sulla stampa
17 marzo 2014
F35, Napolitano
interviene per bloccare il diritto di scelta
del Parlamento
Il capo dello
Stato ha
inserito tra i punti all'ordine del giorno del prossimo Consiglio
supremo di
difesa le "criticità relative all'attuazione della Legge 244", che
assicura ai parlamentari il potere di controllo sulle spese militari.
Oltre al
danno arriverebbe la beffa: maxi penale in arrivo se non si rinuncerà
ai
cacciabombardieri Usa
di
Enrico
Piovesana su Il Fatto Quotidiano
| 14 marzo 2014
Giorgio
Napolitano prepara un nuovo colpo di mano a difesa
degli F35, rischiando di scatenare un grave scontro istituzionale con
il
Parlamento. Dopo le insistenti voci circolate nei giorni scorsi sul
possibile
taglio all’acquisito dei cacciabombardieri americani per recuperare
risorse
finanziarie da destinare al “Piano Renzi” (voci che hanno fatto molto
innervosire i nostri generali e gli americani), il presidente della
Repubblica
ha convocato per mercoledì prossimo il Consiglio supremo di difesa
mettendo all’ordine
del giorno le “criticità relative all’attuazione della Legge 244″.
Tradotto:
non è il caso che il Parlamento, come previsto da quella legge
approvata nel
2012, abbia potere di controllo sulle spese della Difesa.
Questo
diktat
presidenziale era già calato lo scorso luglio,
all’indomani dell’approvazione delle mozioni parlamentari che, proprio
in virtù
dell’articolo 4 della legge 244, istituivano un’indagine conoscitiva
sulle
spese militari in generale e sugli F35 in particolare. Allora i
parlamentari
reagirono con fermezza, in particolare il capogruppo Pd in commissione
Difesa,
Giampiero Scanu, che parlò di un intervento fuori luogo, non essendo
competenza
del Consiglio supremo di difesa sollevare obiezioni su una legge del
Parlamento, controfirmata tra l’altro dal presidente della Repubblica.
Stavolta
si
profila un vero e proprio scontro istituzionale,
poiché l’indagine conoscitiva della commissione parlamentare è in fase
conclusiva e sulla scrivania di Matteo Renzi c’è già la relazione
finale targata
Pd che chiede il dimezzamento del programma F35 a vantaggio del
programma
alternativo Eurofighter. Proprio ieri, mentre Napolitano preparava la
sua
mossa, il ministro della Difesa Roberta Pinotti, pur non citando gli
F35,
dichiarava alla stampa che “il governo è pronto a rivedere, ridurre o
ripensare
anche grandi progetti avviati o ipotizzati, qualora mutati scenari
internazionali o economici lo indicheranno come opportuno, nel rispetto
del
ruolo del Parlamento e delle sue prerogative, così come previsto anche
nella
stessa legge delega 244″. Tra pochi giorni si capirà se sarà così.
Se
Napolitano e
Renzi sceglieranno di cedere al pressing di
Washington e dei nostri generali decidendo di confermare l’intero
programma
F35, la loro scelta rischia tra l’altro di costarci ancor più cara del
previsto
poiché la conseguente cancellazione definitiva della Tranche 3B di
Eurofighter
(25 aerei per circa due miliardi) comporterebbe il pagamento di una
salatissima
penale, come dimostra il caso tedesco (richiesto quasi un miliardo di
penale su
un ordine annullato di tre miliardi) e come confermano fonti
industriali.
Se
invece
l’Italia scegliesse di puntare ancora sugli
Eurofighter, che tutti gli esperti considerano nettamente superiori
agli F35 (e
con ricadute tecnologiche e occupazionali nemmeno paragonabili), il
numero di
questi nuovi aerei multi-ruolo in dotazione all’Aeronautica salirebbe a
93: con
i sei F35 che la Difesa ha ormai già acquistato in modo irreversibile,
si
avrebbe una flotta aerea più che sufficiente a rimpiazzare il centinaio
di
Tornado e Amx che andranno in pensione a metà del prossimo decennio,
senza
dover spendere altre decine di miliardi in F35. Rimarrebbe aperta solo
la
questione dei quindici F35 a decollo verticale destinati alla Marina in
sostituzione
degli Harrier imbarcati sulla portaerei Cavour: quella che in cinque
anni di
servizio è stata usata solo per due missioni “commercial-umanitarie”
sponsorizzate da privati perché la Difesa non ha i soldi per pagare il
gasolio.
