Camerati a
Milano
Si ritrovano
per
commemorare i caduti. Una manifestazione con croci celtiche, saluti
romani e
simboli fascisti. Ogni anno il 29 aprile richiama le sigle
dell’estremismo. E
la Lombardia si scopre laboratorio delle avanguardie nostalgiche: tra
volantini
per il compleanno di Hitler e raduni nazirock
Michele
Sasso su l'Espresso
| 23 aprile 2014
La
data è segnata in rosso: 29 aprile. Motivo: la paura di
scontri tra gli ultrà di destra e di sinistra. Epicentro: Milano.
Perché? E'
l’anniversario della fucilazione del gerarca fascista Carlo Borsani per
mano
dei partigiani.
Un
evento ad alta tensione diventato negli ultimi anni
“L’altro 25 aprile”, quello nero, di estrema destra, quando sigle,
gruppi e
avanguardie nostalgiche si ritrovano per ricordare i propri militanti
diventati
eroi nel culto della personalità. In contrapposizione con la memoria
della
festa di liberazione, festa nazionale e patrimonio della storia del
Paese.
IN CORTEO PER
IL
GERARCA
Da
sei anni si ritrovano in piazzale Susa, vicino al
Politecnico, per una parata in stile nazista che non ha avuto nessun
contrasto.
Il copione è sempre lo stesso, con la chiamata in stile militare:
«Camerata
Carlo Borsani. Presente». E poi via in fiaccolata tra braccia tese,
croci
celtiche e tricolori.
Ad
osannare il reclutatore della Repubblica sociale italiana
e firmatario del manifesto sulla razza erano in 800 lo scorso anno.
Anche il
sindaco Giuliano Pisapia ha chiesto di mettere fine ai nostalgici del
Terzo
Reich: «È doveroso opporsi alla bieca strumentalizzazione attraverso la
parata
nazi-fascista che da anni deturpa la nostra città. Mi auguro vivamente
che le
autorità competenti facciano tutto quanto possibile per evitare questa
grave
offesa alla Milano medaglia d'oro della Resistenza».
«Una
manifestazione neanche concepibile in Europa» attacca
l’osservatorio democratico sulle nuove destre che da anni monitora il
fermento
nero: «Nessuno ha posto dei limiti ed è cresciuta fino a diventare una
parata
in stile Norimberga con centinaia di bandiere con la croce celtica. Ma
sono
simboli considerati istigazione all’odio razziale e per questa motivo
vietati
nelle curve».
Ora il ritrovo
è diventato un problema di ordine pubblico
con il via accordato dai sindaci precedenti, Gabriele Albertini e
Letizia
Moratti. Così la metropoli milanese è diventata cuore e roccaforte nera.
Per
calmare gli animi è intervenuto il questore Luigi
Savina. Quest’anno il comitato “Milano 29 Aprile: nazisti no grazie!”
aveva
chiesto stesso luogo e data per un presidio antifascista, ma l’ok è
arrivato
solo per un'altra zona meno rischiosa della città, dove evitare ogni
contatto
fisico tra chi in soli quattro giorni ricorda i partigiani e chi
ricorda i
camerati.
Muro
contro muro. Buoni contro cattivi e viceversa. Per il
bisogno di riconoscere le proprie date e i propri simboli.
Con la
mediazione della Questura, la destra radicale potrà
trovarsi il 29 aprile in piazzale Susa, per commemorare Carlo Borsani e
le
morti del consigliere provinciale missino Enrico Pedenovi e di Sergio
Ramelli,
esponente del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 da esponenti della
sinistra
extraparlamentare.
L’avvocato
Pedenovi fu assassinato invece da terroristi di
Prima Linea.
