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8 marzo 2014

riciclati

Elezioni Europee, come ti riciclo il desaparecido
Scajola e Mastella ma anche D’Alema, Di Pietro e perfino De Mita. Sono solo alcuni dei “gattopardi” pronti a correre alle elezioni di maggio. Tutti in pista per un ultimo giro di giostra. E uno stipendio da 18 mila euro al mese
Paolo Fantauzzi su l'Espresso | 8 marzo 2014

Uno spettro s’aggira per l’Europa. Non preannuncia la rivoluzione né l’esproprio proletario. Chiede solo uno strapuntino per i prossimi cinque anni o magari soltanto un’ultima occasione. Per mettersi di nuovo alla prova. Dimostrare di avere ancora un peso in cabina elettorale. E, aspetto non secondario, puntare allo stipendio da 18 mila euro al mese che assicura lo scranno da eurodeputato tra stipendio base, diarie, bonus, indennità giornaliere e di trasferta.

Un esercito composito fatto di rottamati, trombati, naufraghi di partiti ormai estinti, perfino superstiti della Prima Repubblica. Tutti alla ricerca di un approdo sicuro in un ultimo, disperato tentativo di far girare all’indietro la ruota del tempo. E se le elezioni europee sono ancora lontane, gli aspiranti candidati non mancano. Anche perché le ultime tornate elettorali hanno via via ingrossato le fila dei politici rimasti senza scranno. I quali adesso vedono nel voto di primavera l’ultima chance (o quasi) per tornare nel giro della politica che conta.

Chi da tempo guarda fuori dai confini di casa nostra è Massimo D’Alema, costretto al passo indietro giusto un anno fa. Pier Luigi Bersani gli chiese di non ricandidarsi per dimostrare che non servivano le bordate rottamatrici di Matteo Renzi per dar luogo al ricambio generazionale. Il sottinteso era che, con Bersani a Palazzo Chigi, si sarebbero spalancate le porte di un ministero di peso. Forse proprio quelle della Farnesina, come ai tempi del Prodi bis. Poi la “non vittoria” del Pd ha lasciato D’Alema fuori dal Parlamento per la prima volta dal 1987.

Lui, orgoglioso, ha incassato senza darlo a vedere fino a smarcarsi pubblicamente dalle beghe del Nazareno. «Non ho ruoli nel Pd, sono un dirigente del Pse» ha affermato di recente, alludendo alla presidenza della Feps ( Foundation for European progressive studies ), il centro studi dei partiti che fanno riferimento al Partito socialista europeo. Insomma, quanto basta per immaginarlo proiettato oltre frontiera, visto anche che in lizza per la presidenza della commissione c’è l’amico di vecchia data Martin Schulz. Con un successo socialista, per D’Alema potrebbe aprirsi anche un ruolo da commissario. Chissà. Intanto resta il nodo della candidatura: Renzi non vuole saperne, per non subire quello che ritiene un danno d’immagine e l’ex ministro degli Esteri ha fatto sapere di non essere interessato all'Europarlamento. Se poi proprio volesse uno scranno a Strasburgo, potrebbe sempre correre nelle fila del Psf francese o della Spd tedesca. Circostanza che peraltro lo esimerebbe dal confronto con le preferenze: in questi due paesi, infatti, le liste sono bloccate. .

Altro nome dato per certo è quello di Claudio Scajola. Da tempo l’ex ministro dello Sviluppo economico, costretto alle dimissioni nel 2010 per la casa al Colosseo acquistata a sua insaputa, sta cercando di tornare in ballo. Adesso che il tribunale di Roma lo ha anche assolto per quella vicenda, Scajola - che in Liguria può contare su un consistente pacchetto di preferenze - è determinato a far valere tutto il suo peso elettorale. «Sarebbe una sfida e a me piacciono le sfide. Mi piacerebbe vedere se i cittadini del Nord-ovest fanno un segno sul mio nome» ha detto in un’intervista un mesetto fa. Insomma, tutto è pronto. La data per l’annuncio ufficiale sarebbe già fissata: domenica 9 marzo all'Auditorium della Camera di commercio di Imperia.

