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28 aprile 2014

camerati

Camerati a Milano
Si ritrovano per commemorare i caduti. Una manifestazione con croci celtiche, saluti romani e simboli fascisti. Ogni anno il 29 aprile richiama le sigle dell’estremismo. E la Lombardia si scopre laboratorio delle avanguardie nostalgiche: tra volantini per il compleanno di Hitler e raduni nazirock
Michele Sasso su l'Espresso | 23 aprile 2014

La data è segnata in rosso: 29 aprile. Motivo: la paura di scontri tra gli ultrà di destra e di sinistra. Epicentro: Milano. Perché? E' l’anniversario della fucilazione del gerarca fascista Carlo Borsani per mano dei partigiani.

Un evento ad alta tensione diventato negli ultimi anni “L’altro 25 aprile”, quello nero, di estrema destra, quando sigle, gruppi e avanguardie nostalgiche si ritrovano per ricordare i propri militanti diventati eroi nel culto della personalità. In contrapposizione con la memoria della festa di liberazione, festa nazionale e patrimonio della storia del Paese.

IN CORTEO PER IL GERARCA

Da sei anni si ritrovano in piazzale Susa, vicino al Politecnico, per una parata in stile nazista che non ha avuto nessun contrasto. Il copione è sempre lo stesso, con la chiamata in stile militare: «Camerata Carlo Borsani. Presente». E poi via in fiaccolata tra braccia tese, croci celtiche e tricolori.

Ad osannare il reclutatore della Repubblica sociale italiana e firmatario del manifesto sulla razza erano in 800 lo scorso anno. Anche il sindaco Giuliano Pisapia ha chiesto di mettere fine ai nostalgici del Terzo Reich: «È doveroso opporsi alla bieca strumentalizzazione attraverso la parata nazi-fascista che da anni deturpa la nostra città. Mi auguro vivamente che le autorità competenti facciano tutto quanto possibile per evitare questa grave offesa alla Milano medaglia d'oro della Resistenza».

«Una manifestazione neanche concepibile in Europa» attacca l’osservatorio democratico sulle nuove destre che da anni monitora il fermento nero: «Nessuno ha posto dei limiti ed è cresciuta fino a diventare una parata in stile Norimberga con centinaia di bandiere con la croce celtica. Ma sono simboli considerati istigazione all’odio razziale e per questa motivo vietati nelle curve».

Ora il ritrovo è diventato un problema di ordine pubblico con il via accordato dai sindaci precedenti, Gabriele Albertini e Letizia Moratti. Così la metropoli milanese è diventata cuore e roccaforte nera.

Per calmare gli animi è intervenuto il questore Luigi Savina. Quest’anno il comitato “Milano 29 Aprile: nazisti no grazie!” aveva chiesto stesso luogo e data per un presidio antifascista, ma l’ok è arrivato solo per un'altra zona meno rischiosa della città, dove evitare ogni contatto fisico tra chi in soli quattro giorni ricorda i partigiani e chi ricorda i camerati.

Muro contro muro. Buoni contro cattivi e viceversa. Per il bisogno di riconoscere le proprie date e i propri simboli.

Con la mediazione della Questura, la destra radicale potrà trovarsi il 29 aprile in piazzale Susa, per commemorare Carlo Borsani e le morti del consigliere provinciale missino Enrico Pedenovi e di Sergio Ramelli, esponente del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 da esponenti della sinistra extraparlamentare.

L’avvocato Pedenovi fu assassinato invece da terroristi di Prima Linea.

Radunati nel luogo della loro memoria ma a patto di non urlare slogan nazisti, non sventolare simboli fascisti e di non alzare il braccio per fare il saluto romano. Il rischio che corrono è di vedersi sbarrata la strada dalla Polizia e il permesso di manifestare sospeso. Ma loro non ci stanno e replicano sul web: «Ci vietano le bandiere con le croci celtiche. Ci vietano di marciare ordinati al suono dei tamburi. Ci vietano il saluto per i caduti. Nessuno potrà toglierci l'onore di sfilare in loro memoria, inquadrati ed ordinati, dietro le nostre bandiere, per arrivare a volgere l'unico saluto degno a chi è caduto per l'idea!».

