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31 gennaio 2014

ucraina

L'Ucraina verso la guerra civile?
Le proteste tra aspirazioni europeiste e critiche al governo di Yanukovich
ISPI su www.ispionline.it | 27 gennaio 2014

Diverse migliaia di manifestanti si sono riuniti anche questa domenica in Maidan Nezalezhnosti, la piazza Indipendenza di Kiev cuore della protesta "europeista" ormai diventata soprattutto antigovernativa. A due mesi di distanza dall'inizio delle manifestazioni la protesta ha coinvolto anche nell’Ucraina orientale, feudo elettorale del contestato presidente.  

Per tentare di allentare la tensione, il presidente ucraino, Victor Yanukovich, ha offerto all'opposizione la poltrona di premier al posto di Nikolai Azarov, che si è dimesso e la Rada, il Parlamento,  ha abrogato le leggi anti-protesta che erano state introdotte due settimane fa. Il presidente ucraino Yanukovich si è detto pronto anche a rivedere la Costituzione ma poichè il suo partito detiene la maggioranza in parlamento l'opposizione chiede per prima cosa elezioni anticipate e anche.

L’ondata di protesta nella capitale ucraina  era iniziata a dicembre in seguito alla decisione del presidente di annullare la firma dell’accordo di associazione con l’Ue. Nei giorni successivi migliaia di persone erano scese in piazza costringendo il governo, sotto pressione internazionale, a concordare con il commissario Ue all’allargamento Füle una nuova tabella di marcia e di aiuti finanziari per giungere alla firma dell’accordo.
 
Nonostante queste aperture i problemi di fondo nelle trattative tra Ucraina e Ue restano. Come osserva Tomislava Penkova (QUI) , ISPI, alla base dello scarso entusiasmo, quando non aperta ostilità, all’ingresso nell’Ue da parte del governo si possono ravvisare essenzialmente tre fattori: l’errata convinzione dell’UE che la  Eastern Partnership  policy sia una politica efficiente per ottenere i risultati richiesti da Bruxelles, le complessità e ambiguità delle scelte di politica estera europea, e la convinzione che le relazioni regionali siano un gioco a somma zero.

Bisogna inoltre evitare di farsi sviare dalla copertura mediatica di questi episodi, che nonostante il clamore, non sono totalmente rappresentativi. Aldo Ferrari (QUI) , ISPI, precisa infatti che la stragrande maggioranza degli ucraini non ha nessuna fretta di aggregarsi all’Unione europea e ciò in realtà è un bene anche per l’Ue che altrimenti dovrebbe sobbarcarsi i costi altissimi per la sua integrazione. Infine, sebbene sia gli europeisti che quelli nazionalisti che animano oggi le proteste si trovino d’accordo nella volontà di allentare i legami con Mosca, questi gruppi divergono profondamente per quanto concerne gli indirizzi futuri del paese.


 

La restaurazione egiziana
Bernard Guetta su Internazionale | 31 gennaio 2014

L’Egitto sta ripiombando nella dittatura militare. Tre anni dopo la rivoluzione, il paese più importante del mondo arabo torna agli attacchi contro la stampa e agli arresti di massa, in attesa del prossimo presidente maresciallo.

Giovedì il ministro dell’interno ha annunciato di disporre “dei mezzi tecnologici più moderni” per controllare i social network. Nel mirino delle autorità ci sono ormai tutti contestatori, dai Fratelli musulmani ai giovani democratici che nel 2011 hanno rovesciato Hosni Mubarak ispirati dalla rivoluzione tunisina. Mercoledì venti giornalisti di Al Jazeera, 16 egiziani e quattro europei, sono stati formalmente accusati di “terrorismo” per aver “diffuso notizie false”. Per non parlare dei quattro processi intentati contro Mohamed Morsi, il presidente islamista destituito a luglio dall’esercito dopo essere diventato l’unico capo di stato democraticamente eletto in Egitto.

Il paragone con quanto sta accadendo in Tunisia è sconfortante. Mentre i laici e gli islamisti tunisini hanno saputo trovare un compromesso che ha permesso l’adozione di una nuova costituzione democratica e ha spinto il paese verso elezioni libere, l’Egitto fa un passo indietro sotto l’egida di un generale promosso maresciallo, Abdel Fattah al Sisi. Il 27 gennaio lo stato maggiore ha invitato Al Sisi a “cedere alle richieste del popolo” e a candidarsi alle presidenziali, che ha ogni probabilità di vincere.

Come si spiega una simile differenza tra Egitto e Tunisia? Prima di tutto con il fatto che in Tunisia l’esercito rispetta il potere politico, mentre in Egitto costituisce da tempo uno stato nello stato. Davanti alla forza delle manifestazioni del 2011 l’esercito egiziano si era defilato, dedicandosi al sabotaggio costante ma discreto del processo di democratizzazione, ancor più difficile rispetto a quello tunisino.

I militari egiziani hanno fatto di tutto per spaventare e mandare in confusione i Fratelli musulmani, usciti vittoriosi dalle urne ma assolutamente impreparati a governare. Con le loro mosse brutali e maldestre i Fratelli musulmani hanno rapidamente perso la fiducia degli egiziani, e mentre la popolazione si rivoltava contro di loro i generali hanno ripreso in mano le redini del paese tra gli applausi della maggioranza.

Quello dell’esercito è stato un colpo di stato popolare, perché l’Egitto era ormai terrorizzato dalla forza politica a cui aveva concesso il potere credendo che fosse diventata democratica quando in realtà era ancora troppo immatura. Così al Cairo svanisce ogni speranza di libertà. L’esercito ha imparato dagli errori del 2011 e non ha intenzione di lasciarsi sorprendere ancora, ma dovrà comunque rimettere in piedi l’economia e ridurre la disoccupazione prima che prenda forma una rivoluzione che è già in stato embrionale, perché nonostante tutto l’Egitto (come il resto del mondo arabo) ha scoperto il gusto della libertà.

 
Traduzione di Andrea Sparacino

  31 gennaio 2014