Radunati
nel luogo della loro memoria ma a patto di non
urlare slogan nazisti, non sventolare simboli fascisti e di non alzare
il
braccio per fare il saluto romano. Il rischio che corrono è di vedersi
sbarrata
la strada dalla Polizia e il permesso di manifestare sospeso. Ma loro
non ci
stanno e replicano sul web: «Ci vietano le bandiere con le croci
celtiche. Ci
vietano di marciare ordinati al suono dei tamburi. Ci vietano il saluto
per i
caduti. Nessuno potrà toglierci l'onore di sfilare in loro memoria,
inquadrati
ed ordinati, dietro le nostre bandiere, per arrivare a volgere l'unico
saluto
degno a chi è caduto per l'idea!».
MILANO E I
VOLANTINI
PER HITLER
L’idea
è quella dei fascisti del terzo millennio, che
credono nel bene superiore, la lealtà, la fratellanza come obiettivo
per vedere
il mondo. Dietro il motto Dio, patria, famiglia trasformato in
anti-europeismo,
nella critica al sistema bancario e alla finanza, nell'intolleranza
verso gli
stranieri e i gay, nella rivendicazione del mutuo sociale per gli
italiani si
riconoscono e aggregano un universo di sigle, gruppi e organizzazioni
dal cuore
nero. I fascisti della porta accanto raccontati in esclusiva per
“l’Espresso”
dal fotografo Paolo Marchetti.
Il
20 aprile, per la ricorrenza del compleanno di Adolf
Hitler, hanno fatto parlare i militanti nati sotto la sigla di Nsab
(scimmiottando il Movimento Nazionalsocialista dei Lavoratori)
appiccicando
deliranti manifesti e distribuendo volantini nella zona centrale di via
Moscova
«colmi d'amore» per il fondatore del Terzo Reich.
Uno di essi è
stato infilato anche nella casella di posta
all’esterno della sede dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani
d’Italia)
in via San Marco 49. Gli autori, che si sono vantati della loro
«prodezza» sul
web, sono un gruppetto varesotto di ispirazione hitleriana nato nel
2002. Che
si ritrovano per ricordare «quello che sarebbe stato il 125 compleanno»
del
dittatore «nato il 20 aprile 1889 in un tranquillo paese sulle sponde
dell'Inn».
CUORE NERO IN
LOMBARDIA
Milano
e l’intera regione è diventata negli ultimi anni meta
dei raduni internazionali e concerti nazirock. Solo nel 2013 il
variegato mondo
dell’estrema destra, con Forza Nuova e Casa Pound in testa, ha
organizzato
quattro incontri. Esattamente un anno fa alle porte di Varese
quattrocento persone
hanno partecipato alla festa del compleanno di Hitler a Malnate.
Promossa
per il ventennale del gruppo variegato di tifosi e
militanti di “Varese Skinheads”, la serata è stata organizzata in un
vecchio
casello ferroviario dall’associazione culturale filoleghista “I nostar
radis”.
Quest’anno hanno puntato sul 19 aprile, un giorno prima, forse per non
incorrere in qualche problema, e si sono ritrovati in un luogo top
secret. A
promuoverla è nuovamente la Comunità militante dei dodici raggi di
Varese.
Nonostante
le grida d’indignazione di un anno fa, ecco di
nuovo la locandina con tanto di aquila del Terzo Reich, oltre a
evidenziare il
simbolo dei dodici raggi (il Sole nero tanto caro ad Heinrich Himmler),
riporta
il logo dell’associazione S4S il cui fine è quello di occuparsi dei
camerati in
difficoltà con la legge o in galera.
Tra
questi anche Maurizio Moro, storico fondatore degli
Skinheads Varese e della stessa Comunità dei dodici raggi, condannato
in via
definitiva il 14 febbraio scorso a quattro mesi di carcere per minacce
con
l’aggravante dell’odio razziale.
Il
21 aprile, eccoli tutti radunati con "Memento"
al campo 10 del Cimitero Maggiore di Milano per onorare i caduti della
flottiglia X Mas. L’anno scorso fu una figuraccia per la giunta di
Roberto
Maroni appena insediato al Pirellone: una corona di fiori a nome della
Giunta
regionale per i repubblichini sepolti immortalata vicino a un'insegna
delle Ss.
