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3-4 dicembre 2014



Campidoglio

Capitale corrotta, nazione infetta
L'inchiesta sulla cupola che dettava legge a Roma svela un osceno intreccio tra malaffare, criminalità organizzata e classe politica, di governo come di opposizione. È tempo di rifondare la politica. Con la battaglia delle idee e la mobilitazione.
Angelo d'Orsi su Micromega


"Capitale corrotta, nazione infetta": era il titolo, divenuto presto famoso, di una mirabile inchiesta de “l'Espresso”, apparsa l'11 dicembre 1955. L'articolo era firmato da Manlio Cancogni, grande letterato e giornalista (bellissimo il suo libro "Squadristi" del 1972, abile fusione di giornalismo e storiografia). L'inchiesta documentava, in modo efficace e accorato, gli illeciti negli appalti immobiliari di Roma, nei quali, tra l'altro, era coinvolta una società immobiliare del Vaticano. Ne nacque uno "scandalo" che forse non servì a cambiare il quadro politico, ma se non altro scosse la pubblica opinione, anche se poi ci pensava Lascia o raddoppia? e i festival canori a riaddormentarla.

Allora, appunto, si chiamavano "scandali", per indicare l'eccezionalità di quegli eventi. Oggi, come constatiamo, sono la norma, l'indefettibile regola della nostra quotidianità: la collusione tra malaffare, criminalità organizzata, classe politica. “Capitale corrotta, nazione infetta”: le notizie provenienti da Roma, che si rivela una cloaca maxima, sono sconfortanti, avvilenti. Ovviamente vi sono coloro che – i Salvini di turno – si fregheranno le mani, ripetendo il "Roma ladrona", loro che a Roma ci sono, come sono a Bruxelles, e in ogni ganglio del potere, condividendone gioie e nefandezze. 

Lasciamoli gongolare, mentre le Procure della Repubblica mandano, ormai settimanalmente, avvisi di garanzia che svelano la capillare presenza di mafia e ndrangheta nelle imprese e nelle pubbliche amministrazioni del Settentrione. La vicenda dell'Expo 2015 è sintomatica. E che si sia dovuto ricorrere a una sorta di controllore supremo, che dovrebbe controllare coloro che controllano, ossia garantire la pulizia degli appalti, è incredibile: la prova che la legalità rappresenta ormai, in questo sventurato Paese, l'eccezione, un lontano, fumoso obiettivo da perseguire, ricorrendo a mezzi straordinari, invece che il binario sul quale dovrebbero muoversi le amministrazioni pubbliche. 

A Roma certo il panorama emerso da questa ultima inchiesta giudiziaria è particolarmente fosco e svela un osceno intreccio tra mafia, fascisti, imprese, ceto politico; di “governo” e di “opposizione” (!?). Dietro le medagliette di “Roma Capitale”, sotto i lustrini rutelliani, veltroniani, e poi alemanniani, ecco che una volta di più il cuore del Paese si rivela un maleodorante pozzo di nequizie, di corruzione, di oscenità. Basta ascoltare le registrazioni delle telefonate fra alcuni di codesti infimi personaggi che erano i capi della cupola fasciomafiosa. Lo schifo che si prova è difficile da descrivere, ma sento che tutti lo condividono. Lo schifo tocca il culmine quando si scopre che i neofascisti che di giorno predicano contro i rom e in generale migranti etc., poi facevano affari nella gestione dei campi rom e dei centri di “accoglienza”. Ricorda le impagabili scelte politico-finanziarie della dirigenza della “Lega Nord-Padania” che tuonava (e tuona) contro i migranti e poi investe in lingotti d'oro in Tanzania. Vero, Salvini?!

Eppure, non dobbiamo trarre la conclusione che fra destra e sinistra non ci sia differenza: la differenza, concettuale, sul piano insomma della teoria politica, esiste eccome! Il fatto è che non esiste (quasi) più una sinistra nelle istituzioni rappresentative. Certamente, anzi certissimamente, il Partito Democratico (una denominazione che oggi suona grottesca, davanti ai comportamenti personali e alle linee politiche del ducetto Matteo Renzi) non ha nulla a che fare con l'identità politica della sinistra, e ha reciso ogni legame con la stessa memoria della sinistra. Basti il cosiddetto “Jobs Act” (siamo moderni, parliamo inglese, of course), che, come ha autorevolmente asserito Luciano Gallino (il migliore analista della società e dell'economia che abbiamo oggi in Italia),nella bella intervista qui concessa a Giacomo Russo Spena, è una riforma di destra. Punto. 

