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24 aprile 2014


Stamina

Stamina, chiusa l'inchiesta a Torino
«Esseri umani usati come cavie»
Venti gli indagati. Le accuse: associazione per delinquere, truffa e somministrazione pericolosa di farmaci. Vannoni: «Pronti a riprendere le infusioni»
Marco Imarisio e Redazione Salute Online sul Corriere della Sera

Punto e a capo. La chiusura di quella che era stata definita la madre di tutte le inchieste sul metodo Stamina segna uno spartiacque nella vicenda della contestata cura basata sulle cellule staminali inventata, o meglio, propagandata, da Davide Vannoni. Il professore torinese di psicologia è accusato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata dall'essere in danno al servizio sanitario nazionale, somministrazione pericolosa di farmaci, esercizio abusivo della professione medica, e di altri reati minori. Da oggi, se non altro, il balletto sull'autorizzazione e la proibizione all'uso del metodo, fatto di volta in volta da tribunali del lavoro o amministrativi, dovrebbe risultare più difficile. Gli indagati sono venti: oltre a Davide Vannoni, padre della contestata terapia, tra gli indagati ci sono il suo vice Marino Andolina, biologi, neurologi, il responsabile dell'ufficio ricerca e sperimentazione clinica dell'Aifa Carlo Tomino e otto medici degli Spedali di Brescia (anche Ermanna Derelli, direttore sanitario dell'ospedale bresciano). Tomino «pur prendendo e dando esplicitamente atto della mancanza della necessaria documentazione ivi indicata....comunicava il primo agosto 2011 al direttore generale dell'azienda Spedali civili di Brescia che non si ravvedono ragioni ostative al trattamento indicato». Il dirigente non avrebbe poi fatto controllare all'Aifa le «dichiarazioni mendaci» di Vannoni permettendo così che la sperimentazione continuasse ad avvenire a Brescia.

I pazienti come cavie
Nell'avviso di chiusura indagine firmato dal procuratore Raffaele Guariniello, che prelude la richiesta di rinvio a giudizio, è scritto che Vannoni avrebbe operato su 101 pazienti «senza eseguire o far eseguire i test necessari prima dell'impiego del prodotto sull'uomo, così indebitamente trasformato in cavia», e «in assenza di qualsivoglia pubblicazione scientifica atta a identificare le caratteristiche del cosiddetto metodo Stamina e a renderlo consolidato e riconoscibile». Vannoni e gli altri indagati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, secondo la procura di Torino, avrebbero operato «in assenza dei prescritti requisiti e delle autorizzazioni necessarie per l'impiego di terapie avanzate al di fuori della sperimentazione clinica, e quindi, della necessaria garanzie di efficacia sicurezza e qualità del prodotto somministrato». «Le predette terapie con cellule staminali - c'è scritto nell'atto di chiusura indagini - risultano non autorizzate dall Aifa, non segnalate ne iscritte nell'apposita banca dati, presso l'Istituto superiore di Sanità». Inoltre tutto sarebbe avvenuto senza «l'adeguata informazione circa la terapia da somministrare, la natura dei trattamenti e i possibili rischi».

Le minacce
Fra le accuse contestate dalla procura di Torino ci sono anche le minacce ai genitori di una piccola paziente. Ne risponde, in particolare, il medico Marino Andolina, per una telefonata che avrebbe fatto intorno al 3 gennaio di quest'anno «dicendo che non avrebbe avuto pietà di loro e che gliela avrebbe fatta pagare» per le dichiarazioni che i genitori rilasciarono ai quotidiani. Per Davide Vannoni si procede anche per diffamazione per dei post su facebook riferiti al Cardiocentro Ticino di Lugano: avrebbe definito «cialtrona» una biologa e, parlando in generale dei medici, avrebbe scritto «non sopporto i vigliacchi».