Milano
è anche il quartier generale del maxiraduno di teste
rasate: dall'Est europeo alla Germania, dall'Inghilterra agli Stati
Uniti.
Collante: la musica dei naziskin e i loro repertori di incitamento ai
pestaggi,
alle truci rivendicazioni di superiorità razziale fino alle citazioni
di
Mussolini, di Adolf Hitler e dei suoi gerarchi.
E
poi Cantù, in Brianza, dove per il Festival boreale si
sono trovati per tre giorni i principali movimenti nazionalisti
europei: dal
British National Party di Nick Griffin, all'ungherese HVIM, passando
per i due
movimenti nazionalisti polacchi Mlodziez Wszechpolska e Ruch Narodowy,
Renoveau
Francaise, il partito ucraino Svoboda, gli spagnoli di Democracia
Nacional, e i
partiti svedesi Nordisk Ungdom e Svenskarnas Parti.
Peccato
che una lista così lunga non muova folle oceaniche:
sono tutti piccoli nuclei di 10-20 persone che cercano linfa vitale tra
gli
studenti universitari, allo stadio, nei pub nostalgici che usano spesso
come
sede per associazioni culturali. Forza Nuova non raggiunge i mille
iscritti in
tutto il Paese ma cerca di creare un network europeo con i “camerati”
di
Francia, Germania, Svizzera, Ungheria, Grecia.
Il
sogno per tutti è raggranellare un pugno di voti e
mandare un esponente in Europa. Un camerata duro e puro contro lo
strapotere
della finanza e della politica di Bruxelles.
La coscienza
critica di Noam Chomsky
80 anni dalla parte del torto
Gli Usa? Ieri
più
criminali del Giappone, oggi più pericolosi della Cina. Parola di un intellettuale “contro”.
"Democrazia
vuol dire diritti umani e conquiste sociali: non come in Europa dove ci
si inchina
alla Bundesbank"
Pio
D'Emilia su l'Espresso
| 24 aprile 2014
Prima
di lui ci sono solo Aristotele, Marx, Shakespeare e
pochi altri. Poi nella classifica degli intellettuali più citati viene
lui,
Noam Chomsky, professore emerito di filosofia e linguistica presso il
prestigioso Mit (Massachusetts Institute of Technology). Da sempre
“coscienza
critica” della politica Usa, Chomsky continua a insegnare, scrivere e
girare il
mondo come se avesse la metà dei suoi anni: 85, per l’esattezza.
L’abbiamo
incontrato a Tokyo, dove è stato invitato per una serie di conferenze
che hanno
registrato, come avviene ovunque, il tutto esaurito. Titolo della
conferenza:
“Capitalismo e Democrazia: prospettive di sopravvivenza”. Poche,
secondo
Chomsky.
Cosa la porta
in
Giappone, professore?
«Mi
interesso di Giappone dagli anni Trenta. Da quando,
teenager, leggevo dei crimini commessi in Manciuria e in Cina. Mi dava
fastidio
la differenza di trattamento che subivano , sulla nostra stampa, i
“nani
gialli” rispetto ai nazisti. Entrambi cattivi, certo, ma i nazisti
erano pur
sempre ariani, alti e biondi, umani, insomma. I giapponesi erano
scimmie, anzi
peggio: vermi, formiche da schiacciare. Il doppio standard è andato
avanti per
molto, direi: visto che tutti chiedono, legittimamente, le scuse del
Giappone
ma nessuno parla dei nostri crimini di guerra. Le bombe incendiarie che
hanno
raso al suolo Tokyo erano peggio di quelle di Dresda, e hanno provocato
molte
più vittime di Hiroshima e Nagasaki, per le quali nessun presidente
americano
ha ancora chiesto scusa. Ma anche il Giappone ha un passato che ancora
pesa sui
suoi vicini, un passato che continua a essere sminuito, manipolato,
addirittura
negato. Come il ruolo dell’esercito e dello Stato nel rastrellare
decine di
migliaia di donne coreane, cinesi e di altre nazionalità costringendole
a
prostituirsi per “ristorare” le truppe al fronte».