In cerca di riconferma è invece un altro desaparecido, passato dal centrodestra al centrosinistra (e ritorno): Clemente Mastella. Un anno dopo aver fatto cadere Romano Prodi, Silvio Berlusconi lo ricompensò con una candidatura a Strasburgo sotto le insegne del Pdl. L’ideale, per un signore delle preferenze come lui. Da par suo, l’ex Guardasigilli non deluse le aspettative: raccolse 115 mila voti e nella “sua” Benevento ne prese perfino più del Cavaliere, che allora era premier (23.792 contro 21.512). Ed è di nuovo con Berlusconi, senza filtri né intermediari, che Mastella è in trattativa in questi giorni. Senza contare che l’appeal dell’ex leader Udeur è addirittura aumentato: per compensare l’addio di Angelino Alfano e le varie manovre centriste in atto, le facce nuove senza seguito elettorale lasciano il tempo che trovano. E la presenza di “vecchie glorie” per Forza Italia sono al tempo stesso una garanzia e una necessità.

Alla veneranda età di 86 anni non pare intenzionato a rinunciare allo scranno nemmeno Ciriaco De Mita, entrato in Parlamento oltre mezzo secolo fa (era il 1963) e pure lui eurodeputato uscente. Basta ricordare che nel 2008 disse addio al Pd perché Walter Veltroni non lo voleva candidare al Senato. L’ex segretario Dc ci mise un attimo: un colpo di telefono a Pier Ferdinando Casini e subito ottenne un posto in lista. Non venne eletto ma l’anno dopo finì a Strasburgo con 56 mila preferenze. Adesso, in rotta con l’Udc, girano voci che sia intenzionato a tornare nel Pd. O magari finire nel listone centrista, purché venga candidato. In caso contrario, non è escluso che dopo aver piazzato il nipote Giuseppe (consigliere regionale in Campania e poi deputato), stavolta possa essere la volta della figlia Antonia. Sempre sfruttando la forza che il “brand” De Mita ancora riscuote in Irpinia.

Quasi certa è anche la candidatura di Antonio Di Pietro, affondato dagli scandali in salsa Idv e dall’insuccesso di Rivoluzione civile. L’ex pm, che già da mesi ha manifestato l’intenzione di tornare in pista, ambisce a guidare la lista in tutta Italia, per fare da traino a un partito in stato comatoso e aumentare le possibilità di elezione. In una delle ultime riunioni del partito, però, Di Pietro è finito in minoranza. «Non puoi invocare il ricambio e poi essere il capolista in tutte le circoscrizioni» gli hanno rimproverato i suoi. Offeso e mortificato, Di Pietro ha ritirato la propria candidatura. Allo stato attuale, però, in pochi sono pronti a scommettere che non sarà in pista: senza di lui e con la concorrenza di Beppe Grillo, per l’Idv le possibilità di ottenere un seggio sono pressoché pari a zero. Male che va, potrà dimostrare di essere necessario al centrosinistra per raggiungere la soglia per il premio di maggioranza, fissata al 37%.

Sicura ricandidatura anche per il giornalista “identitario” Magdi Cristiano Allam, che di recente ha detto addio a Casini (che l’ha fatto eleggere nel 2009) ed è passato con Giorgia Meloni. Stando ai rumors, sotto la rediviva fiamma di An potrebbe tentare la fortuna in Europa anche Gianni Alemanno, attualmente relegato al misero ruolo di consigliere comunale di opposizione in Campidoglio. Proprio come l’artefice della sua sconfitta Goffredo Bettini, deus ex machina della sinistra romana per un ventennio e scomparso dai radar da tempo. Lo scorso anno Bettini è stato il regista dell’operazione che ha fatto ottenere la fascia tricolore a Ignazio Marino ma pochi mesi dopo la vittoria elettorale il rapporto fra i due è sceso ai minimi termini.