MILANO E I VOLANTINI PER HITLER

L’idea è quella dei fascisti del terzo millennio, che credono nel bene superiore, la lealtà, la fratellanza come obiettivo per vedere il mondo. Dietro il motto Dio, patria, famiglia trasformato in anti-europeismo, nella critica al sistema bancario e alla finanza, nell'intolleranza verso gli stranieri e i gay, nella rivendicazione del mutuo sociale per gli italiani si riconoscono e aggregano un universo di sigle, gruppi e organizzazioni dal cuore nero. I fascisti della porta accanto raccontati in esclusiva per “l’Espresso” dal fotografo Paolo Marchetti.

Il 20 aprile, per la ricorrenza del compleanno di Adolf Hitler, hanno fatto parlare i militanti nati sotto la sigla di Nsab (scimmiottando il Movimento Nazionalsocialista dei Lavoratori) appiccicando deliranti manifesti e distribuendo volantini nella zona centrale di via Moscova «colmi d'amore» per il fondatore del Terzo Reich.

Uno di essi è stato infilato anche nella casella di posta all’esterno della sede dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) in via San Marco 49. Gli autori, che si sono vantati della loro «prodezza» sul web, sono un gruppetto varesotto di ispirazione hitleriana nato nel 2002. Che si ritrovano per ricordare «quello che sarebbe stato il 125 compleanno» del dittatore «nato il 20 aprile 1889 in un tranquillo paese sulle sponde dell'Inn».

CUORE NERO IN LOMBARDIA

Milano e l’intera regione è diventata negli ultimi anni meta dei raduni internazionali e concerti nazirock. Solo nel 2013 il variegato mondo dell’estrema destra, con Forza Nuova e Casa Pound in testa, ha organizzato quattro incontri. Esattamente un anno fa alle porte di Varese quattrocento persone hanno partecipato alla festa del compleanno di Hitler a Malnate.

Promossa per il ventennale del gruppo variegato di tifosi e militanti di “Varese Skinheads”, la serata è stata organizzata in un vecchio casello ferroviario dall’associazione culturale filoleghista “I nostar radis”. Quest’anno hanno puntato sul 19 aprile, un giorno prima, forse per non incorrere in qualche problema, e si sono ritrovati in un luogo top secret. A promuoverla è nuovamente la Comunità militante dei dodici raggi di Varese.

Nonostante le grida d’indignazione di un anno fa, ecco di nuovo la locandina con tanto di aquila del Terzo Reich, oltre a evidenziare il simbolo dei dodici raggi (il Sole nero tanto caro ad Heinrich Himmler), riporta il logo dell’associazione S4S il cui fine è quello di occuparsi dei camerati in difficoltà con la legge o in galera.

Tra questi anche Maurizio Moro, storico fondatore degli Skinheads Varese e della stessa Comunità dei dodici raggi, condannato in via definitiva il 14 febbraio scorso a quattro mesi di carcere per minacce con l’aggravante dell’odio razziale.

Il 21 aprile, eccoli tutti radunati con "Memento" al campo 10 del Cimitero Maggiore di Milano per onorare i caduti della flottiglia X Mas. L’anno scorso fu una figuraccia per la giunta di Roberto Maroni appena insediato al Pirellone: una corona di fiori a nome della Giunta regionale per i repubblichini sepolti immortalata vicino a un'insegna delle Ss.

Milano è anche il quartier generale del maxiraduno di teste rasate: dall'Est europeo alla Germania, dall'Inghilterra agli Stati Uniti. Collante: la musica dei naziskin e i loro repertori di incitamento ai pestaggi, alle truci rivendicazioni di superiorità razziale fino alle citazioni di Mussolini, di Adolf Hitler e dei suoi gerarchi.

E poi Cantù, in Brianza, dove per il Festival boreale si sono trovati per tre giorni i principali movimenti nazionalisti europei: dal British National Party di Nick Griffin, all'ungherese HVIM, passando per i due movimenti nazionalisti polacchi Mlodziez Wszechpolska e Ruch Narodowy, Renoveau Francaise, il partito ucraino Svoboda, gli spagnoli di Democracia Nacional, e i partiti svedesi Nordisk Ungdom e Svenskarnas Parti.

Peccato che una lista così lunga non muova folle oceaniche: sono tutti piccoli nuclei di 10-20 persone che cercano linfa vitale tra gli studenti universitari, allo stadio, nei pub nostalgici che usano spesso come sede per associazioni culturali. Forza Nuova non raggiunge i mille iscritti in tutto il Paese ma cerca di creare un network europeo con i “camerati” di Francia, Germania, Svizzera, Ungheria, Grecia.