La testimonianza chiave
L'inchiesta è importante perché ripartendo dalle prime conclusioni tratte nell'ormai lontano 2011, dovrebbe far luce su come si sia giunti ad autorizzare la cura presso gli Spedali Civili di Brescia, una svolta che aveva in parte “sdoganato” Stamina. Pare sia molto importante la testimonianza di un medico dell'Aifa, l'associazione italiana del farmaco, che ha riferito ai magistrati torinesi di aver dato il via libera alla somministrazione pur sapendo bene che non c'era alcuna prova scientifica dell'efficienza del metodo Stamina. Ne era consapevole, ma avrebbe acconsentito sulla base dell'enorme pressione mediatica che si era creata a favore della creatura di Vannoni.

La vergogna dei medici pentiti
Nella carte di avviso di chiusura indagine si parla anche di una ventina di medici «pentiti» che si sono vergognati della loro «leggerezza e di aver alimentato false speranze». Ecco alcune delle loro dichiarazioni contenute nell'avviso di chiusura indagine: «Non conosco nulla del metodo Stamina», «Non ho rilevato nessun miglioramento concreto nei pazienti», «Un metodo sperimentale senza fondamento scientifico» e ancora «Mi vergogno della mia leggerezza» e «Mi sono lasciato ingannare dalla parola «compassionevole». Sono tutte dichiarazioni di medici che hanno firmato certificazioni per pazienti trattati con il metodo Stamina che si rivolgevano ai vari tribunali del lavoro in Italia per ottenere l'accesso o il proseguimento delle cure.

Vannoni: «Pronti a riprendere le infusioni»
«Sono sereno». È la replica di Davide Vannoni dopo la divulgazione delle carte sull'avviso di chiusura delle indagini. «Non ho mai minacciato nessuno; la chiusura indagini non è rinvio a giudizio e abbiamo una marea di documenti per smentire le accuse». Il presidente di Stamina Foundation ha inoltre sottolineato che «Il 5 maggio siamo pronti e contiamo di riprendere le infusioni ai pazienti in cura agli Spedali Civili di Brescia. La nostra biologa presso gli Spedali, Erika Molino, è infatti pronta a rientrare, e contiamo di riprendere con le infusioni del protocollo».

Gli aspetti economici
Tutta la vicenda Stamina (e lo dimostra anche il corposo fascicolo) è alquanto spinosa, e l'inchiesta ne affronta ogni aspetto. Anche quello economico. Gianfranco Merizzi, industriale e presidente dell'azienda farmaceutica Medestea, un nome grosso del settore, figura tra gli indagati, con l'accusa di truffa. E' stato uno dei principali sponsor di Stamina, contribuendo con le sue finanze alle sperimentazioni del metodo. L'inchiesta del procuratore Raffaele Guariniello si configura come risultato di una indagine “di sistema”. A farci una brutta figura non sarà soltanto Davide Vannoni. Forse è l'inizio della fine di Stamina. Di sicuro, da oggi nulla sarà come prima.



Il part time rafforza le differenze tra uomini e donne: il paradosso olandese
Camilla Gaiaschi su un blog del Corriere della Sera del 10 marzo

