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23 giugno 2014

immunità

Porcate a monte, porcate a valle
Alessandro Gilioli su Piovono Rane | 23 giugno 2014

Escludendo la partenogenesi degli emendamenti, è probabile che l’immunità di cui forse godranno i consiglieri regionali trasformati in senatori sia stata voluta da qualcuno.

Ovviamente è solo un malevole retropensiero l’ipotesi che sia uno dei frutti avvelenati degli accordi segreti tra Berlusconi e Renzi: tuttavia, quando ci sono accordi segreti, è inevitabile che qualcuno abbia qualche pensiero retroscenista, sicché ben gli sta.

Oggi vedo che molti costituzionalisti vengono scomodati per rispondere alla seguente succosa domanda: avendo meno poteri dei deputati e non essendo eletti dai cittadini, devono i senatori avere anche meno privilegi, in questo caso l’immunità?

La domanda tuttavia è del tutto sbagliata in quanto ne sono sbagliate le basi.

Primo, perché se passano i listini bloccati dell’Italicum (con tanto di candidatura multipla) non saranno scelti dai cittadini nemmeno i deputati.

Secondo, perché non si capisce a quale criterio risponda comunque il principio che un parlamentare (anche se fosse davvero eletto dai cittadini) debba essere protetto dai suoi colleghi in caso di indagine della magistratura: se c’è timore di fumus persecutionis, decida semmai in merito un arbitro terzo, non i colleghi dell’inquisito che con lui pranzano e passeggiano per la buvette.

Ecco: tutta la pur grottesca vicenda dell’immunità è solo una porcata conseguente a quella che costituisce tutto il nuovo impianto di rappresentanza democratica nel nostrro Paese, Camera e Senato.

Se infatti mettiamo insieme il testo dell’Italicum e quello sul Senato, risulta che avremo un ramo del Parlamento (la Camera) scelto con i listini bloccati; e l’altro (il Senato) costituito da consiglieri regionali e sindaci eletti sì dai cittadini per la loro funzione amministrativa locale, ma poi selezionati tra i loro colleghi e trasformati in senatori dai partiti.

In altre parole: la distanza siderale tra rappresentati e rappresentanti non diminuirà di un millimetro rispetto al Porcellum. La catena tra eletti ed elettori resterà lunghissima, al punto che solo con molta generosità gli eletti potranno davvero definirsi tali.

In compenso, avranno tutti l’immunità.



Corruzione: incurabile ma anche prevedibile
Furio Colombo su il Fatto Quotidiano tramite triskel182 | 22 giugno 2014

Ci dicono che la corruzione è un male italiano, non esclusivo, certo, ma molto diffuso. Tra Paesi tormentati dal male ci si scambiano informazioni su come scoprire, come colpire, come punire. L’analogia con certe malattie e certe pratiche mediche è inevitabile. Ma, per esempio, ci sono malattie incurabili. La corruzione è incurabile? Le storie che si moltiplicano e continuamente ci vengono incontro, fanno pensare due cose. La prima è che ciò che i giudici scoprono e i giornali enunciano è sempre un meccanismo troppo perfetto per essere un fatto isolato. Evidentemente incappano nella giustizia soltanto alcuni detriti di un immenso fiume in piena che continua a scorrere, nutrendo un’economia ignota, sostenendo masse di italiani che non si vedono (o risultano in altre colone delle statistiche) e sono “criminali” nel senso giuridico della parola soltanto quando sono criminali gli autori e gestori della vicenda a cui partecipano.

ALTRIMENTI si può anche trovare il meglio (di tanto in tanto) di onorate professioni e di cittadini per altri versi eccellenti, esempio molti indagati del Mo-se. Essi certo non erano, non sono tecnicamente criminali. Le cronache ci hanno parlato di risvegli stupiti. “Ricevevo i soldi. E allora?”. Diciamo la verità: tranne un grande pagatore (definito e ammirato come tale anche dalla sua attivissima segretaria) di cui si sarà detto “se paga tanto avrà dei piani”, tutti gli altri appaiono come dei maxi dirigenti la cui remunerazione (stipendio regolare più tot) viene improvvisamente messa in discussione dai giudici tra lo stupore di tutti. Li vedi mentre guardano cronisti e poliziotti al momento della retata e sembrano sul punto di chiedere alla gente che si è radunata: “Perché?”.

È chiaro che tutti si sentivano assunti, apprezzati e valutati –nell’ambito della grande opera – per il valore aggiunto che ciascuno portava a quel progetto due volte benefico: perché riceveva (molte presenze di valore) e perché dava in modo francamente confortante: “Pagano così perché valgo”. Se esistesse un film dei giorni prima delle indagini, voi non vedreste persone che si allontanano furtivamente guardandosi le spalle, ma piuttosto padri e mariti, pronti con figli, cani e compagne a un gradevole fine settimana compiacendosi ad alta voce: “Anche questa volta abbiamo fatto un buon lavoro”.