Il sogno per tutti è raggranellare un pugno di voti e mandare un esponente in Europa. Un camerata duro e puro contro lo strapotere della finanza e della politica di Bruxelles.



La coscienza critica di Noam Chomsky
80 anni dalla parte del torto

Gli Usa? Ieri più criminali del Giappone, oggi più pericolosi della Cina. Parola di  un intellettuale “contro”. "Democrazia vuol dire diritti umani e conquiste sociali: non come in Europa dove ci si inchina alla Bundesbank"
Pio D'Emilia su l'Espresso | 24 aprile 2014

Prima di lui ci sono solo Aristotele, Marx, Shakespeare e pochi altri. Poi nella classifica degli intellettuali più citati viene lui, Noam Chomsky, professore emerito di filosofia e linguistica presso il prestigioso Mit (Massachusetts Institute of Technology). Da sempre “coscienza critica” della politica Usa, Chomsky continua a insegnare, scrivere e girare il mondo come se avesse la metà dei suoi anni: 85, per l’esattezza. L’abbiamo incontrato a Tokyo, dove è stato invitato per una serie di conferenze che hanno registrato, come avviene ovunque, il tutto esaurito. Titolo della conferenza: “Capitalismo e Democrazia: prospettive di sopravvivenza”. Poche, secondo Chomsky.

Cosa la porta in Giappone, professore?
«Mi interesso di Giappone dagli anni Trenta. Da quando, teenager, leggevo dei crimini commessi in Manciuria e in Cina. Mi dava fastidio la differenza di trattamento che subivano , sulla nostra stampa, i “nani gialli” rispetto ai nazisti. Entrambi cattivi, certo, ma i nazisti erano pur sempre ariani, alti e biondi, umani, insomma. I giapponesi erano scimmie, anzi peggio: vermi, formiche da schiacciare. Il doppio standard è andato avanti per molto, direi: visto che tutti chiedono, legittimamente, le scuse del Giappone ma nessuno parla dei nostri crimini di guerra. Le bombe incendiarie che hanno raso al suolo Tokyo erano peggio di quelle di Dresda, e hanno provocato molte più vittime di Hiroshima e Nagasaki, per le quali nessun presidente americano ha ancora chiesto scusa. Ma anche il Giappone ha un passato che ancora pesa sui suoi vicini, un passato che continua a essere sminuito, manipolato, addirittura negato. Come il ruolo dell’esercito e dello Stato nel rastrellare decine di migliaia di donne coreane, cinesi e di altre nazionalità costringendole a prostituirsi per “ristorare” le truppe al fronte».

Tuttavia, come dire, ogni Paese ha i suoi scheletri. In Italia pochi sanno che siamo stati noi italiani i primi a usare le armi batteriologiche e i gas... «Assolutamente d’accordo. Solo che un conto è l’ignoranza, l’omissione sui testi scolastici, un conto è il negazionismo: insomma, in Germania se neghi l’Olocausto rischi la galera, in Giappone se neghi il massacro di Nanchino (nel 1937 l’allora capitale cinese fu occupata dai giapponesi: 300 mila vittime, tra cui migliaia di bambini e di donne stuprate e uccise, ndr) rischi di diventare premier...».

Molti in effetti pensano che le possibilità di un conflitto globale stiano aumentando, di fronte al declino del potere e dell’influenza Usa e l’emergere di una nuova superpotenza, la Cina. È una minaccia, la Cina?
«Innanzitutto non credo al declino della superpotenza Usa. Gli Stati Uniti hanno conquistato questo ruolo nel dopoguerra e tuttora lo mantengono con immutata violenza e arroganza. Lasciamo per un attimo perdere la situazione qui in Oriente, dove gli Usa esprimono “preoccupazione” per il fatto che la Cina cerca di rafforzare la sua influenza nelle acque circostanti, mica nei Caraibi o davanti alle coste della California, ma ci rendiamo conto di quanto sta succedendo in Crimea?»

