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sulla stampa
7 aprile 2014


L'APPELLO

Verso la svolta autoritaria
Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, Roberta De Monticelli, Salvatore Settis, Rosetta Loy, Corrado Stajano, Giovanna Borgese, Alberto Vannucci, Elisabetta Rubini, Gaetano Azzariti, Costanza Firrao, Alessandro Bruni, Simona Peverelli, Nando dalla Chiesa, Adriano Prosperi, Fabio Evangelisti Barbara Spinelli, Paul Ginsborg, Maurizio Landini, Marco Revelli, Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio, Gino Strada, Paola Patuelli, Tomaso Montanari, Cristina Scaletti, Antonio Caputo, Pancho Pardi, Ubaldo Nannucci, Maso Notarianni, Raniero La Valle, Ferdinando Imposimato, Luciano Gallino, Domenico Gallo, Ermanno Vitale, Dario Fo, Fiorella Mannoia
su www.libertaegiustizia.it | 27 marzo 2014

Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali.
Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell'ordine amministrativo, l'Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti)  a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l'attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto.
Il fatto che non sia Berlusconi ma il leader del Pd a prendere in mano il testimone della svolta autoritaria è ancora più grave perché neutralizza l'opinione di opposizione. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è l'appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è sbagliato.
Una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il leader che la propone.


 
In povertà sua lieta sciala da gran signore
A volte le parole diventano di ghiaccio e non sono più pronunciabili. Bisogna dare alla parola Senato un nuovo ma sostanzioso significato
Eugenio Scalfari su la Repubblica | 6 aprile 2014

