Elezioni
Europee, come ti riciclo il desaparecido
Scajola e
Mastella ma
anche D’Alema, Di Pietro e perfino De Mita. Sono solo alcuni dei
“gattopardi”
pronti a correre alle elezioni di maggio. Tutti in pista per un ultimo
giro di
giostra. E uno stipendio da 18 mila euro al mese
Paolo
Fantauzzi su l'Espresso
| 8 marzo 2014
Uno
spettro s’aggira per l’Europa. Non preannuncia la
rivoluzione né l’esproprio proletario. Chiede solo uno strapuntino per
i
prossimi cinque anni o magari soltanto un’ultima occasione. Per
mettersi di
nuovo alla prova. Dimostrare di avere ancora un peso in cabina
elettorale. E,
aspetto non secondario, puntare allo stipendio da 18 mila euro al mese
che
assicura lo scranno da eurodeputato tra stipendio base, diarie, bonus,
indennità giornaliere e di trasferta.
Un
esercito composito fatto di rottamati, trombati,
naufraghi di partiti ormai estinti, perfino superstiti della Prima
Repubblica.
Tutti alla ricerca di un approdo sicuro in un ultimo, disperato
tentativo di
far girare all’indietro la ruota del tempo. E se le elezioni europee
sono
ancora lontane, gli aspiranti candidati non mancano. Anche perché le
ultime
tornate elettorali hanno via via ingrossato le fila dei politici
rimasti senza
scranno. I quali adesso vedono nel voto di primavera l’ultima chance (o
quasi)
per tornare nel giro della politica che conta.
Chi da tempo guarda fuori dai confini di casa nostra
è
Massimo D’Alema, costretto al passo indietro giusto un anno fa. Pier
Luigi
Bersani gli chiese di non ricandidarsi per dimostrare che non servivano
le
bordate rottamatrici di Matteo Renzi per dar luogo al ricambio
generazionale.
Il sottinteso era che, con Bersani a Palazzo Chigi, si sarebbero
spalancate le
porte di un ministero di peso. Forse proprio quelle della Farnesina,
come ai
tempi del Prodi bis. Poi la “non vittoria” del Pd ha lasciato D’Alema
fuori dal
Parlamento per la prima volta dal 1987.
Lui,
orgoglioso, ha incassato senza darlo a vedere fino a
smarcarsi pubblicamente dalle beghe del Nazareno. «Non ho ruoli nel Pd,
sono un
dirigente del Pse» ha affermato di recente, alludendo alla presidenza
della
Feps ( Foundation for European progressive studies ), il centro studi
dei
partiti che fanno riferimento al Partito socialista europeo. Insomma,
quanto
basta per immaginarlo proiettato oltre frontiera, visto anche che in
lizza per
la presidenza della commissione c’è l’amico di vecchia data Martin
Schulz. Con
un successo socialista, per D’Alema potrebbe aprirsi anche un ruolo da
commissario. Chissà. Intanto resta il nodo della candidatura: Renzi non
vuole
saperne, per non subire quello che ritiene un danno d’immagine e l’ex
ministro
degli Esteri ha fatto sapere di non essere interessato
all'Europarlamento. Se
poi proprio volesse uno scranno a Strasburgo, potrebbe sempre correre
nelle
fila del Psf francese o della Spd tedesca. Circostanza che peraltro lo
esimerebbe dal confronto con le preferenze: in questi due paesi,
infatti, le
liste sono bloccate. .
Altro
nome dato per certo è quello di Claudio Scajola. Da
tempo l’ex ministro dello Sviluppo economico, costretto alle dimissioni
nel
2010 per la casa al Colosseo acquistata a sua insaputa, sta cercando di
tornare
in ballo. Adesso che il tribunale di Roma lo ha anche assolto per
quella
vicenda, Scajola - che in Liguria può contare su un consistente
pacchetto di
preferenze - è determinato a far valere tutto il suo peso elettorale.
«Sarebbe
una sfida e a me piacciono le sfide. Mi piacerebbe vedere se i
cittadini del
Nord-ovest fanno un segno sul mio nome» ha detto in un’intervista un
mesetto
fa. Insomma, tutto è pronto. La data per l’annuncio ufficiale sarebbe
già
fissata: domenica 9 marzo all'Auditorium della Camera di commercio di
Imperia.