Dopo vari cambi di maglia, pare invece destinato a rinunciare al seggio il filosofo Gianni Vattimo. Dal passato radicale, nel 1999 fu eletto in Europa coi Democratici di sinistra. Nel 2004 passò coi Comunisti italiani per contrastare “la deriva moderata dei Ds” che non lo volevano ricandidare. Cinque anni dopo, la scoperta dell’Italia dei valori, “unica vera opposizione al regime berlusconiano”. Inclusa una brusca virata a destra: «Condivido anche l’uomo d’ordine che è in Di Pietro» affermò in quei giorni. E adesso? Nelle settimane scorse il padre del pensiero debole, sentendosi “legato da simpatie e solidarietà no tav”, ha cercato di riciclarsi col Movimento cinque stelle. Dopo qualche giorno, però, è stato lo Beppe Grillo a smorzare le sue speranze sul nascere: «Vattimo non è candidabile, ha già svolto due mandati».

Il professore, da parte sua, non l’ha presa bene: «Sapevo di questa regola ma non mi sembrava così ovvio che si applicasse automaticamente anche alle elezioni europee». Un mancato abboccamento, insomma, maturato peraltro in maniera tragicomica, stando al racconto fatto dallo stesso Vattimo sul suo blog (che ora, rassegnato, si definisce “politico trombando”): uno dei due numeri che gli avevano di Grillo non esisteva e l'altro suonava a vuoto. E così lui, non sapendo come fare, ha lasciato un messaggio nella segreteria telefonica di Gianroberto Casaleggio.


 
Il mondo dopo l’Ucraina
Bernard Guetta su Internazionale | 7 marzo 2014

A questo punto bisogna prendere atto di come stanno le cose. I rapporti tra la Federazione russa e il binomio Ue-Usa stanno per sgretolarsi, e niente sembra poterlo impedire.

Due giorni fa la situazione appariva incoraggiante, perché a Parigi gli occidentali avevano strappato al ministro degli esteri russo una sorta di assenso sulla creazione di un “gruppo di contatto” a cui avrebbero partecipato sia la Russia che le nuove autorità ucraine. Il “sì” di Sergei Lavrov era condizionato all’approvazione di Vladimir Putin, ma giovedì mattina la risposta è arrivata dalla Crimea: il parlamento della Repubblica autonoma attualmente controllata dalle forze russe ha infatti chiesto l’annessione alla Federazione russa, e ha deciso di organizzare il prossimo 16 marzo un referendum per ratificare questa scelta.

Il dado è tratto, dunque. Mentre Washington continua ad alzare i toni, il Consiglio europeo straordinario riunito a Bruxelles ha annunciato una serie di sanzioni in tre fasi contro la Russia. Se da un lato gli occidentali non accetteranno senza reagire la divisione dell’Ucraina, dall’altro la Russia non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro, e anche se Putin si limitasse all’annessione della Crimea senza forzare la secessione delle regioni orientali dell’Ucraina siamo comunque vicini al punto di non ritorno.

All’orizzonte aleggia una guerra fredda economica in cui le sanzioni occidentali sarebbero seguite dalle rappresaglie russe, in una spirale che potrebbe portare alla cancellazione di gran parte degli scambi commerciali tra Russia, Unione europea e Stati Uniti. A tal proposito è sintomatico che giovedì sera, a Parigi, una cinquantina tra giornalisti e imprenditori francesi abbiano assistito sbigottiti a un violento scontro verbale tra un importante diplomatico francese e il presidente della Commissione affari esteri della Duma che difendeva le posizioni del governo russo. La situazione, insomma, è già molto instabile. Ma quali saranno i prossimi sviluppi?

Salvo imprevisti possiamo aspettarci che Putin ritrovi una grande popolarità nel suo paese. La Crimea fa parte dell’Ucraina soltanto dal 1954, ed è un territorio storicamente russo abitato soprattutto da russi (o da persone che si considerano tali), e dunque la maggioranza dei russi sarà grata al suo presidente per aver riconquistato la penisola sul Mar Nero.