Molte volte senti dire che la lotta alla corruzione si fa nelle coscienze ed è un percorso culturale. Temo che, a questo punto, il danaro sia troppo, la distribuzione troppo diffusa, la cultura offuscata. Nessuno si risveglia da solo, e non restano che le indagini. Ma le indagini, per forza, cominciano sempre dopo e colpiscono sempre la coda dei grandi fenomeni di corruzione già avvenuti. È chiaro che è necessario imparare a farsi domande molto prima, e a interpretare come indizi fatti che invece vengono scambiati per necessarie scelte politiche. Per esempio un bel numero di “grandi opere”, viste e volute (ma solo da alcuni, non dai cittadini) con troppa ostinazione, immensi e costosi manufatti troppo ovviamente inutili, in luoghi senza domanda, e sempre improvvisamente trasformati da opzione imprenditoriali a doveri per l’Italia. È accaduto e continua ad accadere.

Ma adesso c’è una Authority contro la Corruzione. Potrà, per esempio, formulare domande che, se fatte in tempo, possono contenere rivelazioni essenziali. Immaginiamo che ci sia una “grande opera” che si dichiara privata ma è stata, ed è tuttora, l’impegno principale di ogni ministro di ogni partito che si alterni negli anni alle Infrastrutture.

Per esempio un’autostrada in luogo non necessario, non richiesto dai cittadini e che richieda il taglio in due di un intero paesaggio. Il progetto è privato. Ma quanti governi di partiti diversi si sono alternati confermando sempre la necessità dello stesso progetto? Ci sono politici che, dall’impresa in questione, sono passati in politica, o politici, responsabili del settore, che siano diventati dirigenti dell’impresa privata che cova la grande opera? È accaduto che, a un certo punto, la grande opera, che era l’impegno di un progetto aziendale, sia improvvisamente diventata bandiera di un partito o magari dei due maggiori partiti contrapposti in quanto “bene del territorio” o “indispensabile alla Nazione”?

Significa niente se il ministro delle Infrastrutture, chiunque sia negli anni, non risponda mai a domande, anche precise e circostanziate , sulla “grande opera” in discussione? Fa differenza se il politico diventato manager quereli prontamente chi ricorda il passaggio dalla vita politica a quella manageriale, ed esiga un risarcimento sproporzionato, visto che in tal modo ammonisce tutti gli altri cittadini a non provarci? Cambia qualcosa se l’impresa privata in questione sia diventata titolare della costosissima “grande opera” senza gara e mantenga la sua esclusiva, senza gara, nei decenni? Dovrebbe attrarre attenzione che per tutti i lavori finora iniziati intorno alla grande opera, si siano moltiplicati gli appalti sempre senza gare, violando le norme europee? Fa differenza se la società è privata ma dispone di un sostegno rapido, immediato, completo, multipartito, nelle commissioni parlamentari, nelle aule delle due Camere, nelle Conferenze dei Servizi e nelle rapida puntuale, ripetuta convocazione del Cipe, ogni volta che c’è da ratificare un cambiamento di progetto?

NIENTE DA DIRE se un’antica strada romana viene scelta dalla azienda privata come percorso della sua nuova autostrada, e lo Stato la dona senza ragioni e senza condizioni? Che sintomo è che la società privata, che aveva promesso orgogliosamente il completo autofinanziamento (sia pure dopo avere avuto un immenso territorio in regalo) improvvisamente esiga soldi pubblici (come gli avversari avevano predetto rischiando querele) per molte decine di milioni (ai nostri giorni)? Sappiamo che si tratta di un fervido incrocio di voci, ma sono voci fra sindaci e responsabili locali di tutta l’area invasa dal progetto, però devono essere abbastanza informati se indicano persino la cifra e probabilmente aspettano che qualcuno chieda loro notizie che, per gentilezza dei media, al momento non circolano. È possibile che i cittadini italiani e i nuovi guardiani della verifica senza sosta possano accettare di sentirsi dire dal presente ministro Lupi (uno che non risponde a dettagliate e motivate lettere aperte, come quella, sul Fatto Quotidiano di Nicola Caracciolo) che “le grandi opere non si possono fermare”, come se si discutesse del destino e non del governo?


 

1921-2014: dal Pci a Sel, una lunga storia di scissioni
Myrta Merlino su L'Huffington Post | 23 giugno 2014

Da Antonio Gramsci a Gennaro Migliore, da Giuseppe Saragat ad Angelino Alfano, le scissioni sembrano un destino comune ed ineluttabile che coinvolge e travolge tutti i partiti italiani. La più famosa è quella di Livorno del 1921 che ha battezzato il Partito comunista d'Italia. Ma è stata solo la prima: il liet motiv della nostra democrazia, il filo rosso che unisce comunisti, fascisti e democristiani è la tendenza a dividersi. Ci sono passati un po' tutti: i grandi partiti che perdono piccole componenti o intere correnti e minuscole formazioni che si parcellizzano. Insomma, la litigiosità italiana che impantana i tribunali applicata alla politica.