In
cerca di riconferma è invece un altro desaparecido,
passato dal centrodestra al centrosinistra (e ritorno): Clemente
Mastella. Un
anno dopo aver fatto cadere Romano Prodi, Silvio Berlusconi lo
ricompensò con
una candidatura a Strasburgo sotto le insegne del Pdl. L’ideale, per un
signore
delle preferenze come lui. Da par suo, l’ex Guardasigilli non deluse le
aspettative: raccolse 115 mila voti e nella “sua” Benevento ne prese
perfino
più del Cavaliere, che allora era premier (23.792 contro 21.512). Ed è
di nuovo
con Berlusconi, senza filtri né intermediari, che Mastella è in
trattativa in
questi giorni. Senza contare che l’appeal dell’ex leader Udeur è
addirittura
aumentato: per compensare l’addio di Angelino Alfano e le varie manovre
centriste in atto, le facce nuove senza seguito elettorale lasciano il
tempo
che trovano. E la presenza di “vecchie glorie” per Forza Italia sono al
tempo
stesso una garanzia e una necessità.
Alla
veneranda età di 86 anni non pare intenzionato a
rinunciare allo scranno nemmeno Ciriaco De Mita, entrato in Parlamento
oltre
mezzo secolo fa (era il 1963) e pure lui eurodeputato uscente. Basta
ricordare
che nel 2008 disse addio al Pd perché Walter Veltroni non lo voleva
candidare
al Senato. L’ex segretario Dc ci mise un attimo: un colpo di telefono a
Pier
Ferdinando Casini e subito ottenne un posto in lista. Non venne eletto
ma
l’anno dopo finì a Strasburgo con 56 mila preferenze. Adesso, in rotta
con
l’Udc, girano voci che sia intenzionato a tornare nel Pd. O magari
finire nel
listone centrista, purché venga candidato. In caso contrario, non è
escluso che
dopo aver piazzato il nipote Giuseppe (consigliere regionale in
Campania e poi
deputato), stavolta possa essere la volta della figlia Antonia. Sempre
sfruttando la forza che il “brand” De Mita ancora riscuote in Irpinia.
Quasi
certa è anche la candidatura di Antonio Di Pietro,
affondato dagli scandali in salsa Idv e dall’insuccesso di Rivoluzione
civile.
L’ex pm, che già da mesi ha manifestato l’intenzione di tornare in
pista,
ambisce a guidare la lista in tutta Italia, per fare da traino a un
partito in
stato comatoso e aumentare le possibilità di elezione. In una delle
ultime
riunioni del partito, però, Di Pietro è finito in minoranza. «Non puoi
invocare
il ricambio e poi essere il capolista in tutte le circoscrizioni» gli
hanno
rimproverato i suoi. Offeso e mortificato, Di Pietro ha ritirato la
propria
candidatura. Allo stato attuale, però, in pochi sono pronti a
scommettere che
non sarà in pista: senza di lui e con la concorrenza di Beppe Grillo,
per l’Idv
le possibilità di ottenere un seggio sono pressoché pari a zero. Male
che va,
potrà dimostrare di essere necessario al centrosinistra per raggiungere
la
soglia per il premio di maggioranza, fissata al 37%.
Sicura
ricandidatura anche per il giornalista “identitario”
Magdi Cristiano Allam, che di recente ha detto addio a Casini (che l’ha
fatto
eleggere nel 2009) ed è passato con Giorgia Meloni. Stando ai rumors,
sotto la
rediviva fiamma di An potrebbe tentare la fortuna in Europa anche
Gianni
Alemanno, attualmente relegato al misero ruolo di consigliere comunale
di
opposizione in Campidoglio. Proprio come l’artefice della sua sconfitta
Goffredo Bettini, deus ex machina della sinistra romana per un
ventennio e
scomparso dai radar da tempo. Lo scorso anno Bettini è stato il regista
dell’operazione che ha fatto ottenere la fascia tricolore a Ignazio
Marino ma
pochi mesi dopo la vittoria elettorale il rapporto fra i due è sceso ai
minimi
termini.
Dopo
vari cambi di maglia, pare invece destinato a
rinunciare al seggio il filosofo Gianni Vattimo. Dal passato radicale,
nel 1999
fu eletto in Europa coi Democratici di sinistra. Nel 2004 passò coi
Comunisti
italiani per contrastare “la deriva moderata dei Ds” che non lo
volevano
ricandidare. Cinque anni dopo, la scoperta dell’Italia dei valori,
“unica vera
opposizione al regime berlusconiano”. Inclusa una brusca virata a
destra:
«Condivido anche l’uomo d’ordine che è in Di Pietro» affermò in quei
giorni. E
adesso? Nelle settimane scorse il padre del pensiero debole, sentendosi
“legato
da simpatie e solidarietà no tav”, ha cercato di riciclarsi col
Movimento
cinque stelle. Dopo qualche giorno, però, è stato lo Beppe Grillo a
smorzare le
sue speranze sul nascere: «Vattimo non è candidabile, ha già svolto due
mandati».