Tuttavia il consolidamento del potere di Putin spingerà la Russia nelle mani della Cina, perché una volta consumata la rottura con gli occidentali Pechino resterà l’unico alleato di Mosca, un alleato molto ingombrante che potrebbe danneggiare gli interessi russi, soprattutto in Siberia. In questo senso Mosca sta chiaramente andando incontro a un declino accelerato, mentre gli europei potrebbero finalmente prendere atto che non possono andare avanti senza una diplomazia e una difesa comuni.

Se ciò accadrà, la crisi ucraina avrà avuto almeno il merito di accelerare l’integrazione europea, e non sarebbe poco.

(Traduzione di Andrea Sparacino)


 
Festa della donna 2014: le vere origini della Giornata Internazionale della Donna
Martina Brusini su leonardo.it | 8 marzo 2014

La Giornata Internazionale della Donna (comunemente conosciuta come “Festa della donna”) ricorre l’8 marzo di ogni anno per ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, come anche le discriminazioni e le violenze di cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo.

Ma da dove nasce questa ricorrenza? Per scoprirlo dobbiamo andare a ritroso di circa un secolo, dritti al cuore del movimento delle “sufragette”. A seguito della fondazione, ad opera di Emmeline Pankhurst, dell’Unione sociale e politica delle donne (1903), durante VII Congresso della II Internazionale socialista – Stoccarda 1907 – a lungo si discusse sulla questione femminile e venne votata una risoluzione nella quale si impegnavano i partiti socialisti a «lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne». Quello stesso anno, durante la Conferenza internazionale delle donne socialiste, si decise la creazione di un Ufficio di informazione delle donne socialiste: Clara Zetkin fu eletta segretaria e la rivista da lei redatta, L’uguaglianza, divenne l’organo dell’Internazionale delle donne socialiste. Fu poi Corinne Brown a presiedere, il 3 maggio 1908, la conferenza tenuta dal Partito socialista di Chicago: quella conferenza, a cui tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman’s Day», il giorno della donna. Si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne. A seguito della conferenza, il Partito socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali «di riservare l’ultima domenica di febbraio 1909 per l’organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile». Fu così che negli Stati Uniti la prima ufficiale giornata della donna fu celebrata il 28 febbraio 1909. L’iniziativa del Woman’s Day fu ripetuta anche l’anno seguente e nell’estate del 1910 la questione fu portata all’attenzione del VIII Congresso dell’Internazionale socialista, organizzato a Copenaghen.

Non fu qui però raggiunto un accordo formale sull’istituzione di una giornata uguale per tutti dedicata alle donne, così negli Stati Uniti il Woman’s Day continuò a tenersi l’ultima domenica di febbraio, mentre  in alcuni paesi europei la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911, data scelta in memoria del 19 marzo 1848, quando, durante la rivoluzione, il re di Prussia dovette riconoscere la potenza del popolo armato e  promettere il riconoscimento del diritto di voto alle donne. In Francia la manifestazione si tenne il 18 marzo 1911, data in cui cadeva il quarantennale della Comune di Parigi e in Russia si tenne invece  per la prima volta a San Pietroburgo il 3 marzo 1913, su iniziativa del Partito bolscevico.

Le celebrazioni furono poi interrotte dalla Prima guerra mondiale, finché a San Pietroburgo, l’8 marzo 1917, le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi incoraggiò successive manifestazioni che portarono al crollo dello zarismo, così l’8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l’inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca, fissò all’8 marzo la «Giornata internazionale dell’operaia».

In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta nel 1922, per iniziativa del Partito comunista. Nel 1944 si creò a Roma l’UDI, Unione Donne in Italia, cui dobbiamo l’iniziativa di celebrare nuovamente, l’8 marzo 1945, la giornata della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all’ONU una Carta della donna contenente richieste di parità di diritti e di lavoro. Con la fine della guerra, l’8 marzo 1946 fu celebrato in tutta l’Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, la mimosa, che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo. Nel 1959 le senatrici Luisa Balboni, Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni, presentarono poi una proposta di legge per rendere la giornata della donna una festa nazionale, ma l’iniziativa cadde nel vuoto. Il clima politico migliorò nel decennio successivo, ma la ricorrenza continuò a non ottenere udienza nell’opinione pubblica finché, con gli anni settanta, in Italia apparve un fenomeno nuovo: il movimento femminista. L’8 marzo 1972 la manifestazione della giornata della donna si tenne a Roma: un folto reparto di polizia piantonava la piazza nella quale poche decine di manifestanti invocavano “legalizzazione dell’aborto”, “liberazione omosessuale”, “matrimonio = prostituzione legalizzata” e che non fossero «lo Stato e la Chiesa ma la donna ad avere il diritto di amministrare l’intero processo della maternità». Slogan che sembrarono intollerabili e la polizia caricò e disperse le manifestanti.