uomini e donne

L'Italia è al terz'ultimo posto per la condivisione delle attività domestiche tra uomo e donna all'interno dei paesi Ocse. Le donne spendono mediamente più di 3 ore e 20 minuti, contro un'ora scarsa degli uomini. Peggio di noi fanno solo il Messico e il Giappone. Siamo invece tra i più virtuosi sul fronte della genitorialità condivisa: la differenza nel tempo di cura per i figli tra mamma e papà è di soli 12 minuti al giorno. Aggiungici genitori e suoceri che abitano sotto lo stesso tetto e il gap sale a 13 minuti: meglio di noi fanno solo la Svezia (8 minuti) e la Norvegia (6).
È la fotografia che ci consegna l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico su 26 dei suoi paesi membri. I dati sono tratti dalle rilevazioni nazionali (per l'Italia l'Istat e la sua ultima indagine sull'uso del tempo): non inediti dunque ma molto interessanti perché, per la prima volta, mettono a confronto i paesi facendone emergere le differenze.
I numeri non ci premiano: nonostante il virtuosismo dei padri, l'Italia resta fanalino di coda nella condivisione del lavoro non retribuito considerato in tutti i suoi aspetti (non solo cura o faccende di casa ma anche spesa, spostamenti, ecc.): siamo al 21° posto, a tre ore di differenza come è noto, tra uomo e donna. Guardando agli uomini più virtuosi spiccano, invece, gli scandinavi: danesi (186 minuti di lavoro non retribuito al giorno) e norvegesi (180), seguiti da australiani (172 minuti), sloveni (166 minuti) e olandesi (163 minuti).
L'Ocse fa luce anche sulla differenza di genere nel lavoro retribuito. E i dati sono quasi sempre speculari a quelli relativi alla cura: gli uomini turchi lavorano 209 minuti al giorno in più rispetto alle donne turche, seguono il Messico (207), il Giappone (197), l'Irlanda (138) e il Portogallo (121). C'è più equilibrio invece nei paesi scandinavi: 40 minuti in Finlandia, 56 in Svezia, 64 in Danimarca e 65 in Norvegia. Ma anche negli Stati Uniti (61 minuti), paese in cui entrambi i partner tendono a lavorare full time e a “esternalizzare” la cura. E, un po' a sorpresa, in Francia (57 minuti). L'Italia si posiziona malino: sedicesima su ventisei (il gap è di 101 minuti), peggio della Spagna (85 minuti) ma meglio dell'Olanda (114 minuti), due paesi agli antipodi per quanto riguarda la diffusione del part-time.
I dati Ocse sono la prova del nove per capire in quali paesi sta prendendo piede quello che le analiste del welfare hanno da tempo definito come il modello dual earner – dual carer, dove cioè entrambi i componenti della coppia si dedicano – in egual misura – al lavoro e alla cura e che si fonda sull'idea di un'economia a full-time ridotto.
A quasi vent'anni dalla sua prima formulazione (con la filosofa femminista Nancy Fraser), quel paradigma resta ancora sostanzialmente sulla carta. Con poche eccezioni: guardando infatti a entrambi i dati sul “gap” (nel lavoro e nella cura), sono ancora una volta i paesi scandinavi ad avvicinarsi maggiormente all'equilibrio ideale. Fanno bene anche Stati Uniti e Canada. La Francia accelera sul lavoro retribuito (grazie alle 35ore) ma resta indietro rispetto alle mansioni di casa. La Germania si conferma tutto sommato conservatrice su entrambi gli aspetti (un'ora e quaranta minuti il gap sulla cura, un'ora e mezza quello sul lavoro). Sempre meglio però dell'Italia (tre ore la cura, un'ora e quaranta il lavoro).
I paesi bassi meritano una parentesi tutta loro. Nel 2000 infatti il governo promulgò il “Work and Care Act” con il quale incentivò il part-time lungo sia per le donne che (almeno sulla carta) per gli uomini spingendo il politologo Jelle Visser a definire l'Olanda la prima “part-time economy” al mondo. Era l'inizio di un laboratorio politico. Ma nonostante gli uomini olandesi siano oggi tra i più disponibili alla cura, un'attenta lettura dei dati ci spinge a ipotizzare che quella riforma non sia riuscita nel suo intento. Nel lavoro retribuito infatti lo squilibrio tra uomo e donna è enorme: 114 minuti a favore dei maschi portano l'Olanda al diciannovesimo posto nella performance, meglio solo di paesi come il Portogallo, l'Irlanda, il Giappone e il Messico. Che cosa ci dicono questi numeri? Che il lavoro part-time resta ancora una prerogativa quasi esclusivamente femminile e che la conciliazione vita-lavoro è, in sostanza, un affare per donne.
I Paesi Bassi servano da esempio: l'introduzione acritica del part-time, se non supportata da una rivoluzione culturale e organizzativa, non cambia davvero le cose. Tutt'al più, rafforza i ruoli tradizionali di genere. Con buona pace dei tempi condivisi.


  24 aprile 2014