L'Ucraina verso
la guerra civile?
Le proteste tra
aspirazioni europeiste e critiche al governo di Yanukovich
ISPI
su www.ispionline.it
| 27 gennaio 2014
Diverse
migliaia di manifestanti si sono riuniti anche
questa domenica in Maidan Nezalezhnosti, la piazza Indipendenza di Kiev
cuore
della protesta "europeista" ormai diventata soprattutto
antigovernativa. A due mesi di distanza dall'inizio delle
manifestazioni la
protesta ha coinvolto anche nell’Ucraina orientale, feudo elettorale
del
contestato presidente.
Per tentare di
allentare la tensione, il presidente ucraino,
Victor Yanukovich, ha offerto all'opposizione la poltrona di premier al
posto
di Nikolai Azarov, che si è dimesso e la Rada, il Parlamento, ha abrogato le leggi
anti-protesta che erano
state introdotte due settimane fa. Il presidente ucraino Yanukovich si
è detto
pronto anche a rivedere la Costituzione ma poichè il suo partito
detiene la
maggioranza in parlamento l'opposizione chiede per prima cosa elezioni
anticipate e anche.
L’ondata di
protesta nella capitale ucraina era
iniziata a dicembre in seguito alla
decisione del presidente di annullare la firma dell’accordo di
associazione con
l’Ue. Nei giorni successivi migliaia di persone erano scese in piazza
costringendo il governo, sotto pressione internazionale, a concordare
con il
commissario Ue all’allargamento Füle una nuova tabella di marcia e di
aiuti
finanziari per giungere alla firma dell’accordo.
Nonostante queste aperture i problemi di fondo nelle
trattative tra Ucraina e Ue restano. Come osserva Tomislava Penkova (QUI)
, ISPI, alla base dello scarso entusiasmo, quando non aperta ostilità,
all’ingresso nell’Ue da parte del governo si possono ravvisare
essenzialmente
tre fattori: l’errata convinzione dell’UE che la
Eastern Partnership
policy sia una politica efficiente per
ottenere i risultati richiesti da Bruxelles, le complessità e ambiguità
delle
scelte di politica estera europea, e la convinzione che le relazioni
regionali
siano un gioco a somma zero.
Bisogna inoltre evitare di farsi
sviare dalla copertura
mediatica di questi episodi, che nonostante il clamore, non sono
totalmente
rappresentativi. Aldo Ferrari (QUI)
, ISPI, precisa infatti che la stragrande maggioranza degli ucraini non
ha
nessuna fretta di aggregarsi all’Unione europea e ciò in realtà è un
bene anche
per l’Ue che altrimenti dovrebbe sobbarcarsi i costi altissimi per la
sua
integrazione. Infine, sebbene sia gli europeisti che quelli
nazionalisti che
animano oggi le proteste si trovino d’accordo nella volontà di
allentare i
legami con Mosca, questi gruppi divergono profondamente per quanto
concerne gli
indirizzi futuri del paese.
La
restaurazione egiziana
Bernard
Guetta su Internazionale
| 31 gennaio 2014
L’Egitto sta
ripiombando nella dittatura militare. Tre anni
dopo la rivoluzione, il paese più importante del mondo arabo torna agli
attacchi contro la stampa e agli arresti di massa, in attesa del
prossimo
presidente maresciallo.
Giovedì
il ministro dell’interno ha annunciato di disporre
“dei mezzi tecnologici più moderni” per controllare i social network.
Nel
mirino delle autorità ci sono ormai tutti contestatori, dai Fratelli
musulmani
ai giovani democratici che nel 2011 hanno rovesciato Hosni Mubarak
ispirati
dalla rivoluzione tunisina. Mercoledì venti giornalisti di Al Jazeera,
16
egiziani e quattro europei, sono stati formalmente accusati di
“terrorismo” per
aver “diffuso notizie false”. Per non parlare dei quattro processi
intentati
contro Mohamed Morsi, il presidente islamista destituito a luglio
dall’esercito
dopo essere diventato l’unico capo di stato democraticamente eletto in
Egitto.
Il
paragone con quanto sta accadendo in Tunisia è
sconfortante. Mentre i laici e gli islamisti tunisini hanno saputo
trovare un
compromesso che ha permesso l’adozione di una nuova costituzione
democratica e
ha spinto il paese verso elezioni libere, l’Egitto fa un passo indietro
sotto
l’egida di un generale promosso maresciallo, Abdel Fattah al Sisi. Il
27
gennaio lo stato maggiore ha invitato Al Sisi a “cedere alle richieste
del
popolo” e a candidarsi alle presidenziali, che ha ogni probabilità di
vincere.
Come si spiega
una simile differenza tra Egitto e Tunisia?
Prima di tutto con il fatto che in Tunisia l’esercito rispetta il
potere
politico, mentre in Egitto costituisce da tempo uno stato nello stato.
Davanti
alla forza delle manifestazioni del 2011 l’esercito egiziano si era
defilato,
dedicandosi al sabotaggio costante ma discreto del processo di
democratizzazione,
ancor più difficile rispetto a quello tunisino.
I
militari egiziani hanno fatto di tutto per spaventare e
mandare in confusione i Fratelli musulmani, usciti vittoriosi dalle
urne ma
assolutamente impreparati a governare. Con le loro mosse brutali e
maldestre i
Fratelli musulmani hanno rapidamente perso la fiducia degli egiziani, e
mentre
la popolazione si rivoltava contro di loro i generali hanno ripreso in
mano le
redini del paese tra gli applausi della maggioranza.
Quello
dell’esercito è stato un colpo di stato popolare,
perché l’Egitto era ormai terrorizzato dalla forza politica a cui aveva
concesso il potere credendo che fosse diventata democratica quando in
realtà
era ancora troppo immatura. Così al Cairo svanisce ogni speranza di
libertà.
L’esercito ha imparato dagli errori del 2011 e non ha intenzione di
lasciarsi
sorprendere ancora, ma dovrà comunque rimettere in piedi l’economia e
ridurre
la disoccupazione prima che prenda forma una rivoluzione che è già in
stato
embrionale, perché nonostante tutto l’Egitto (come il resto del mondo
arabo) ha
scoperto il gusto della libertà.
Traduzione di
Andrea
Sparacino
31
gennaio
2014