Il
professore, da parte sua, non l’ha presa bene: «Sapevo di
questa regola ma non mi sembrava così ovvio che si applicasse
automaticamente
anche alle elezioni europee». Un mancato abboccamento, insomma,
maturato
peraltro in maniera tragicomica, stando al racconto fatto dallo stesso
Vattimo
sul suo blog (che ora, rassegnato, si definisce “politico trombando”):
uno dei
due numeri che gli avevano di Grillo non esisteva e l'altro suonava a
vuoto. E
così lui, non sapendo come fare, ha lasciato un messaggio nella
segreteria
telefonica di Gianroberto Casaleggio.
Il mondo dopo
l’Ucraina
Bernard
Guetta su Internazionale
| 7 marzo 2014
A
questo punto bisogna prendere atto di come stanno le cose.
I rapporti tra la Federazione russa e il binomio Ue-Usa stanno per
sgretolarsi,
e niente sembra poterlo impedire.
Due
giorni fa la situazione appariva incoraggiante, perché a
Parigi gli occidentali avevano strappato al ministro degli esteri russo
una
sorta di assenso sulla creazione di un “gruppo di contatto” a cui
avrebbero
partecipato sia la Russia che le nuove autorità ucraine. Il “sì” di
Sergei
Lavrov era condizionato all’approvazione di Vladimir Putin, ma giovedì
mattina
la risposta è arrivata dalla Crimea: il parlamento della Repubblica
autonoma
attualmente controllata dalle forze russe ha infatti chiesto
l’annessione alla
Federazione russa, e ha deciso di organizzare il prossimo 16 marzo un
referendum per ratificare questa scelta.
Il
dado è tratto, dunque. Mentre Washington continua ad
alzare i toni, il Consiglio europeo straordinario riunito a Bruxelles
ha
annunciato una serie di sanzioni in tre fasi contro la Russia. Se da un
lato
gli occidentali non accetteranno senza reagire la divisione
dell’Ucraina,
dall’altro la Russia non ha alcuna intenzione di fare un passo
indietro, e
anche se Putin si limitasse all’annessione della Crimea senza forzare
la
secessione delle regioni orientali dell’Ucraina siamo comunque vicini
al punto
di non ritorno.
All’orizzonte
aleggia una guerra fredda economica in cui le
sanzioni occidentali sarebbero seguite dalle rappresaglie russe, in una
spirale
che potrebbe portare alla cancellazione di gran parte degli scambi
commerciali
tra Russia, Unione europea e Stati Uniti. A tal proposito è sintomatico
che
giovedì sera, a Parigi, una cinquantina tra giornalisti e imprenditori
francesi
abbiano assistito sbigottiti a un violento scontro verbale tra un
importante
diplomatico francese e il presidente della Commissione affari esteri
della Duma
che difendeva le posizioni del governo russo. La situazione, insomma, è
già
molto instabile. Ma quali saranno i prossimi sviluppi?
Salvo
imprevisti possiamo aspettarci che Putin ritrovi una
grande popolarità nel suo paese. La Crimea fa parte dell’Ucraina
soltanto dal
1954, ed è un territorio storicamente russo abitato soprattutto da
russi (o da
persone che si considerano tali), e dunque la maggioranza dei russi
sarà grata
al suo presidente per aver riconquistato la penisola sul Mar Nero.
Tuttavia
il consolidamento del potere di Putin spingerà la
Russia nelle mani della Cina, perché una volta consumata la rottura con
gli
occidentali Pechino resterà l’unico alleato di Mosca, un alleato molto
ingombrante che potrebbe danneggiare gli interessi russi, soprattutto
in
Siberia. In questo senso Mosca sta chiaramente andando incontro a un
declino
accelerato, mentre gli europei potrebbero finalmente prendere atto che
non
possono andare avanti senza una diplomazia e una difesa comuni.