Il primo capitolo del Libro Bianco della Difesa di cui tanto si parla
dovrebbe
intitolarsi “Spese inutili che non ci possiamo permettere”.
|
|
Gad Lerner su www.gadlerner.it
| 17 marzo 2014
F35, il governo
apre a una riduzione ma sul taglio non
mancano le incognite
Il ministro
della
difesa Roberta Pinotti e lo stesso Matteo Renzi hanno annunciato una
revisione
del programma di acquisto dei caccia. E se il Movimento NoF35 chiede
l'abolizione totale della spesa, i centristi si smarcano e bisogna
superare lo
scoglio del Quirinale e del Consiglio Supremo di Difesa
Luca
Sappino su
l'Espresso
| 17 marzo 2014
Matteo
Renzi ha
confermato l’annuncio del ministro della
Difesa Roberta Pinotti, che sugli F35 ha detto che «è lecito immaginare
che si
può ripensare, si può ridurre». Dal suo tour europeo il presidente del
consiglio ha colto la palla al balzo per ribadire la promessa, sapendo
bene che
il titolo che ottiene è spesso più forte della stessa dichiarazione:
«Il
ministro Pinotti» ha detto infatti Renzi, «ha ragione a dire che
risparmieremo
molti soldi dalla Difesa: 3 miliardi di euro, non tutti dagli F35, ma
dal
recupero delle caserme e dalla riorganizzazione delle strutture
militari. Sugli
F35 continuiamo con i programmi internazionali e una forte aeronautica
ma quel
programma sarà rivisto».
La
prudenza è
dunque esattamente quella di Pinotti che a
Maria Latella su Sky ha subito precisato che sì, «c'è un impegno
assunto dal
governo» ma bisogna comunque aspettare «la fine dell'indagine
conoscitiva per
prendere una decisione». E poi bisogna pensarci bene: «bisogna
chiedersi:
vogliamo un'aeronautica? Dobbiamo chiederci che tipo di difesa
vogliamo, quale
tipo di protezione ci può servire». Toni più decisi e numeri più
precisi,
ministro e premier li danno sulle 385 caserme da dismettere («da tanti
anni ci
sono immobili fermi, risolvere questo problema non sarà semplice ma è
un dovere
patriottico») e sul personale: «stiamo passando da 190 mila a 150 mila
militari
da qui al 2024» conta Pinotti, rivendicando gli effetti di un riordino
voluto
in realtà dal ministro dell’era Monti Giampaolo Di Paola, «e da 30 mila
a 20
mila unità del personale civile della Difesa».
Sugli
F35
bisogna aspettare «l’indagine conoscitiva», ma il
democratico Giuseppe Civati che plaude al «tabù caduto» rispetto alle
precedenti posizioni del Pd, ricorda polemico che bisogna aspettare
anche «il
giudizio del Quirinale e del Consiglio Supremo di Difesa» che «l’estate
scorsa,
intervenne duramente contro il Parlamento», rendendosi protagonista di
«un’ingerenza molto forte».
I propositi del
governo non convincono Mario Mauro, ministro
della Difesa del fu governo Letta, e ora leader dei Popolari per
l’Italia,
nella maggioranza di Renzi. Sarà per togliersi qualche sassolino ma
Mauro
polemizza: «F35 è una parola di sinistra. Nasce con un governo Pd,
viene votata
da 10 anni dal Pd. Ora improvvisamente, con questi chiari di luna in
Crimea e
in Ucraina, il Pd decide che non ne abbiamo più bisogno?».
Mauro,
che
evidentemente avrebbe voluto mandare in Ucraina
dei caccia la cui consegna è prevista per il 2020, non apprezza
l’intento: «non
si può cambiare posizione in continuazione, altrimenti si viene fatti
fuori
dall’indotto». L'ex ministro non condivide
la scelta di abbandonare gli F35 per puntare
sugli Eurofighter, perché
«per carità il parlamento è sovrano», ma quelli «sono intercettori e
non
cacciabombardieri. E non costano meno degli F35». Sulle caserme, poi,
rivendica: «la task force annunciata dal ministro l’avevo già creata
io, così
come l’elenco delle caserme che poteva esser riutilizzate». «La
verità»,
conclude, «è che non si riesce a far nulla perché gli enti locali
pongono mille
ostacoli». Ostacoli fastidiosi, tipo «i piani regolatori».