Tuttavia, come
dire,
ogni Paese ha i suoi scheletri. In Italia pochi sanno che siamo stati
noi
italiani i primi a usare le armi batteriologiche e i gas... «Assolutamente
d’accordo. Solo che
un conto è l’ignoranza, l’omissione sui testi scolastici, un conto è il
negazionismo: insomma, in Germania se neghi l’Olocausto rischi la
galera, in
Giappone se neghi il massacro di Nanchino (nel 1937 l’allora capitale
cinese fu
occupata dai giapponesi: 300 mila vittime, tra cui migliaia di bambini
e di
donne stuprate e uccise, ndr) rischi di diventare premier...».
Molti in
effetti
pensano che le possibilità di un conflitto globale stiano aumentando,
di fronte
al declino del potere e dell’influenza Usa e l’emergere di una nuova
superpotenza, la Cina. È una minaccia, la Cina?
«Innanzitutto
non credo al declino della superpotenza Usa.
Gli Stati Uniti hanno conquistato questo ruolo nel dopoguerra e tuttora
lo
mantengono con immutata violenza e arroganza. Lasciamo per un attimo
perdere la
situazione qui in Oriente, dove gli Usa esprimono “preoccupazione” per
il fatto
che la Cina cerca di rafforzare la sua influenza nelle acque
circostanti, mica
nei Caraibi o davanti alle coste della California, ma ci rendiamo conto
di
quanto sta succedendo in Crimea?»
Era la mia
prossima
domanda…
«Ecco,
le ho letto nel pensiero. In questi giorni leggo
editoriali pazzeschi, da guerra fredda. Roba da non credere. Ma come si
fa a
paragonare l’azione di Putin in Crimea oggi con l’Ungheria, la
Cecoslovacchia,
l’Afghanistan. Nemmeno George Orwell avrebbe mai immaginato un tale
asservimento al “pensiero unico”. Ma come si fa a scrivere certe cose?
Come fa
l’Occidente che ha aggredito e invaso l’Iraq, bombardato l’Afghanistan,
passivamente assistito - se non attivamente provocato - lo smembramento
della
Jugoslavia e riconosciuto il Kosovo a protestare, indignarsi,
addirittura
adottare sanzioni contro la Russia per quanto sta succedendo in Crimea,
dove
non mi risulta vi siano stati massacri, pulizie etniche, violenze? Mi
chiedo
perché continuiamo a considerare il mondo intero come nostro
territorio, che
abbiamo il diritto, quasi il dovere di “controllare” e, nel caso,
modificare a
seconda dei nostri interessi».
Ma il continuo
aumento
delle spese militari cinesi, il tentativo di cominciare ad aprire basi
militari
all’estero, per esempio in Zimbabwe…
«Non
scherziamo. A parte che la storia della base militare
cinese in Zimbabwe sembra sia una bufala: ma anche se fosse vero, cosa
cambierebbe? Una contro mille? La Cina non ha basi militari in tutto il
mondo,
non pretende di imporre il suo modello socioeconomico a nessuno e
soprattutto,
tranne una piccola scaramuccia con il Vietnam ai tempi di Deng
Xiaoping, non mi
risulta abbia mai invaso nessuno. Quanto alle spese militari, per
quanto le
possano aumentare, non sono minimamente comparabili con quelle degli
Stati
Uniti: le nostre spese militari sono più o meno equivalenti a quelle
del resto
del mondo intero. Senza pensare che gli Usa hanno alleati dappertutto,
dall’Europa
al Giappone, mentre la Cina è sola. Suvvia: paragonare la potenza
militare Usa
con quella della Cina non ha senso. Come non aveva senso paragonarla, a
suo
tempo, con quella dell’Urss».