Se
ciò accadrà, la crisi ucraina avrà avuto almeno il merito
di accelerare l’integrazione europea, e non sarebbe poco.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Festa della
donna 2014: le vere origini della Giornata Internazionale
della Donna
Martina
Brusini su leonardo.it
| 8 marzo 2014
La
Giornata Internazionale della Donna (comunemente
conosciuta come “Festa della donna”) ricorre l’8 marzo di ogni anno per
ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne,
come anche
le discriminazioni e le violenze di cui esse sono ancora fatte oggetto
in molte
parti del mondo.
Ma
da dove nasce questa ricorrenza? Per scoprirlo dobbiamo
andare a ritroso di circa un secolo, dritti al cuore del movimento
delle
“sufragette”. A seguito della fondazione, ad opera di Emmeline
Pankhurst,
dell’Unione sociale e politica delle donne (1903), durante VII
Congresso della
II Internazionale socialista – Stoccarda 1907 – a lungo si discusse
sulla
questione femminile e venne votata una risoluzione nella quale si
impegnavano i
partiti socialisti a «lottare energicamente per l’introduzione del
suffragio
universale delle donne». Quello stesso anno, durante la Conferenza
internazionale delle donne socialiste, si decise la creazione di un
Ufficio di
informazione delle donne socialiste: Clara Zetkin fu eletta segretaria
e la
rivista da lei redatta, L’uguaglianza, divenne l’organo
dell’Internazionale
delle donne socialiste. Fu poi Corinne Brown a presiedere, il 3 maggio
1908, la
conferenza tenuta dal Partito socialista di Chicago: quella conferenza,
a cui
tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman’s Day», il giorno
della
donna. Si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di
lavoro ai
danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro,
delle
discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne. A seguito
della
conferenza, il Partito socialista americano raccomandò a tutte le
sezioni
locali «di riservare l’ultima domenica di febbraio 1909 per
l’organizzazione di
una manifestazione in favore del diritto di voto femminile». Fu così
che negli
Stati Uniti la prima ufficiale giornata della donna fu celebrata il 28
febbraio
1909. L’iniziativa del Woman’s Day fu ripetuta anche l’anno seguente e
nell’estate del 1910 la questione fu portata all’attenzione del VIII
Congresso
dell’Internazionale socialista, organizzato a Copenaghen.
Non
fu qui però raggiunto un accordo formale
sull’istituzione di una giornata uguale per tutti dedicata alle donne,
così
negli Stati Uniti il Woman’s Day continuò a tenersi l’ultima domenica
di
febbraio, mentre in
alcuni paesi europei
la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911,
data
scelta in memoria del 19 marzo 1848, quando, durante la rivoluzione, il
re di
Prussia dovette riconoscere la potenza del popolo armato e promettere il
riconoscimento del diritto di
voto alle donne. In Francia la manifestazione si tenne il 18 marzo
1911, data
in cui cadeva il quarantennale della Comune di Parigi e in Russia si
tenne
invece per la prima
volta a San
Pietroburgo il 3 marzo 1913, su iniziativa del Partito bolscevico.
Le
celebrazioni furono poi interrotte dalla Prima guerra
mondiale, finché a San Pietroburgo, l’8 marzo 1917, le donne della
capitale
guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della
guerra: la
fiacca reazione dei cosacchi incoraggiò successive manifestazioni che
portarono
al crollo dello zarismo, così l’8 marzo 1917 è rimasto nella storia a
indicare
l’inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo il 14
giugno
1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta
a
Mosca, fissò all’8 marzo la «Giornata internazionale dell’operaia».
In
Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta
per la prima volta nel 1922, per iniziativa del Partito comunista. Nel
1944 si
creò a Roma l’UDI, Unione Donne in Italia, cui dobbiamo l’iniziativa di
celebrare nuovamente, l’8 marzo 1945, la giornata della donna nelle
zone
dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all’ONU
una
Carta della donna contenente richieste di parità di diritti e di
lavoro. Con la
fine della guerra, l’8 marzo 1946 fu celebrato in tutta l’Italia e vide
la
prima comparsa del suo simbolo, la mimosa, che fiorisce proprio nei
primi
giorni di marzo. Nel 1959 le senatrici Luisa Balboni, Giuseppina
Palumbo e
Giuliana Nenni, presentarono poi una proposta di legge per rendere la
giornata
della donna una festa nazionale, ma l’iniziativa cadde nel vuoto. Il
clima
politico migliorò nel decennio successivo, ma la ricorrenza continuò a
non
ottenere udienza nell’opinione pubblica finché, con gli anni settanta,
in
Italia apparve un fenomeno nuovo: il movimento femminista. L’8 marzo
1972 la
manifestazione della giornata della donna si tenne a Roma: un folto
reparto di
polizia piantonava la piazza nella quale poche decine di manifestanti
invocavano
“legalizzazione dell’aborto”, “liberazione omosessuale”, “matrimonio =
prostituzione legalizzata” e che non fossero «lo Stato e la Chiesa ma
la donna
ad avere il diritto di amministrare l’intero processo della maternità».