Era la mia prossima domanda…
«Ecco, le ho letto nel pensiero. In questi giorni leggo editoriali pazzeschi, da guerra fredda. Roba da non credere. Ma come si fa a paragonare l’azione di Putin in Crimea oggi con l’Ungheria, la Cecoslovacchia, l’Afghanistan. Nemmeno George Orwell avrebbe mai immaginato un tale asservimento al “pensiero unico”. Ma come si fa a scrivere certe cose? Come fa l’Occidente che ha aggredito e invaso l’Iraq, bombardato l’Afghanistan, passivamente assistito - se non attivamente provocato - lo smembramento della Jugoslavia e riconosciuto il Kosovo a protestare, indignarsi, addirittura adottare sanzioni contro la Russia per quanto sta succedendo in Crimea, dove non mi risulta vi siano stati massacri, pulizie etniche, violenze? Mi chiedo perché continuiamo a considerare il mondo intero come nostro territorio, che abbiamo il diritto, quasi il dovere di “controllare” e, nel caso, modificare a seconda dei nostri interessi».

Ma il continuo aumento delle spese militari cinesi, il tentativo di cominciare ad aprire basi militari all’estero, per esempio in Zimbabwe…
«Non scherziamo. A parte che la storia della base militare cinese in Zimbabwe sembra sia una bufala: ma anche se fosse vero, cosa cambierebbe? Una contro mille? La Cina non ha basi militari in tutto il mondo, non pretende di imporre il suo modello socioeconomico a nessuno e soprattutto, tranne una piccola scaramuccia con il Vietnam ai tempi di Deng Xiaoping, non mi risulta abbia mai invaso nessuno. Quanto alle spese militari, per quanto le possano aumentare, non sono minimamente comparabili con quelle degli Stati Uniti: le nostre spese militari sono più o meno equivalenti a quelle del resto del mondo intero. Senza pensare che gli Usa hanno alleati dappertutto, dall’Europa al Giappone, mentre la Cina è sola. Suvvia: paragonare la potenza militare Usa con quella della Cina non ha senso. Come non aveva senso paragonarla, a suo tempo, con quella dell’Urss».

Eppure il mondo ha paura della Cina.
«Ma neanche per sogno, queste sono le solite ossessioni occidentali, amplificate da una stampa ghiotta di senzazionalismi e capace solo di alimentare stereotipi, anziché studiare e decifrare la realtà. Eppure dei dati ci sarebbero. Di recente ho letto i risultati di un sondaggio condotto in Europa, un sondaggio pubblico, citato anche dalla Bbc. Una delle domande era su quale paese veniva percepito come maggior pericolo per la pace».

Mi lasci indovinare: vincono gli Usa?
«Sì, ma con enorme distacco, siamo oltre il 70 per cento. Secondo è il Pakistan, poi l’India, infine la Cina, con un mero 10 per cento. Gli europei sono esperti di guerre, sanno distinguere una minaccia fasulla da una reale. Quanto a devastazioni, e invasioni, non siete secondi a nessuno...»

Touché. Ma torniamo in Oriente. Come vede la questione coreana? C’è qualche speranza che Obama porti a termine quello che Clinton era riuscito a iniziare, e cioè un serio negoziato bilaterale, allo scopo di firmare, finalmente, un trattato di pace?
«Intanto ha fatto bene a ricordare in che periodo eravamo: era il 1994, ci fu un accordo e l’allora segretario di Stato Madeleine Albright andò, accolta con rispetto e serietà, a Pyongyang. Si parlava di un imminente vertice tra l’allora leader Kim Jong Il e Clinton. Poi Clinton fu distratto dalla questione medio-orientale, il lungo negoziato di Camp David, finito male, e il dossier coreano è rimasto lì, sul tavolo. Poi è arrivato Bush e sappiamo come è andata. Sono stati gli Usa, sia ben chiaro, a violare gli accordi e a provocare la corsa al nucleare del regime nordcoreano. Quando si insediò per la prima volta Bush, Pyong Yang non aveva ordigni nucleari. Oggi pare ne abbia otto. Questi sono i fatti. Ma se leggi i resoconti della stampa di tutto il mondo o se chiedi in giro di chi sia la responsabilità, risulta che i “cattivi” siano solo e unicamente i nord coreani. Strano modo di raccontare la storia».