Matteo Renzi è per il cambiamento? Anche noi siamo per il cambiamento. Renzi è per le riforme? Anche noi siamo per le riforme. Renzi è per la prevalenza della politica sull'economia? Noi siamo per l'economia politica, forse è la stessa cosa detta con altre parole, ma forse no, dipende. Renzi è per gli annunci ai quali seguiranno i fatti? Noi siamo per i fatti e per i programmi che inquadrano i fatti già avvenuti nel quadro di un sistema.
Infine, Renzi è per la riforma del Senato ed anche noi lo siamo, ma c'è riforma e riforma, cambiamento e cambiamento, innovazione e innovazione. A volte, come diceva Rabelais nel suo Pantagruel, le parole diventano di ghiaccio e non sono più pronunciabili. Bisogna dunque farle sciogliere e dar loro un senso, un significato. Il problema dunque è questo: dare alla parola Senato un nuovo ma sostanzioso significato. Oppure tanto vale abolirlo.
Il Senato delle autonomie non ha senso alcuno, c'è già la conferenza Stato-Regioni, che comprende anche i Comuni; è formata da tutti i governatori e da tutti i sindaci ed ha un comitato ristretto eletto dall'assemblea di tutti i suddetti. Non costa un centesimo se non il viaggio a Roma quando l'incontro col governo ha luogo.
Il Senato delle autonomie sarebbe un inutile doppione. I romani, quando parlavano della loro Repubblica, dicevano Senatus populusque. Durò quattrocento anni, Ottaviano Augusto lo conservò, Nerva e i suoi quattro successori lo restaurarono; poi ebbe inizio il declino dell'impero che durò per altri quattro secoli. Adesso il tempo corre assai più velocemente.
Dunque cominciamo dal Senato. Nessuno, tranne il movimento di Rodotà e Zagrebelsky, si oppone all'abolizione del bicameralismo perfetto perché, appunto, è una gigantesca imperfezione.
In teoria neppure il Movimento 5 Stelle vi si oppone anche se voterà contro adducendo pretesti privi di consistenza. Lo vuole Renzi, lo vuole Berlusconi, lo vuole Alfano, lo volevano i "saggi", lo vuole anche l'attuale presidente Pietro Grasso e lo vuole Giorgio Napolitano. E non soltanto per tagliare il numero dei senatori e non spendere neppure un euro per chi vi partecipa. Anche il numero dei deputati dovrebbe essere tagliato, ma queste sono economie che equivalgono a voler prosciugare il mare usando il cucchiaio.
Qui invece stiamo parlando di architettura costituzionale che è tutt'altra cosa. Il Senato non dovrà più votare la fiducia al governo né approvare il bilancio dello Stato e la legislazione connessa, salvo che non si ravvisi una violazione costituzionale. Sulla costituzionalità di tutti gli atti del governo il Senato potrebbe, anzi dovrebbe esercitare la sua vigilanza allo stesso modo in cui l'esercita la Camera.
Così pure potrebbe, anzi dovrebbe esercitare un accurato controllo sulla pubblica amministrazione, tanto più rigoroso in quanto la Camera esprime il governo e lo sostiene con la sua fiducia. Il Senato è dunque il ramo del Parlamento più consono al controllo della regolarità e dell'efficienza della pubblica amministrazione. Si dirà che una parte di questo controllo è affidato alla Corte dei Conti, ma quella è una magistratura che persegue irregolarità o addirittura reati di natura contabile; negli ultimi tempi è andata al di là di queste sue competenze e non è comunque un ramo del Parlamento.
Infine il Senato potrebbe, anzi dovrebbe svolgere un ruolo culturale approfondendo temi scientifici, sanitari, ecologici, umanistici, che spesso sono affrontati dal governo e dalle Regioni senza preparazione e quindi compiendo errori che possono essere di grave nocumento per i governati. Per adempiere a questo compito il Senato dovrebbe esser composto da un certo numero di membri che rappresentino altrettante "eccellenze" e le mettano a tempo pieno a disposizione del paese. Non possono certo essere eletti, ma nominati dal capo dello Stato che potrà avvalersi di rose di nomi fornite da Accademie culturali, Università, scuole specializzate. Concordo pienamente su questo punto con la senatrice a vita Elena Cattaneo che ha formulato in proposito una sua specifica proposta.
Questo è il mio pensiero che vale quel che vale, cioè assai poco. Ma i temi no, non sono soggettivi. I temi per fare dell'attuale Senato non una scatoletta vuota ma una Camera Alta nel pieno senso della parola, sono questi e su di essi si può e anzi si deve svolgere un libero dibattito che porti ad una legge costituzionale idonea a costruire un'equilibrata architettura costituzionale.
In una fase in cui si aumenta il potere decisionale del governo e soprattutto quello del premier, annullare completamente una delle due Camere configura una tendenzialità autoritaria estremamente rischiosa specie in tempi di partiti personalizzati. La premiership è cosa del tutto diversa dall'attuale presidenza del Consiglio. Diversa e probabilmente necessaria purché opportunamente bilanciata. I poteri e il rapporto tra di essi in Usa tra il Presidente degli Stati Uniti e il Congresso ne sono la prova, confortata da quella del Regno Unito britannico nel rapporto tra il premier e i Comuni. Congresso in America, Camera dei Lord in Gran Bretagna sono due esempi da non perder di vista in Italia e nella futura Europa nel giorno auspicabile in cui diventerà un vero Stato federale.
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Zagrebelsky e Rodotà. Bicameralismo perfetto: una precisazione
su www.libertaegiustizia.it | 6 aprile 2014

Su “Repubblica” di oggi Eugenio Scalfari scrive che “nessuno, tranne il movimento di Rodotà e Zagrebelsky, si oppone all'abolizione del bicameralismo perfetto”. Intervistato proprio da “Repubblica”, Gustavo Zagrebelsky ha affermato che bisogna “andare oltre il bicameralismo perfetto”. Intervistato da “l'Unità”, Stefano Rodotà ha delineato con chiarezza un sistema che abbandonava proprio il bicameralismo perfetto, configurando un Senato di garanzia, privo in particolare del potere di votare la fiducia al governo e di approvare la legge di bilancio. Inoltre, in molte occasioni, entrambi hanno criticato l'attuale bicameralismo e sottolineato la necessità di un suo abbandono.
La disinformazione che ha accompagnato il dibattito sul Manifesto di Libertà e Giustizia ha prodotto spesso giudizi fuorvianti che ne alterano lo spirito e gli obiettivi.



Il dibattito su BERSAGLIO MOBILE del 4 aprile



  7 aprile 2014