Francesco
Vignarca coordinatore nazionale della Rete
italiana per il disarmo ricorda la posizione del movimento NoF35: «va
bene
anche un passo alla volta, ma noi chiediamo la cancellazione integrale
del
programma».
Con
l’Espresso
poi, Vignarca, stimola il governo:
«potrebbero fare subito le loro scelte, senza aspettare il parlamento
con i
suoi veti incorciati né l’indagine conoscitiva i cui esiti non a caso
tardano
ad arrivare. Già adesso il ministero della Difesa potrebbe decidere di
sospendere o ridurre il programma, perché è nella sua disponibilità».
Plaude
all’intenzione, Vignarca, e suggerisce altre immediate voci da
tagliare: «Renzi
può eliminare l’istituto dell’ausiliaria che da solo vale mezzo
miliardo l’anno».
E
poi c’è «il
trucco» del ministero dello Sviluppo
Economico, «che da solo ha stanziato per l'anno in corso 2,8 miliardi
di euro
per programmi d’arma, che non compaiono quindi nel bilancio della
difesa». «Il
rifinanziamento delle missioni, approvato con un voto di fiducia,
Afghanistan
compreso» conclude Vignarca, «non fa ben sperare», ma «volendo» Renzi,
«ha
tutti gli strumenti per intervenire subito. Gli Usa lo hanno già fatto
senza
troppe remore».
F-35,
l'illusione dei posti di lavoro
Uno studio Usa
dimezza
le stime sulle ricadute occupazionali del supercaccia. E svela
l'intreccio di
interessi politici. Un'analisi che potrebbe riguardare anche l'Italia
Gianluca
Di Feo
su l'Espresso
| 23 gennaio 2014
Hanno
promesso
il cielo, ma potrebbe essere solo una costosa
illusione. L'ultimo attacco contro l'F-35, il supercaccia adottato
anche
dall'Italia, viene dallo studio del Center for International Policy: un
lungo
dossier che contesta le ricadute occupazionali del progetto militare
più esoso
della storia. E così ripropone un tema antico, che riguarda
strettamente anche
il nostro paese: quale è il beneficio sull'economia determinato dagli
investimenti bellici?
Le
conclusioni
della ricerca sono chiare: la Lockheed
Martin, azienda responsabile del progetto, sostiene che l'F-35 farà
nascere 125
mila posti di lavoro, mentre in realtà saranno meno della metà. I
ricercatori
credono che si arriverà al massimo a 50-60 mila. “Gli slogan sul
supercaccia
come job generator sono stati l'ultima istanza per sostenere un
programma
afflitto da aumenti di prezzo, problemi tecnici e gli interrogativi
sulla
necessità di una macchina simile in un mondo in cui i combattimenti
aerei tra
jet rivali sembrano sempre più una forma obsoleta di guerra”.
Stando
al
documento, dei 125 mila posti indicati dalla
Lockheed solo 32.500 sono legati alla costruzione del velivolo, mentre
gli
altri 93 mila nasceranno nell'indotto d'ogni genere. L'unico studio
scientifico
sulle ricadute degli investimenti militari – condotto da Robert Pellin
e Heidi
Garrett Pellier dell'Università del Massachusetts – valuta che per ogni
miliardo di dollari speso dal Pentagono si generino 11.200 posti: un
dato che
proiettato sul budget del supercaccia dimezza le assunzioni paventate
dalla
Lockheed. Persino un'altra analisi – finanziata dall'Associazione
americana
delle industrie aerospaziali a Stephen Fuller della George Mason
University –
offre una stima delle ricadute occupazionali inferiore a quella fornita
dal
produttore dell'F-35.