Un suggerimento per Obama, se volesse passare alla storia per qualcosa di più che essere riuscito a far passare la riforma sanitaria?
«Rilanciare e puntare decisamente sul negoziato diretto e nel frattempo sollecitare la Corea del Sud a rilanciare la cosiddetta “sunshine policy”, la politica del dialogo, dell’apertura al nord attraverso scambi culturali e economici. E magari smetterla di svolgere, due volte l’anno, mega esercitazioni militari congiunte sotto il naso di Pyongyang. Quest’anno hanno addirittura simulato un bombardamento “preventivo” a nord del confine: ma quanta follia ci vuole per inventarsi una cosa del genere? Avete idea di cosa abbiano provocato, durante la guerra di Corea, i bombardamenti americani? Il nord venne raso al suolo, ed in molti casi vennero utilizzate bombe speciali e armi chimiche, con “ricette” ottenute dai criminali di guerra giapponesi che le avevano studiate e prodotte in Cina e che per questa loro “collaborazione” vennero poi prosciolti e reintegrati nella società: alcuni sono diventati ministri…»

Allarghiamo il discorso, professore. La democrazia. Churchill una volta disse che non era un sistema perfetto, ma era il migliore conosciuto. Però la “democrazia” ha espresso, con libere e ripetute elezioni, personaggi come Berlusconi in Europa e Thaksin in Thailandia. È ora di trovare un sistema più “democratico”, della democrazia?
«Il problema non è la democrazia. Il problema è cosa ne abbiamo fatto. La democrazia non è una parola vuota. Significa alcune cose. Significa, ad esempio che gli operai debbono gestire le loro fabbriche: e cito l’icona del liberalismo classico, John Stuart Mill, che non era certo un bolscevico. Democrazia significa diritti umani e conquiste sociali. Non significa, come sta avvenendo oggi in Europa, che i cittadini europei debbano vedersi restringere, se non cancellare, i sacrosanti diritti conquistati in anni e anni di lotte sociali e sottomettersi ai diktat dei funzionari di Bruxelles e della Bundesbank. Lei ha citato Berlusconi, e certamente non è stata una bella pagina della vostra storia, ma chi ha eletto Monti? Chi ha eletto Renzi? La Bundesbank. Questa non è democrazia. Leggevo qualche giorno fa un interessante editoriale del “Wall Street Journal”, quotidiano non certo sovversivo. Scrivevano, penso giustamente, che ormai non è più questione di destra e sinistra, e nemmeno di centrodestra e centrosinistra. Qualsiasi governo venga “eletto”, in Europa, è più o meno costretto a muoversi nella gabbia imposta da Bruxelles. Pensate a quello che è successo a Papandreu, il premier socialista greco che per qualche mese ha provato a “sfidare” Bruxelles. Per il solo fatto di aver minacciato di sottoporre la politica dell’austerità ad un referendum popolare, Papandreu è stato crocifisso e, di fatto, “espulso” dallo scenario politico eruopeo».

Tornando al Giappone, cosa pensa del nucleare? Tre anni dopo Fukushima, il governo sembra voler far ripartire I reattori...
«Beh, non è una questione semplice. Parlare di riattivare i reattori in un paese che sta ancora vivendo l’emergenza provocata dall’incidente di Fukushima capisco che sia problematico. Ma anche aumentare il consumo di combustibili fossili ha i suoi rischi: è in gioco il disastro ambientale, non è mica uno scherzo. La cosa migliore è puntare tutto, risorse umane , tecnologiche e finanziarie sulle energie alternative, come ha annunciato la Germania».

Un’ultima domanda, in ossequio alla sua originale specializzazione, la linguistica. Che lingua dovremmo far studiare ai nostri figli e nipoti? Insistiamo con l’inglese o è meglio passare al cinese?
«Mi sta chiedendo chi guiderà il mondo, nel prossimo futuro, giusto? Gli Stati Uniti. La Cina non solo non è una minaccia militare e tanto meno politica, ma non è neanche una supepotenza economica. La sua strabiliante crescita dipende ancora dalla tecnologia straniera: Giappone, Corea, Taiwan, Usa ed Europa. Sta crescendo e continuerà a crescere, ma speriamo che nel frattempo ricominci a crescere anche l’Occidente. Quanto alla lingua, per chi come noi americani parla già inglese, studiare il cinese è certamente utile. Ma per tutti gli altri penso che imparare l’inglese sia ancora, per un bel po’, prioritario. Ma è una mia opinione, e come ben sapete, sono ottant’anni che sono dalla parte del torto!».