È invece vero, in certo senso, ahimè, il motto che in queste ore, per l'ennesima volta, corre sulle labbra di tanti cittadini italiani: "sono tutti uguali". Viene alla mente la scena di “Palombella rossa”, di Nanni Moretti, quando il protagonista (Moretti stesso, ovviamente), dice, tra il comico e il disperato, chiedendo per la sinistra la chance del governo: “noi siamo diversi, noi siamo uguali a tutti gli altri…”. Era il 1989, e si stava consumando l'eutanasia del PCI, sotto l'insipiente regia di Achille Occhetto. Il punto finale è il PD di Renzi. Sono tutti uguali, dunque? Sì, è vero, lo sono: nel senso che la tensione etica della politica è ormai defunta, e seppellita; e che la quasi totalità dei componenti del ceto politico appare tristemente unificata dalle più miserabili ambizioni personali: lo stipendio, la pensione cumulabile, i piccoli e grandi privilegi della "casta" e così via. La cosa è giunta ormai a uno stadio inemendabile. Forse occorre pensare a "rottamare" non tanto, non solo comunque, la classe politica, le persone, bensì la politica, questa politica, e rifondarla. Il Movimento 5 Stelle aveva enunciato enfaticamente, in modo sguaiato e deliberatamente impolitico, questo obiettivo e ha dato a tanti questa illusione, ma la sua leadership (ducesca, anch'essa, con l'alibi della "Rete") le ha sbagliate tutte, ma proprio tutte, e lo spettacolo che in queste settimane il Movimento sta regalando anche ai suoi sostenitori è assai triste, anche se, va detto, rimane la sola vera forza di opposizione in Parlamento, accanto a quel che rimane di SEL, a sua volta avviata a un mesto, inesorabile declino, sotto la guida di un leader ormai giunto a fine corsa, dopo aver anch'egli suscitato speranze e illusioni.

Quanto alla sinistra, quella più o meno autentica, la “vera” sinistra, che oggi fa capo alla Lista Tsipras, dopo aver agguantato, per il rotto della cuffia, i tre seggi europei (e aver dato un penoso spettacolo, sia nelle trattative per arrivare alle liste, sia subito dopo), appare impantanata, a essere generosi. Esistono movimenti, per fortuna, numerosi e variegati, e da loro forse occorre ripartire. Ma ricordando che senza organizzazione non si fa la rivoluzione. E questa, la "rivoluzione", davanti alla capitale corrotta di una nazione infetta, è forse davvero la sola via d'uscita. Poiché la parola appare anacronistica, occorre pensare nuove, diverse modalità: Antonio Gramsci, nel carcere fascista, aveva capito che "la rivoluzione in Occidente" non può più essere l'assalto frontale (la Bastiglia del 1789 o il Palazzo d'Inverno del 1917), ma il risultato di un processo di costruzione di una "contro-egemonia". Anche se il protagonismo della piazza oggi è ritornato, e ne va tenuto conto: insomma, la battaglia delle idee va affiancata dalla mobilitazione. Il risultato deve essere il cambiamento dei rapporti di forza. Il popolo degli schiacciati, degli affamati, degli sfruttati, degli umiliati e offesi dal potere, deve riscattarsi, e creare nuove forme politiche organizzate, e dar vita a una nuova leadership dal basso. Impresa disperata? Intanto, capitale corrotta, nazione infetta.