Slogan
che sembrarono intollerabili e la polizia caricò e disperse le
manifestanti.
Il
1975 fu poi designato come “Anno Internazionale delle
Donne” dalle Nazioni Unite e l’8 marzo le organizzazioni femminili
celebrarono
in tutto il mondo la giornata internazionale della donna, con
manifestazioni
che onoravano gli avanzamenti della donna e ricordavano la necessità di
una
continua vigilanza per assicurare che la loro uguaglianza fosse
ottenuta e
mantenuta in tutti gli aspetti della vita civile. A partire da
quell’anno anche
le Nazioni Unite riconobbero nell’8 marzo la giornata dedicata alla
donna. Due
anni dopo, nel dicembre 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite
adottò
una risoluzione proclamando una “Giornata delle Nazioni Unite per i
diritti
della donna e la pace internazionale”. Adottando questa risoluzione
l’Assemblea
riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace e riconobbe
l’urgenza di
porre fine a ogni discriminazione e di aumentare gli appoggi a una
piena e
paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale del
loro paese.
Nel
breve volgere di pochi decenni però, causa la
connotazione fortemente politica della Giornata della donna,
l’isolamento
politico della Russia e del movimento comunista e le vicende della II
guerra
mondiale, la memoria storica delle reali origini della manifestazione
andò
perduta e già nel secondo dopoguerra presero circolare fantasiose
versioni. Non
è per esempio vero che, come riporta una nota “leggenda metropolitana”,
l’8
marzo voglia ricordare la morte di centinaia di operaie nel rogo di una
inesistente fabbrica di camicie Cotton avvenuto nel 1908 a New York,
una tesi
insostenibile poiché, come hanno dimostrato numerose ricerche
effettuate tra
gli anni settanta ottanta, il fatto non è mai accaduto! Plausibilmente
quest’erronea versione dei fatti si riferisce invece ad una tragedia
realmente
verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della
fabbrica
Triangle, ma che nulla ha a che vedere con le celebrazioni dell’8
marzo, anche
se i mass media continuano a propinarci l’ormai conclamata versione di
fantasia. Sgombriamo quindi il campo da equivoci: l’8 Marzo non ricorda
il
fantomatico incendio a New York della fabbrica “Cotton”, così come non
è
dedicato a commemorare la dura repressione subita dalla operaie tessili
che
manifestarono a New York nel 1857.
Vero
è invece che, seppure numerose siano state le conquiste
del secolo scorso (diritto di voto attivo e passivo, la legge nazionale
che ha
dato vita agli asili nido, i consultori familiari, la riforma del
diritto di
famiglia, l’istituzione della commissione sulle pari opportunità, i
congedi
parentali, … ) ancora ampio rimane il gap tra i sessi. Cifre e numeri
ci
tratteggiano ancora una società fortemente sbilanciata: una ricerca sul
Global
Gender Gap (2012) pone infatti l’Italia all’80° posto su 135 nazioni e,
se si
considera l’indice relativo alle pari opportunità in ambito economico,
il Bel
Paese scende addirittura al 101° posto. Altrettanto allarmanti sono i
risultati
del sondaggio condotto a livello europeo dall’Agenzia Ue per i Diritti
Fondamentali, e pubblicati di fresco vista della Giornata
Internazionale della
Donna: le donne che hanno subito violenza fisica o sessuale dall’età di
15 anni
sarebbero ben 62 milioni […] L’Italia si piazza al diciottesimo posto
con il
27% dei casi di violenza sulle donne. In Scandinavia le percentuali più
elevate: in Danimarca siamo al 52%, in Finlandia al 47%, in Svezia al
46% e in
Olanda al 45%.
E’
evidente che il lavoro da fare è ancora lungo, le
campagne di sensibilizzazione e l’introduzione di nuovi reati come lo
stalking
sono certamente un buon punto di partenza e, nonostante le critiche
mosse da
più parti ad una ricorrenza come quella dell’8 marzo, ben venga una
giornata
interamente dedicata all’argomento, con iniziative ed eventi da una
parte
all’altra del Mondo.
8 marzo
2014