Cosa prevede il decreto lavoro approvato dalla camera
Redazione su Internazionale | 24 aprile 2014

Il 24 aprile la camera ha approvato la conversione in legge del decreto lavoro, firmato dal ministro Giuliano Poletti, con 283 voti favorevoli, 161 voti contrari e un astenuto. Ora il testo passa all’esame del senato.

Il decreto aveva già passato il voto di fiducia alla camera il 23 aprile, dove ha raccolto 344 voti favorevoli e 184 contrari. Il governo aveva messo la fiducia sul provvedimento dopo le divisioni nate all’interno della maggioranza. Il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano aveva annunciato infatti il suo voto contrario, e Scelta civica aveva espresso molti dubbi, ma alla fine entrambi i partiti hanno votato la fiducia.

Il decreto lavoro fa parte del Jobs Act, il piano di riforme sul mercato del lavoro presentato per la prima volta l’8 gennaio dal premier Matteo Renzi.

Il decreto lavoro era già stato approvato il 12 marzo dal consiglio dei ministri. Il testo però, dopo il passaggio alla commissione lavoro della camera, ha subìto alcune modifiche, volute soprattutto da alcuni esponenti del Pd. Il Nuovo centrodestra e gli altri partiti della maggioranza, ma anche Forza Italia, si oppongono a queste modifiche e vorrebbero tornare al testo originale del decreto. Per questo il Nuovo centrodestra ha annunciato che si batterà al senato per cancellare le modifiche, anche se Alfano ha rassicurato Renzi, dicendo che non danneggerà la tenuta del governo. Il Movimento 5 stelle invece si oppone all’intero provvedimento fin dall’inizio.

Ecco le riforme principali previste dal decreto lavoro:

Viene alzata da un anno a tre anni la durata dei contratti a tempo determinato senza causale, cioè quelli per cui non è obbligatorio specificare il motivo dell’assunzione. La forza lavoro assunta con questo tipo di contratto non potrà essere più del 20 per cento del totale degli assunti (nel testo originale era il limite era fissato al 20 per cento dell’organico complessivo).

I contratti a tempo determinato si potranno rinnovare fino a un massimo di cinque volte in tre anni (erano otto nel testo originale), sempre che ci siano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa attività lavorativa.

Salta l’obbligo di pausa tra un contratto e l’altro.

I contratti di apprendistato avranno meno vincoli, ma è stato reintrodotto l’obbligo per i datori di lavoro di assumere a tempo indeterminato alcuni apprendisti per assumerne di nuovi. L’obbligo di stabilizzazione riguarda solo le aziende con almeno 30 dipendenti e la quota minima di apprendisti da stabilizzare è il 20 per cento. La busta paga base degli apprendisti sarà pari al 35 per cento della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento.

La formazione pubblica per l’apprendistato sarà di nuovo obbligatoria, a condizione che la regione provveda a comunicare al datore di lavoro come sfruttare l’offerta formativa entro 45 giorni dall’inizio della firma del contratto. Il datore dovrà quindi integrare la formazione aziendale (on the job) con la formazione pubblica.

Le donne che restano incinte durante un contratto a tempo determinato possono conteggiare anche la maternità come durata del contratto, superando così la soglia dei sei mesi (durata minima che la legge vigente richiede per il riconoscimento del diritto di precedenza). E se un’azienda assume nei dodici mesi successivi, le donne in congedo maternità hanno la precedenza.

È prevista inoltre l’abolizione del Durc (Documento unico di regolarità contributiva), il documento sugli obblighi legislativi e contrattuali delle aziende nei confronti di Inps, Inail e Cassa edile. Sarà sostituito da un modulo da compilare su internet.

Il 12 marzo il consiglio dei ministri ha approvato anche un disegno di legge delega al governo che affronta gli altri temi contenuti nel Jobs act: dagli ammortizzatori sociali ai servizi per il lavoro, dall’introduzione di un sussidio di disoccupazione al salario minimo, dalla riduzione delle forme contrattuali alla tutela per le donne in maternità.

Queste misure avranno tempi di approvazione più lunghi. Il disegno di legge dovrà essere convertito in legge delega dal parlamento e il governo dovrà dare attuazione delle norme in un tempo stabilito dalla legge stessa.

  28 aprile 2014