Ministro Poletti ci spieghi quella cena 
Roberto Saviano su la Repubblica


A DOMANDA risponde" è l'espressione usata nei verbali per differenziare una dichiarazione spontanea da una dichiarazione sollecitata da una domanda degli inquirenti. Il ministro Giuliano Poletti non deve rispondere ai magistrati perché non è indagato.
Né coinvolto nell'inchiesta "Mafia capitale". Quindi la sua dichiarazione non dovrebbe essere trascritta come "a domanda risponde" ma, piuttosto, come dichiarazione spontanea. Perché dovrebbe spiegare non ai pubblici ministeri che si occupano di reati, ma al paese, il rapporto che pare esserci tra lui e Salvatore Buzzi, presidente di un grande consorzio di cooperative legate alla Legacoop e braccio destro del boss Massimo Carminati. Che ci faceva, Poletti, quando non era ancora ministro ma presidente di Legacoop Nazionale, nel 2010, a una cena di ringraziamento organizzata proprio da Buzzi per tutti "i politici che ci sono a fianco "?

Salvatore Buzzi ha ucciso ed è stato condannato a 24 anni per omicidio. Ex impiegato di banca vicino all'estrema sinistra, è diventato uno degli uomini più rilevanti dell'imprenditoria capitolina. Massimo Carminati, formazione di estrema destra. Il suo uomo più fidato, Salvatore Buzzi, formazione di estrema sinistra. Ma con l'ideologia i due non hanno più nulla a che fare. Loro unico obiettivo sono i soldi. Dopo aver scontato la pena, Buzzi si è reinventato come geniale organizzatore del "terzo settore": gestisce una galassia di società che raccolgono ex detenuti. Ma non solo, perché così definisce la sua Onlus: "La 29 Giugno è cooperativa sociale di tipo b nata a Roma nel 1985 ed ha come scopo sociale l'inserimento lavorativo delle persone appartenenti alle categorie protette svantaggiate, disabili fisici e psichici, tossicodipendenti ed ex, e più in generale delle persone appartenenti alle fasce deboli della società (senza fissa dimora, vittime della tratta, immigrati)".

Attraverso rapporti diretti con la politica e con la mediazione criminale di Carminati, Buzzi arriva a mettere le mani sugli appalti che contano. In questa intercettazione la sintesi del suo business: Buzzi: "Tu c'hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno". Il bilancio pluriennale 2012/2014 di Roma Capitale è condizionato dall'organizzazione mafiosa per ottenere l'assegnazione di fondi pubblici, per rifinanziare i campi nomadi, per la pulizia delle aree verdi e per minori per l'emergenza Nord Africa. Ribadisco la domanda: perché Poletti era a quella cena? Era presidente di Legacoop? Non è risposta sufficiente. Quella era una cena di ringraziamento: e la presenza del presidente non era necessaria. In quella foto si vedono molti altri invitati. È una classica cena sociale organizzata in un centro d'accoglienza della cooperativa 29 Giugno. C'è l'ex sindaco Gianni Alemanno, c'è l'ex capo dell'Ama Franco Panzironi (arrestato con Buzzi), c'è un esponente del clan dei Casamonica, c'è il dimissionario assessore alla Casa Daniele Ozzimo (al tempo consigliere Pd e pure lui indagato), c'è il portavoce dell'ex sindaco Sveva Belviso e c'è Umberto Marroni, parlamentare Pd (Buzzi in un'intercettazione dichiara che proverà a lanciarlo alle primarie democratiche per il sindaco di Roma). Il ministro non conosceva Buzzi e il suo modus operandi ? Da presidente della Legacoop immaginiamo non potesse conoscere il dna di tutte le cooperative: ma nemmeno di questo impero da 60 milioni di euro? Eppure la Onlus apparteneva proprio alla realtà Legacoop. Poletti non si è reso conto di come la gestione degli appalti sia stata quantomeno disinvolta? Degli appalti che la giunta Alemanno concedeva e del flusso di denaro che la beneficiava? C'è bisogno di inchieste della magistratura, quando a Roma si sapeva da anni che Buzzi era un dominus nell'assegnazione alle sue cooperative degli appalti? Perché la politica deve rispondere solo se interrogata da un giudice?