Eppure il mondo
ha
paura della Cina.
«Ma
neanche per sogno, queste sono le solite ossessioni
occidentali, amplificate da una stampa ghiotta di senzazionalismi e
capace solo
di alimentare stereotipi, anziché studiare e decifrare la realtà.
Eppure dei
dati ci sarebbero. Di recente ho letto i risultati di un sondaggio
condotto in
Europa, un sondaggio pubblico, citato anche dalla Bbc. Una delle
domande era su
quale paese veniva percepito come maggior pericolo per la pace».
Mi lasci indovinare: vincono gli
Usa?
«Sì, ma con enorme distacco, siamo oltre il 70 per cento.
Secondo è il Pakistan, poi l’India, infine la Cina, con un mero 10 per
cento.
Gli europei sono esperti di guerre, sanno distinguere una minaccia
fasulla da
una reale. Quanto a devastazioni, e invasioni, non siete secondi a
nessuno...»
Touché. Ma
torniamo in
Oriente. Come vede la questione coreana? C’è qualche speranza che Obama
porti a
termine quello che Clinton era riuscito a iniziare, e cioè un serio
negoziato
bilaterale, allo scopo di firmare, finalmente, un trattato di pace?
«Intanto
ha fatto bene a ricordare in che periodo eravamo:
era il 1994, ci fu un accordo e l’allora segretario di Stato Madeleine
Albright
andò, accolta con rispetto e serietà, a Pyongyang. Si parlava di un
imminente
vertice tra l’allora leader Kim Jong Il e Clinton. Poi Clinton fu
distratto
dalla questione medio-orientale, il lungo negoziato di Camp David,
finito male,
e il dossier coreano è rimasto lì, sul tavolo. Poi è arrivato Bush e
sappiamo
come è andata. Sono stati gli Usa, sia ben chiaro, a violare gli
accordi e a
provocare la corsa al nucleare del regime nordcoreano. Quando si
insediò per la
prima volta Bush, Pyong Yang non aveva ordigni nucleari. Oggi pare ne
abbia
otto. Questi sono i fatti. Ma se leggi i resoconti della stampa di
tutto il
mondo o se chiedi in giro di chi sia la responsabilità, risulta che i
“cattivi”
siano solo e unicamente i nord coreani. Strano modo di raccontare la
storia».
Un suggerimento
per
Obama, se volesse passare alla storia per qualcosa di più che essere
riuscito a
far passare la riforma sanitaria?
«Rilanciare
e puntare decisamente sul negoziato diretto e
nel frattempo sollecitare la Corea del Sud a rilanciare la cosiddetta
“sunshine
policy”, la politica del dialogo, dell’apertura al nord attraverso
scambi
culturali e economici. E magari smetterla di svolgere, due volte
l’anno, mega
esercitazioni militari congiunte sotto il naso di Pyongyang. Quest’anno
hanno
addirittura simulato un bombardamento “preventivo” a nord del confine:
ma
quanta follia ci vuole per inventarsi una cosa del genere? Avete idea
di cosa
abbiano provocato, durante la guerra di Corea, i bombardamenti
americani? Il
nord venne raso al suolo, ed in molti casi vennero utilizzate bombe
speciali e
armi chimiche, con “ricette” ottenute dai criminali di guerra
giapponesi che le
avevano studiate e prodotte in Cina e che per questa loro
“collaborazione”
vennero poi prosciolti e reintegrati nella società: alcuni sono
diventati
ministri…»
Allarghiamo il
discorso, professore. La democrazia. Churchill una volta disse che non
era un
sistema perfetto, ma era il migliore conosciuto. Però la “democrazia”
ha
espresso, con libere e ripetute elezioni, personaggi come Berlusconi in
Europa
e Thaksin in Thailandia. È ora di trovare un sistema più “democratico”,
della
democrazia?