Già nei giorni della Marcia su Roma a sinistra si litigava e ci si divideva, mentre Mussolini conquistava indisturbato il Paese. Poi, finita la guerra, dall'ennesima costola del Psi sono nati i socialdemocratici. E i monarchici, ormai ridotti ad un esclusivo club di pochi intimi, hanno trascorso gli ultimi cinquanta anni a scindersi e litigare tra loro: ma non dovrebbe tenerli uniti la fedeltà al Re? Dopo lo storico successo del 1972, anche l'Msi ha subito una scissione "a sinistra", seguita da quelle dei nostalgici dopo lo svolta di Fiuggi. Gli eredi della vecchia Dc, a loro volta scissionisti, hanno litigato un po' per tutto, compreso ovviamente il brand, lo Scudocrociato.

Ma gli esperti delle scissioni sono tutti ben posizionati a sinistra. Il Psiup, il Gruppo del Manifesto, Rifondazione comunista, i Comunisti italiani, Sinistra democratica sono solo alcune delle sigle che hanno affollato il panorama progressista italiano: altro che la vita solitaria dei Labour inglesi o dei Democrats americani!

E così, seguendo questa lunga scia di litigi e divisioni arriviamo ai giorni nostri. Alle vicende di una legislatura nata male, con un risultato incerto e senza un vincitore. Insomma, il terreno ideale per far fiorire nuove scissioni. La più clamorosa è certamente quella degli alfaniani: sono una componente essenziale della maggioranza, ma non hanno vita facile, stretti tra l'esuberanza e il protagonismo di Matteo Renzi e il possibile accordo sulle riforme tra il Pd e Forza Italia. Alle europee Ncd ha superato il quorum per un soffio e solo grazie all'alleanza con l'Udc di Pier Ferdinando Casini e alle prossime politiche è quasi certo che farà fronte comune con il resto del centrodestra, berlusconiani ovviamente compresi. Allora la scissione è stata solo una parentesi o il nuovo partito manterrà la propria indipendenza come fa già Fratelli d'Italia? Ma nel futuro del centrodestra c'è spazio per Ncd, Forza Italia e Fratelli d'Italia? Oltre ovviamente alla Lega di Matteo Salvini...

Quelle dei grillini non sono vere e proprie scissioni, ma più che altro espulsioni e fuoriuscite di singoli o di gruppetti sparuti messi alla gogna (e alla porta). Anche Grillo, come Togliatti, pensa che i fuoriusciti siano "pidocchi sulla criniera di un cavallo di razza"? Non lo sappiamo, ma se si organizzeranno in gruppi autonomi e strutturati per l'ex comico potrebbero rappresentare un problema...

La coalizione montiana, subito ribattezzata "Sciolta civica", si è spaccata non molto tempo dopo le elezioni: da una parte i seguaci di Casini e dall'altra i fedelissimi dell'ex Premier. Un classico esempio di matrimonio di interresse mal riuscito. Ma se gli ex-Udc sono ben saldi nel sostegno al Governo di Renzi, i montiani vivono un momento di grande agitazione, divisi tra chi vorrebbe confluire nel Pd e i fautori dell'indipendenza dall'ingombrante alleato.

L'ultima scissione (per ora si intende!) è quella dei "miglioristi" di Sel. Con i loro antenati del Pci, tra i quali c'era anche Giorgio Napolitano, hanno in comune solo il nome, che in questo caso si deve al loro leader, Gennaro Migliore. Cosa faranno ora? Il Vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, non ha escluso una confluenza nei democratici, ma resta ancora in piedi l'ipotesi del gruppo (o del gruppetto) autonomo all'interno della maggioranza.

Di scissione in scissione, vedremo che aspetto assumerà la maggioranza di Renzi. Ma per farsi un'idea di cosa potrebbe aspettarci, basta rivedere un magnifico Guzzanti vintage nei panni di Fausto Bertinotti che teorizzava: "dobbiamo continuare a scinderci sempre di più e creare migliaia di microscopici partiti comunisti, indistinguibili l'uno dall'altro, che cambiano continuamente nome e forma"!

Intanto, insieme alla riforma del Senato si dovrebbe mettere mano a una revisione dei Regolamenti parlamentari per impedire la formazione di gruppi e gruppetti di comodo non ricollegati a partiti veri e propri. Alleanze dell'ultima ora tenute insieme solo dal desiderio di ottenere uffici, contributi e varie agevolazioni. È la spending review, bellezza!

  23 giugno 2014