In questo caso è la legittimazione politica e sociale che il ministro Poletti ci deve spiegare. Buzzi apre nel maggio 2014 l'assemblea di bilancio "Gruppo 29 Giugno" con un discorso. Prima però ringrazia alcune persone. Tra i presenti ringrazia il direttore generale dell'Ama Giovanni Fiscon che, secondo le accuse, sarebbe stato nominato grazie all'organizzazione mafiosa. Ringrazia Angiolo Marroni, garante detenuti del Lazio e padre di Umberto Marroni, capogruppo Pd presente alla cena di cui sopra. Ringrazia Salvatore Forlenza, responsabile rifiuti (indagato: il gip ha rifiutato la richiesta d'arresto proposta dai pm). Ringrazia Mattia Stella del gabinetto del sindaco Ignazio Marino (nelle intercettazioni, Buzzi dice che occorreva "valorizzare" Mattia e "legarlo" di più a loro). Poi ringrazia anche chi non ha potuto partecipare all'assemblea. Ringrazia i consiglieri comunali Anna Maria Cesaretti e Mirko Coratti (e Buzzi nell'intercettazione indicava le persone che lo avrebbero aiutato a vincere la gara proprio in Cesaretti e Coratti, per parlare con il quale avrebbe dovuto elargire 10mila euro, indicandoli quali "assi nella manica per farci vince la gara"). Ringrazia Cosimo Dinoi (e l'organizzazione vuole sostituire al "gruppo misto" il capogruppo Dinoi e ottenere la presidenza della commissione trasparenza del Comune di Roma). Saluta l'assessore Daniele Ozzimo  -  e nell'inchiesta si legge che "il 19 giugno 2013 a bordo dell'autovettura Audi veniva intercettato un dialogo tra Buzzi e le sue collaboratrici Chiaravalle Piera e Bufacchi Anna Maria, nel corso del quale i tre interlocutori discutevano di quelli che sarebbero potuti essere i ruoli in Municipio per i loro 'amicì Marroni Angelo o Ozzimo Daniele, sperando che il sindaco avrebbe lasciato loro un posto nel campo del sociale, di fondamentale importanza per le attività economiche delle Cooperative e, di conseguenza, del sodalizio ".

E chi saluta per ultimo Buzzi a quel convegno? Ecco il passo: "Concludo, infine, con un augurio di buon lavoro: al ministro Giuliano Poletti, nostro ex Presidente nazionale che più volte ha partecipato alle nostre assemblee; al Governo Renzi affinché possa realizzare tutte le riforme che si è posto come obiettivo, l'unico modo per salvare il nostro Paese dalla stagnazione e dall'antipolitica; in particolar modo a tutti voi soci che con il vostro lavoro quotidiano avete contribuito a raggiungere questo risultato così soddisfacente ". Salvatore Buzzi è accusato di essere il ministro dell'economia della cosca e "si occupa  -  secondo i Ros  -  della gestione della contabilità occulta della associazione e dei pagamenti ai pubblici ufficiali corrotti". Il ministro del lavoro Poletti è finito in copertina proprio con Buzzi sul magazine della cooperativa 29 Giugno. Non si era informato su come queste cooperative vincessero gli appalti? Su come i disperati che ci lavorano non fossero altro che bacini di voti, strumenti di pressione sociale, oggetti per riciclare? Non si tratta di una foto con uno sconosciuto, di una cena elettorale dove non sai con chi parli e a fianco di chi sei seduto. Non sono imboscate. Qui si tratta di non aver monitorato, capito come agivano le maggiori cooperative a Roma. Possibile?
Dice in tv il premier Matteo Renzi che "non si può mettere in mezzo Poletti perché ha partecipato a una cena". Giusto: non c'è, ripetiamo, nessun reato che viene contestato. Ma è politicamente che questo rapporto può essereconsiderato grave, anzi gravissimo. È di questo che il ministro deve rispondere al Paese e in Parlamento. Non basta dire ""non sapevo, non potevo sapere, non c'entro". Non si tratta di una semplice foto scattata, ma di un rapporto continuativo, durato anni. Perché?