«Il
problema non è la democrazia. Il problema è cosa ne
abbiamo fatto. La democrazia non è una parola vuota. Significa alcune
cose.
Significa, ad esempio che gli operai debbono gestire le loro fabbriche:
e cito
l’icona del liberalismo classico, John Stuart Mill, che non era certo
un
bolscevico. Democrazia significa diritti umani e conquiste sociali. Non
significa, come sta avvenendo oggi in Europa, che i cittadini europei
debbano
vedersi restringere, se non cancellare, i sacrosanti diritti
conquistati in anni
e anni di lotte sociali e sottomettersi ai diktat dei funzionari di
Bruxelles e
della Bundesbank. Lei ha citato Berlusconi, e certamente non è stata
una bella
pagina della vostra storia, ma chi ha eletto Monti? Chi ha eletto
Renzi? La
Bundesbank. Questa non è democrazia. Leggevo qualche giorno fa un
interessante
editoriale del “Wall Street Journal”, quotidiano non certo sovversivo.
Scrivevano, penso giustamente, che ormai non è più questione di destra
e
sinistra, e nemmeno di centrodestra e centrosinistra. Qualsiasi governo
venga
“eletto”, in Europa, è più o meno costretto a muoversi nella gabbia
imposta da
Bruxelles. Pensate a quello che è successo a Papandreu, il premier
socialista
greco che per qualche mese ha provato a “sfidare” Bruxelles. Per il
solo fatto
di aver minacciato di sottoporre la politica dell’austerità ad un
referendum
popolare, Papandreu è stato crocifisso e, di fatto, “espulso” dallo
scenario
politico eruopeo».
Tornando al
Giappone,
cosa pensa del nucleare? Tre anni dopo Fukushima, il governo sembra
voler far
ripartire I reattori...
«Beh,
non è una questione semplice. Parlare di riattivare i
reattori in un paese che sta ancora vivendo l’emergenza provocata
dall’incidente di Fukushima capisco che sia problematico. Ma anche
aumentare il
consumo di combustibili fossili ha i suoi rischi: è in gioco il
disastro
ambientale, non è mica uno scherzo. La cosa migliore è puntare tutto,
risorse
umane , tecnologiche e finanziarie sulle energie alternative, come ha
annunciato la Germania».
Un’ultima
domanda, in
ossequio alla sua originale specializzazione, la linguistica. Che
lingua
dovremmo far studiare ai nostri figli e nipoti? Insistiamo con
l’inglese o è
meglio passare al cinese?
«Mi
sta chiedendo chi guiderà il mondo, nel prossimo futuro,
giusto? Gli Stati Uniti. La Cina non solo non è una minaccia militare e
tanto
meno politica, ma non è neanche una supepotenza economica. La sua
strabiliante
crescita dipende ancora dalla tecnologia straniera: Giappone, Corea,
Taiwan,
Usa ed Europa. Sta crescendo e continuerà a crescere, ma speriamo che
nel
frattempo ricominci a crescere anche l’Occidente. Quanto alla lingua,
per chi
come noi americani parla già inglese, studiare il cinese è certamente
utile. Ma
per tutti gli altri penso che imparare l’inglese sia ancora, per un bel
po’,
prioritario. Ma è una mia opinione, e come ben sapete, sono ottant’anni
che
sono dalla parte del torto!».
Cosa prevede il
decreto lavoro approvato dalla camera
Redazione
su Internazionale
| 24 aprile 2014
Il
24 aprile la camera ha approvato la conversione in legge
del decreto lavoro, firmato dal ministro Giuliano Poletti, con 283 voti
favorevoli, 161 voti contrari e un astenuto. Ora il testo passa
all’esame del
senato.
Il
decreto aveva già passato il voto di fiducia alla camera
il 23 aprile, dove ha raccolto 344 voti favorevoli e 184 contrari. Il
governo
aveva messo la fiducia sul provvedimento dopo le divisioni nate
all’interno
della maggioranza. Il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano aveva
annunciato
infatti il suo voto contrario, e Scelta civica aveva espresso molti
dubbi, ma
alla fine entrambi i partiti hanno votato la fiducia.