Il
dossier poi
lancia un'altra bordata contro il
supercaccia: lo accusa di servire la “politica del barile di porco”. È
il
termine che si usa negli Stati Uniti contro la spesa di denaro pubblico
assegnata ai collegi elettorali dei parlamentari che fanno approvare
gli
stanziamenti: un vizio diffuso pure in Italia. Gli analisti del Center
for
International Policy sono andati a confrontare i siti dove avverrà la
produzione dell'F-35 con i distretti di senatori e deputati,
evidenziando come
i benefici ricadono soprattutto a vantaggio dei loro elettori. I
sostenitori
più accaniti del programma Lockheed sono eletti dove l'aereo sarà
prodotto: nel
documento sono elencati nomi e impianti, mostrando quale sarà il loro
tornaconto politico.
L'ultimo
capitolo setaccia i finanziamenti concessi dalle
aziende coinvolte nell'F-35 ai parlamentari che hanno sostenuto il
programma:
oltre 11 milioni di dollari in due sole campagne elettorali. E stiamo
parlando
soltanto dei contributi per le spese di propaganda, che negli Usa sono
censiti
in totale trasparenza, senza considerare le sponsorizzazioni di eventi.
Anche
in questo caso, il rapporto pubblica nomi e cifre.
E
l'Italia? Dal
rapporto si evidenzia solo un dato, tutto
sommato positivo: il nostro paese ha il maggior numero di aziende non
americane
interessate alla produzione. Sono ben 36, anche se molte avranno un
ruolo molto
piccolo nell'attività. Le ricadute occupazionali però restano una
grande
incognita. A fronte di circa 13 miliardi di euro previsti per
acquistare 90 supercaccia
quanto lavoro pioverà nella Penisola?
La prima stima
elaborata dalle nostre forze armate parlava
di 10 mila posti con un giro d'affari di 18,6 miliardi di dollari. Un
investimento quindi destinato a dare più di quanto spendiamo. La
valutazione
ruotava intorno al futuro dello stabilimento di Cameri (Novara), dove
avverrà
l'assemblaggio degli aerei e la cui costruzione è stata gestita
direttamente
dai militari. L'Italia è l'unico dei partner del programma che ha
scelto di
realizzare una fabbrica del genere: la Gran Bretagna, che dopo gli Usa
ha la
fetta più consistente del consorzio F-35– non l'ha ritenuta conveniente.
Invece noi
abbiamo lanciato il cuore oltre l'ostacolo,
spendendo 800 milioni di euro per tirare su il complesso piemontese.
Con un
calcolo a doppio rischio.
L'impianto
di
Cameri è nato nella convinzione di sfornare
almeno 250 jet. Di questi, 131 erano destinati alla nostra Aeronautica
e alla
nostra Marina, 85 all'Olanda e si contava di ritagliare una quota dei
contratti
per Turchia e Israele. Ma la spending review ha ridotto a 90 le
commesse
nazionali mentre gli olandesi finora hanno deciso di comprarne solo 37:
gli
ordini potrebbe aumentare ma sembra difficile che superino quota 50. Al
momento
quindi manca un terzo dei velivoli previsti.
Il
secondo
obiettivo della fabbrica piemontese è quello di
intercettare la manutenzione di tutti gli F-35 in volo nell'area
mediterranea:
oltre ai nostri, quelli di Israele, Turchia e delle basi statunitensi
in
Europa. Un business sicuramente remunerativo e di lungo periodo, ma per
il
quale non esistono contratti firmati. E non è detto che le aziende
italiane
possano offrire prezzi competitivi rispetto alla concorrenza straniera.
La
Lockheed non
si pronuncia su questo punto. Limita la
ricaduta per il nostro paese a un totale di 13 miliardi di dollari, di
cui solo
9 però sicuri e il resto legato agli sviluppo negli ordini. Dietro
queste
stime, quanti sono gli italiani che hanno trovato lavoro sulla scia
dell'F-35?
Mancano dati certi.
A
Cameri sono
di sicuro meno di mille, ma la produzione è
ancora limitata ai primissimi aerei per l'Aeronautica e a una quantità
ridotta
di ali che Finmeccanica fornirà all'intero programma. E forse prima di
stanziare altri miliardi, sarebbe il caso di fare chiarezza su questo
argomento
chiave. Evitando il rischio di tirare su altre cattedrali nel deserto,
come è
accaduto troppo spesso nella storia recente del nostro paese: impianti
faraonici che non hanno mantenuto le promesse, divorando invece risorse
fondamentali per il futuro di tutti.
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