Corruzione, siamo i primi
Il blog di Marco Travaglio su ilfattoquotidiano.it


“L'Italia sarà la guida dell'Europa”, aveva promesso Renzi a luglio, assumendo per sei mesi la guida dell'Unione. Ed è stato di parola. Non che il merito sia suo, anzi: lui è appena arrivato, ben altri sono i protagonisti di questa irresistibile ascesa, a destra, a sinistra e al centro. È stata dura, ma dopo anni d'impegno indefesso ce l'abbiamo fatta: siamo il paese più corrotto del continente. L'ambìto riconoscimento arriva da Transparency International, che pubblica l'annuale Corruption Perception Index con le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione percepita in 175 paesi del mondo. Nel 2014 l'Italia conferma la 69ª posizione conquistata nel 2013 nella classifica generale dei paesi meno corrotti, ultima nel G7 e nell'Ue, sbaragliando gli ultimi concorrenti che ancora osavano sopravanzarci, Bulgaria e Grecia, che ci raggiungono a pari merito, facendo il vuoto alle nostre spalle.
Ora, dopo avere sbaragliato anche Sudafrica, Kuwait, Arabia Saudita e Turchia, puntiamo al Montenegro e a São Tomé, che contiamo di superare quanto prima. Nel ringraziare le bande del Mose e di Expo per il fattivo contributo, resta il rammarico per il tardivo esplodere dello scandalo del Cupolone, i cui effetti benefici potranno farsi sentire solo nel 2015 (se no sai che performance). L'importante è che Renzi tenga duro, tenendo bloccate le leggi contro la corruzione, la frode fiscale, l'autoriciclaggio, il falso in bilancio, i conflitti d'interessi e la prescrizione. Ma il Patto del Nazareno col Pregiudicato regge e, se Dio vuole, ci darà presto un capo dello Stato che garantisca gli standard nazionali almeno quanto l'attuale. Preoccupa, questo sì, il persistere a macchia di leopardo di alcuni pm che – nonostante gli innumerevoli moniti a lasciar perdere – si ostinano a indagare sulla corruzione, privando il Paese dell'apporto di tanti “uomini del fare” dediti ad attività criminali che fanno girare l'economia e crescere il Pil.
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Ecco perché, come giustamente chiedono Forza Italia, Ncd & galeotti vari, è tempo di por mano a una legge che limiti, o meglio proibisca tout court le intercettazioni: si sa che, intercettando un vecchio tangentista pluricondannato come Greganti o Frigerio o Maltauro (casi Mose ed Expo) o un ex esponente dei Nar e della Banda della Magliana o un condannato per omicidio (inchiesta Roma mafiosa), è inevitabile incappare in qualche sindaco o assessore o politico di destra, di centro e di sinistra. E poi diventa dura insabbiare tutto: quando hai i morti in casa, è già troppo tardi, i cadaveri puzzano e i vicini mormorano, mica puoi far finta di niente. Bisogna agire alla fonte, evitando di scoprire queste brutte cose. Lo spiegava l'altra sera a Ballarò il generale del Ros Mario Mori, purtroppo in pensione, rivendicando orgogliosamente la trattativa Stato-mafia del ' 92 con un giusto distinguo lessicale (“Non è stata una trattativa, è stato un baratto”): “Io ero la Polizia giudiziaria che stava facendo operazioni antimafia e quello era un mio compito. Io avevo il coraggio di andarci (dal mafioso Vito Ciancimino, ndr), nessun altro aveva il coraggio, erano tutti nascosti sotto alle scrivanie in quel periodo. Quella fatta con Ciancimino è una trattativa, però è una trattativa consentita dalla norma. Ciancimino era debole, sul suo capo s'addensava una serie di procedimenti che l'avrebbe portato sicuramente in galera, ci poteva dare qualche spunto e barattarlo con un trattamento migliore”.
Ecco, chi oggi pensa di tener dentro il camerata Carminati & C., prenda buona nota: questo deve fare una polizia giudiziaria che si rispetti in un paese moderno. Infischiarsene della Costituzione e delle leggi, tenere all'oscuro i magistrati e i vertici dell'Arma, e trattare anzi barattare con i criminali. Poi, naturalmente, evitare accuratamente di arrestarli e affidare loro le perquisizioni dei covi. Infine diventare generali, capi dei servizi segreti e, una volta in pensione, consulenti per la sicurezza del sindaco Alemanno (già…) e controllori della trasparenza degli appalti di Expo su incarico del governatore Formigoni (ri-già…). Altrimenti si perde la guida dell'Europa.


  3-4 dicembre 2014