Il
decreto lavoro fa parte del Jobs Act, il piano di riforme
sul mercato del lavoro presentato per la prima volta l’8 gennaio dal
premier
Matteo Renzi.
Il
decreto lavoro era già stato approvato il 12 marzo dal
consiglio dei ministri. Il testo però, dopo il passaggio alla
commissione
lavoro della camera, ha subìto alcune modifiche, volute soprattutto da
alcuni
esponenti del Pd. Il Nuovo centrodestra e gli altri partiti della
maggioranza,
ma anche Forza Italia, si oppongono a queste modifiche e vorrebbero
tornare al
testo originale del decreto. Per questo il Nuovo centrodestra ha
annunciato che
si batterà al senato per cancellare le modifiche, anche se Alfano ha
rassicurato Renzi, dicendo che non danneggerà la tenuta del governo. Il
Movimento 5 stelle invece si oppone all’intero provvedimento fin
dall’inizio.
Ecco
le riforme principali previste dal decreto lavoro:
Viene
alzata da un anno a tre anni la durata dei contratti a
tempo determinato senza causale, cioè quelli per cui non è obbligatorio
specificare il motivo dell’assunzione. La forza lavoro assunta con
questo tipo
di contratto non potrà essere più del 20 per cento del totale degli
assunti
(nel testo originale era il limite era fissato al 20 per cento
dell’organico
complessivo).
I contratti a
tempo determinato si potranno rinnovare fino a
un massimo di cinque volte in tre anni (erano otto nel testo
originale), sempre
che ci siano ragioni oggettive e si faccia riferimento alla stessa
attività
lavorativa.
Salta l’obbligo
di pausa tra un contratto e l’altro.
I contratti di
apprendistato avranno meno vincoli, ma è
stato reintrodotto l’obbligo per i datori di lavoro di assumere a tempo
indeterminato alcuni apprendisti per assumerne di nuovi. L’obbligo di
stabilizzazione riguarda solo le aziende con almeno 30 dipendenti e la
quota
minima di apprendisti da stabilizzare è il 20 per cento. La busta paga
base
degli apprendisti sarà pari al 35 per cento della retribuzione del
livello
contrattuale di inquadramento.
La formazione
pubblica per l’apprendistato sarà di nuovo
obbligatoria, a condizione che la regione provveda a comunicare al
datore di
lavoro come sfruttare l’offerta formativa entro 45 giorni dall’inizio
della
firma del contratto. Il datore dovrà quindi integrare la formazione
aziendale
(on the job) con la formazione pubblica.
Le donne che
restano incinte durante un contratto a tempo
determinato possono conteggiare anche la maternità come durata del
contratto,
superando così la soglia dei sei mesi (durata minima che la legge
vigente
richiede per il riconoscimento del diritto di precedenza). E se
un’azienda assume
nei dodici mesi successivi, le donne in congedo maternità hanno la
precedenza.
È prevista
inoltre l’abolizione del Durc (Documento unico di
regolarità contributiva), il documento sugli obblighi legislativi e
contrattuali delle aziende nei confronti di Inps, Inail e Cassa edile.
Sarà
sostituito da un modulo da compilare su internet.
Il 12 marzo il
consiglio dei ministri ha approvato anche un
disegno di legge delega al governo che affronta gli altri temi
contenuti nel
Jobs act: dagli ammortizzatori sociali ai servizi per il lavoro,
dall’introduzione di un sussidio di disoccupazione al salario minimo,
dalla
riduzione delle forme contrattuali alla tutela per le donne in
maternità.
Queste
misure avranno tempi di approvazione più lunghi. Il
disegno di legge dovrà essere convertito in legge delega dal parlamento
e il
governo dovrà dare attuazione delle norme in un tempo stabilito dalla
legge
stessa.
28 aprile
2014