Il 1975 fu poi designato come “Anno Internazionale delle Donne” dalle Nazioni Unite e l’8 marzo le organizzazioni femminili celebrarono in tutto il mondo la giornata internazionale della donna, con manifestazioni che onoravano gli avanzamenti della donna e ricordavano la necessità di una continua vigilanza per assicurare che la loro uguaglianza fosse ottenuta e mantenuta in tutti gli aspetti della vita civile. A partire da quell’anno anche le Nazioni Unite riconobbero nell’8 marzo la giornata dedicata alla donna. Due anni dopo, nel dicembre 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione proclamando una “Giornata delle Nazioni Unite per i diritti della donna e la pace internazionale”. Adottando questa risoluzione l’Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe l’urgenza di porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del loro paese.

Nel breve volgere di pochi decenni però, causa la connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l’isolamento politico della Russia e del movimento comunista e le vicende della II guerra mondiale, la memoria storica delle reali origini della manifestazione andò perduta e già nel secondo dopoguerra presero circolare fantasiose versioni. Non è per esempio vero che, come riporta una nota “leggenda metropolitana”, l’8 marzo voglia ricordare la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton avvenuto nel 1908 a New York, una tesi insostenibile poiché, come hanno dimostrato numerose ricerche effettuate tra gli anni settanta ottanta, il fatto non è mai accaduto! Plausibilmente quest’erronea versione dei fatti si riferisce invece ad una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, ma che nulla ha a che vedere con le celebrazioni dell’8 marzo, anche se i mass media continuano a propinarci l’ormai conclamata versione di fantasia. Sgombriamo quindi il campo da equivoci: l’8 Marzo non ricorda il fantomatico incendio a New York della fabbrica “Cotton”, così come non è dedicato a commemorare la dura repressione subita dalla operaie tessili che manifestarono a New York nel 1857.

Vero è invece che, seppure numerose siano state le conquiste del secolo scorso (diritto di voto attivo e passivo, la legge nazionale che ha dato vita agli asili nido, i consultori familiari, la riforma del diritto di famiglia, l’istituzione della commissione sulle pari opportunità, i congedi parentali, … ) ancora ampio rimane il gap tra i sessi. Cifre e numeri ci tratteggiano ancora una società fortemente sbilanciata: una ricerca sul Global Gender Gap (2012) pone infatti l’Italia all’80° posto su 135 nazioni e, se si considera l’indice relativo alle pari opportunità in ambito economico, il Bel Paese scende addirittura al 101° posto. Altrettanto allarmanti sono i risultati del sondaggio condotto a livello europeo dall’Agenzia Ue per i Diritti Fondamentali, e pubblicati di fresco vista della Giornata Internazionale della Donna: le donne che hanno subito violenza fisica o sessuale dall’età di 15 anni sarebbero ben 62 milioni […] L’Italia si piazza al diciottesimo posto con il 27% dei casi di violenza sulle donne. In Scandinavia le percentuali più elevate: in Danimarca siamo al 52%, in Finlandia al 47%, in Svezia al 46% e in Olanda al 45%.

E’ evidente che il lavoro da fare è ancora lungo, le campagne di sensibilizzazione e l’introduzione di nuovi reati come lo stalking sono certamente un buon punto di partenza e, nonostante le critiche mosse da più parti ad una ricorrenza come quella dell’8 marzo, ben venga una giornata interamente dedicata all’argomento, con iniziative ed eventi da una parte all’altra del Mondo.

  8 marzo 2014