umanamente possibile che in una città come Torino i “fascisti”  possano tanto.

Non voglio sottovalutare né disprezzare l’irritazione “antifascista” di molti degli osservatori di sinistra. Ma anch’essa apre degli interrogativi. Siamo irritati perché conosciamo la genealogia di alcuni dei personaggi promotori? Non basta, non vale. Il loro volantino ufficiale che ho trovato più volte scrive “vogliamo il rispetto della Costituzione.” Ipocrisia? Forse, ma potevano anche non scriverlo. Siamo irritati perché nel suo concreto svolgersi questo movimento o moto ha dei connotati che potremmo definire fascisti?

Tanto per cominciare, evitiamo di pensare che si possa esorcizzare qualcosa che non ci  piace usando l’etichetta di fascista. Dobbiamo scomporre gli elementi e giudicarli uno per uno e nominarli con altre parole. Per esempio  non ho visto né sentito in queste giornate nulla di razzista. Anzi ho visto ragazzi di seconda generazione o anche immigrati partecipi. Non protagonisti, ma partecipi. E’ indicativo il comizio di un tunisino in piazza Castello a Torino che diceva pressapoco “se in un paese poco sviluppato come il nostro la gente è stata capace di mandare via chi  meritava di essere cacciato, a maggior ragione lo si dovrebbe e potrebbe fare qui”. Avanzo una ipotesi: sia tra i presunti capi che tra molti dei partecipanti a questi moti il modello e l’auspicio è quello che hanno visto in tv accadere in Egitto o in Tunisia o in Ucraina. E quindi con le bandiere nazionali, i blocchi stradali, le piazze occupate, i negozi fatti chiudere. Ma che ne sanno del 1922, che gliene importa?

Continuo con l’analisi della “irritazione antifascista”. Siamo indignati dai modi di fare, dalle urla grezze, dai picchetti? Dalla violenza? Ma quanta e quale violenza c’è stata? Mi colpiscono le osservazioni di un militante di Sel indignato perché dei ragazzi sono entrati in un’altra scuola e hanno interrotto le lezioni incitando tutti a unirsi “agli italiani”. Il richiamo a unirsi agli italiani ci è giustamente estraneo e sospetto. Ma, diamine, devo raccontare quante  saracinesche ha tirato giù, quanti ingressi a scuola o al lavoro ha impedito, quante lezioni in altre scuole ha interrotto negli anni ’70 un giovane pierino di sinistra timoroso e ben poco militare come me? Più fondata mi pare ovviamente la  ”irritazione ” per il carattere maschile maschilista e “tamarro” delle manifestazioni, spesso affini agli spostamenti dei tifosi. Ma qui usciamo dalla falsa questione fascismo/antifascismo per osservare le inevitabili differenze tra mobilitazioni che hanno come protagonisti  i lavoratori dipendenti e/o gli studenti universitari e quelle che hanno come protagonisti lavoratori indipendenti poveri o impoveriti ( piccoli commercianti, ambulanti, artigiani, camionisti) più i ragazzini – studenti o no – “stile tifosi” che peraltro a Roma si erano spesso aggregati a scontri “di sinistra”.

Mi sembra interessante questo articolo di Info Aut , non perché sia il mio punto di vista, ma è sicuramente quello di intenditori della protesta e dei movimenti sociali.
Non  so se sia possibile che si metta in contrapposizione o in concorrenza con questa specie di movimento uno schema di mobilitazione di  piazza e/o di sciopero più colto e più di “sinistra”  come quello degli indignados, tanto per intenderci. Se non è successo finora in Italia, perché dovrebbe succedere adesso? Ne dubito. Credo solo, sul piano dell’analisi, che si debba riconoscere e rispettare la protesta sociale presente in questa strane giornate torinesi. Non pretendere di spiegarne la forza con dietrologie. Il che non significa vezzeggiarla o correrle dietro.
(Ma qui comincia tutt’un altro discorso. Temi come la decrescita sostenibile, la redistribuzione delle occasioni  e dei posti di lavoro, l’unione più equa ed efficace  o la disintegrazione dell’Europa probabilmente richiedono  più impegno che protesta. Ma  questo appunto è un altro discorso).



  12 dicembre 2013